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Sonic e il Cavaliere Nero

Una favola senza lieto fine.

C'era una volta un carismatico porcospino blu. Il rapidissimo animaletto correva fulmineo per le solari pianure a scacchi della Green Hill Zone, irraggiungibile e amato da tutti. Sonic, così si chiamava il coraggioso porcospino corridore: sembrava destinato ad un futuro a dir poco radioso. Ma, col passare degli anni, arrivarono i guai: prima le cattive compagnie, con frequentazioni poco raccomandabili ed amicizie decisamente sbagliate, poi scelte sempre più incomprensibili e dolorose. Avventura dopo avventura, il declino del prode porcospino si fece inesorabile, ed il povero Sonic finì per ridursi a triste caricatura di se stesso, stritolato dai ricordi dei tempi che furono.

Che state dicendo? Ho forse sbagliato favola? Ah già scusate, chissà come devono essermi venute in mente certe cose.

Sonic e il Cavaliere Nero, dopo le mille e una notte di Secret Rings, si concentra su un'altra importante epopea fantastico-letteraria: il magico mondo medievale di Re Artù. Aspettate a storcere il naso, che ancora vi devo spiegare la principale motivazione dietro a questa surreale scelta: quest'ultima avventura della mascotte Sega è interamente incentrata sui combattimenti all'arma bianca.

Caliburn, la vostra potente arma parlante, non farà a fette soltanto i nemici ma anche i vostri maroni con il suo fastidioso chiacchierare.

Avete letto bene, sì. Sonic. Il porcospino supersonico da sempre noto per la roboante velocità. In un gioco con le spade. Ok, via libera ai legittimi storcimenti di naso e agli aggrottamenti di sopracciglia, tutti insieme al mio 3. Perché davvero l'atteggiamento di SEGA è diventato anche onestamente difficile da commentare: un personaggio ormai allo sbando, svilito da continue sperimentazioni senza senso. Una punta di diamante ridotta più e più volte ad inglorioso cumulo di letame. Ma è proprio così tanto difficile per la (ahinoi ex) grande S capire che la serie debba tornare alle origini per ritrovare la giusta via? Costruendo ancora una volta il cuore del gameplay di Sonic sull'idea di correre, muovendosi liberi, fluidi, come il vento. E infatti non ha caso ho letto nelle scorse settimane una provocazione, un po' involontariamente buttata lì dall'utente di un forum, in merito a quel capolavoro empatico che è flOwer (sì, il gioco del PSN...): si diceva, e sono d'accordo al 101%, che proprio l'incedere caratteristico dello sperimentale titolo di Thatgamecompany dovrebbe essere preso come base per ripartire da zero con Sonic, dando giustizia 3D alle efficaci meccaniche di una volta.

Il solito passaggio a rischio... rabbrividiamo (cit.).

Ma bando alle elucubrazioni un po' deliranti, passiamo al vero e proprio oggetto della review. Partiamo subito dalle note positive: il gioco è una gioia per gli occhi. Bello da guardare, assolutamente ricco di fascino grazie ai colori brillanti e agli scenari fortemente evocativi. E così sarà decisamente piacevole perdersi tra prati verdeggianti, grotte irradiate dalla tenue luce di misteriosi cristalli rosati, rovine semidistrutte ed elementi newage sparsi qua e là. Ugualmente pregevoli i curatissimi FMV (ad onor del vero sempre ineccepibili nelle produzioni SEGA...) e tutti i vari dettagli di contorno, dagli eleganti menu alle riuscite cutscene vagamente acquerellose. Non manca a dirla tutta una certa ripetitività di fondo nelle ambientazioni, spesso abbondantemente riciclate per più missioni di seguito, ma tant'è: sarebbe ingeneroso lamentarsi di un comparto grafico di questo livello visti gli standard medi della console.

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Marco Mottura

Contributor

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