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Il problema invisibile dei racing game è il coinvolgimento - editoriale

Non ci si fa caso, ma gli attuali racing game vanno un po' col pilota automatico.

Era il lontano 1998 quando i nostri occhi si posarono per la prima volta su una singola frase: "oltre 290 vetture dei migliori costruttori del mondo". Gran Turismo ha cambiato per sempre il concetto di racing game, e per parlare di uno dei problemi dei racing game moderni, bisogna partire da qui, da una struttura che prevede l'acquisto di un'auto, elaborarla e gareggiare in un evento purché si rispettino determinati requisiti. Questo "dogma" ha creato uno strano effetto collaterale: la mancanza di coinvolgimento, un contesto nella quale ogni pilota digitale trovi soddisfazione oltre al girare su un tracciato, magari con la vettura preferita.

Nel corso degli anni abbiamo avuto diversi outsider, che hanno cercato di innovare questo aspetto, dai vari Grid ai Project CARS, passando per gli Shift. In poche parole: è ancora attuale una modalità carriera composta da una serie di eventi da completare, come fosse un elenco da spuntare? Ma soprattutto, questi videogiochi, trasmettono passione? Vediamo di capirci qualcosa.

Una differenza d'approccio sin dai primi momenti dell'acquisto, dove si crea l'imprinting tra mezzo digitale e giocatore.

A chi è rivolto un racing game? Un videogioco di questo tipo trova come target principale gli amanti delle auto e del motorsport, anche se non manca il classico "giocatore della domenica". Ma concentriamoci sul blocco più consistente, che vede i vari Gran Turismo e Forza Motorsport come un'enciclopedia dell'auto, anche se raccontata in modi diametralmente opposti. Gli appassionati lo sono prima di tutto per il legame che si instaura con il freddo mezzo meccanico, che si evolve a poco a poco sino ad acquisire una propria personalità. In questo, Gran Turismo riesce perfettamente nell'intento, soprattutto per l'impronta autoriale dettata da Yamauchi.

Questo amore, si nota in ogni anfratto del titolo, già a partire dal concessionario, che non prevede il semplice ruotare del modello ma un taglio quasi registico in grado di far apprezzare i dettagli dell'auto che si sta visionando. Kazunori Yamauchi è un tutt'uno con Gran Turismo: quando giochiamo una sua opera, stiamo semplicemente giocando con la sua visione del mondo delle auto, creando così un tramite riassumibile in autore-gioco-utente. La scelta dell'auto e come questa viene trasposta è un punto focale in tal senso, a prima vista banale ma in grado di racchiudere in sé tutta la magia di questo mondo. Purtroppo, non tutti sembrano far caso a tutto ciò.

Regalare il sogno è uno dei meccanismi di una vendita vincente, non solo dal punto di vista economico ma anche da quello emotivo. Forza Motorsport, nonostante spesso si proponga come benchmark tecnico, manca infatti di quella scintilla capace di emozionare, col risultato di apparire come un freddo blocco di ghiaccio. Non che non ci abbia provato: Forza Motorsport 4 ha introdotto l'Autovista, una modalità che ha permesso a tutti gli appassionati di ammirare ogni dettaglio dell'auto digitale, spinta al massimo delle sue possibilità tecniche. Era ben più che "dare un'occhiata in giro": grazie alla partnership con Top Gear, le vetture potevano contare sulla descrizione sopra le righe fornite da Jeremy Clarkson, punta di diamante dello show più seguito al mondo.

L'Autovista con la voce di Jeremy Clarkson è il punto più alto toccato da Forza Motorsport, mai più replicato purtroppo.

È grazie a questo espediente che quei modelli poligonali acquisivano personalità, passando dal freddo calcolo computazionale a un caloroso racconto, un passato e un presente in grado di rendere unica ogni singola vettura. Ogni oggetto, diventa per noi importante quando siamo in grado di associare a esso una storia ed è qui che il quarto capitolo è riuscito a rivaleggiare davvero con Gran Turismo. Benché elemento a sé stante, l'Autovista era il canto d'amore di Turn10 verso l'auto vista come icona ma purtroppo, col passare degli anni e dei capitoli, tale modalità ha perso via via il suo fascino, fino a che, in Forza Motorsport 7, è divenuto un modo asettico di osservare il modello. Il rapporto con la propria auto però, non è l'unico modo per creare il calore necessario attorno al giocatore e negli anni, abbiamo avuto diverse dimostrazioni di come sia possibile trasmettere un concetto o un sentimento partendo da altro.

RIMS Racing, eccelle sotto questo aspetto: il legame è dovuto alla creazione meticolosa di ogni particolare del modello, che ha permesso il totale montaggio e smontaggio delle sue parti. Entrare così a fondo in ognuna delle moto a disposizione crea un'unione di intenti, sapendo che prendersene porterà sicuramente a risultati migliori. Paradossalmente, ciò che rende così speciale questo legame è il suo difetto più grande: il numero risicato di modelli. Questo aspetto porta a una riflessione sulla quantità dei mezzi proposti al giocatore, come se il loro numero riuscisse a compensare il come questo venga trasmesso.

Spuntato l'elenco cosa rimane? Qual è la nostra storia?

Uno dei problemi intrinseci dei racing game ─ e figlio della frase iniziale dell'articolo ─ è infatti il numero spropositato di vetture disponibili, divenendo semplici strumenti per completare un determinato evento. In quanti hanno abbandonato delle povere Mazda Demio in garage, sole e al freddo, in attesa di poter rimettere le ruote sull'asfalto all'aria aperta? Questa visione, rispecchia in parte il problema "coinvolgimento", facendo utilizzare probabilmente solo il 10% delle vetture disponibili in game. Gran Turismo, riesce a mitigare la situazione, visto che ogni vettura presenta la propria storia, i propri perché, invitando l'appassionato a scoprirne i segreti. Il resto, non ci prova nemmeno. Cosa ci porta a preferire un'auto piuttosto che un'altra oltre ai meri aspetti tecnici? L'emozione.

Da quando le automobili hanno fatto la loro comparsa sulla Terra, sono divenute un mezzo con cui oltrepassare i limiti umani, ma quel legame e quelle emozioni, sono ancora lì, confermati da molti studi scientifici hanno constatato come l'essere umano sia sensibile al senso di potenza e al suono della vettura, facendone addirittura aumentare il testosterone. Sembra impossibile poter trasmettere questo con un videogioco ma c'è chi ci ha provato, a cominciare da Assetto Corsa.

Il lavoro di Kunos Simulazioni è quello che ci si avvicina di più: un lavoro a puntino sulla fisica, unito alla riproduzione certosina dei tracciati grazie alla tecnologia Laser Scan, riescono a creare una bolla nella quale ci si sente realmente alla guida di un mezzo da strada o da pista, regalando sensazioni piacevoli anche con il semplice fare due giri su un tracciato. In questo caso, la personalità della vettura deriva dalla sua ricostruzione dinamica e non solo dall'aspetto, permettendo a qualsiasi utente di avvicinarsi a quanto si sperimenta nella realtà. Ma esistono anche altre vie.

Una semplice introduzione alla gara in Shift 2: Unleashed, per far sentire il giocatore parte di un evento concreto.

A un certo punto, Electronic Arts ha pensato di far realizzare a Slightly Mad Studio una trasposizione un po' più simulativa di Need For Speed: Shift e il sul sequel Shift 2 Unleashed, sono un po' finiti nel dimenticatoio, ma interessanti sotto tanti punti di vista. Si è cercato in questo caso, non di realizzare una simulazione certosina della fisica ma di replicare le sensazioni che essa genera su un pilota, grazie all'uso di allegorie visive come sfocature accentuate, particolari filtri, telecamera dal casco che segue la corda della curva, nonché l'utilizzo dell'audio, come l'ansimare a seguito di una brutta botta. Con questi espedienti, gli Shift, sono riusciti a ritagliarsi un loro spazio, immergendo il giocatore nella psiche e nell'emotività del pilota piuttosto che nella guida dell'auto.

La personalità dei piloti, in un racing game, è un elemento del tutto trascurato, dando la sensazione di competere più con auto che si guidano da sole piuttosto che con altri piloti. Un grosso incidente, non scalfirà mai la fredda integrità del pilota dell'auto avversaria, perché semplicemente, è un manichino. Come si può rimanere soddisfatti da una corsa se chi abbiamo battuto è un signor nessuno?

Codemasters ha cercato di risolvere il problema con Grid. L'introduzione del sistema Nemesi (che non ha nulla a che vedere con quello Monolith) ha sicuramente dei problemi eppure funziona, trasformando una semplice etichetta con nome e cognome in un pilota cui è possibile ricostruire un minimo di narrazione: ci si ricorda di quel pilota, avendone quasi timore. In poche parole, quell'IA, assume una personalità. Avere qualcuno da battere, una rivalità, è fondamentale per immergere il giocatore all'interno di una gara digitale, ed è per questo che le sessioni online hanno sempre un grande successo. In single player, al di fuori di Grid, quel che rimane è una corsa solitaria verso il traguardo, un sentirsi soli nonostante si è circondati da una decina di piloti.

La teatralità dei Grid si è evoluta nel corso degli anni e unico reale tentativo di rendere il tutto più appetibile.

Finora abbiamo visto come gli attuali racing game facciano fatica a trasmettere una reale passione per questo mondo. Non basta dunque creare un elenco di auto e piste per risolvere la questione, ma c'è un altro elemento su cui non si riesce a trovare una quadra: la carriera. Qui, interviene ancora Grid, che tocca il picco nel secondo capitolo nonostante la secca virata verso l'arcade.

La creazione del WSR, un campionato mondiale multidisciplinare, ci vedrà come pilota di punta del suo mecenate, alla ricerca dei migliori team da sfidare e includere nel torneo. Rispetto allo "stile Gran Turismo" qui abbiamo un reale obiettivo, la consapevolezza di fare qualcosa di concreto. Inoltre, grazie alla colonna sonora, si diviene protagonisti di una storia che non si racconta solo con cutscene ma anche col gameplay. È il coinvolgimento generale a rendere Grid speciale: nonostante tutti i limiti che si porta dietro, rimane memorabile, creando l'effetto di rendere anti-climatici i concorrenti.

A questo punto, con un Gran Turismo che torna alle origini e un Forza Motorsport ancora disperso, ha ancora senso proporre una carriera composta semplicemente da una serie di eventi? Nel 2022, con tutti i videogiochi che ci circondano, basta come input il semplice guidare? Gran Turismo, ha sin dagli inizi puntato tutto sul senso di progressione, divenuto un must, per tutti i racing game. Vi sono state variazioni sul tema, ma con Forza Motorsport che ne esce peggio anche se, forse, sembra andare verso una nuova direzione, che invogli il giocatore a vivere il mondo dell'auto piuttosto che esserne spettatore. In fin dei conti, abbiamo bisogno di storie anche in titoli dove la parola "coinvolgimento" è stata data fin troppo per scontata.

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Forza Horizon 5

Xbox One, Xbox Series X/S, PC

Gran Turismo 7

PS4, PS5

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A proposito dell'autore

Marcello Ribuffo

Contributor

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