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Ashwalkers - prova

Una clessidra di cenere.

Tra le demo proposte nel Festival dei giochi di Steam, quella del survival narrativo Ashwalkers spicca per la presenza di un nome in particolare: Hervé Bonin. È uno dei fondatori di Dontnod, tra le menti dietro Remember Me e Life is Strange. Con il suo nuovo studio, Nameless XIII, si cimenta questa volta in un'avventura a scelte multiple, con un percorso non lineare tra città fantasma e valli battute da venti impetuosi e cenere.

A prima vista, Ashwalkers sembrerebbe un survival procedurale. In realtà è pensato e scritto come un percorso interattivo, che conduce, a seconda degli approcci e dei percorsi scelti dal giocatore, a uno dei 34 finali. L'intero gameplay di Ashwalkers, per fare un paragone, è una versione contemporanea ed esteticamente potenziata di Oregon Trail: ha molto dell'avventura testuale. Come avveniva nei libri game, non è sempre facile prevedere gli effetti delle scelte: la maggior parte del tempo bisognerà seguire l'istinto e andare alla cieca. Solo in alcuni casi, un segnale a schermo avviserà quando qualche scelta è meno prudente delle altre.

Nella nostra prova abbiamo potuto testare il primo capitolo, che illustra pregi e difetti della Squadra Tre e insegna, gradualmente, che non bisogna prendere sottogamba un mondo post-apocalittico. Ambientazioni come quella di Ashwalkers, per quanto possano sembrare deserte, brulicano sempre di minacce nascoste.

Cover image for YouTube videoAshwalkers: A Survival Journey - Renaming Trailer

La Squadra Tre ha lo scopo di salvare la Cittadella dall'avanzata della cenere, cercando una leggendaria arcologia, o cupola (the Dome of Domes), che promette la salvezza. Per riuscire nella sua impresa, il team dovrà superare branchi di lupi, grotte occupate da misteriosi viandanti, banditi e altri ostacoli di natura ambientale, come gelo e tempeste. Ognuno dei quattro esploratori (non personalizzabili) ha una qualità principale, che sia la forza, l'agilità o una mente strategica. Per esempio Petra, il capitano, è dotata di un certo carisma. Sinh, Kali e Nadir sfoggiano le loro competenze, di guerrieri e tecnici.

Le meccaniche di sopravvivenza si incentrano sulla raccolta di cibo, legna, medikit, da recuperare attraverso nodi d'interesse sparsi per le mappe. Le risorse da tenere in considerazione, per quanto riguarda la squadra, sono fame, calore, energia, speranza (equivalente al morale) e punti vita. Montare un accampamento non si tratta di un procedimento automatico, non cura tutto e subito. Qualcuno dovrà infatti occuparsi della guardia, per esempio, spendendo energia dopo essersi, magari, appena rifocillato. Qualcun altro lo si farà dormire, o si manderà in esplorazione solitaria, in cerca di ulteriori oggetti. Insomma, equilibrio e sanità del team sono quasi sempre sul filo del rasoio.

Complessivamente, ci sono quattro approcci alle situazioni. Quello silenzioso, incentrato sull'evitare incontri spiacevoli (ma anche possibili alleati). Quello violento, che risolve sul nascere qualsiasi dubbio etico, ma che a fronte di una maggiore facilità nell'ottenere risorse, causa qualche inimicizia lungo la strada. Il rapido, che minimizza il consumo di risorse, ma è decisamente imprudente. Infine quello sociale, che punta a costruire relazioni ed è quello che apre le porte a situazioni familiari a qualunque giocatore di ruolo. La morte di un membro del party spesso preclude uno di questi approcci. Il game over si ha quando tre dei quattro personaggi sono morti.

Superato il Beacon, il mondo si divide in bivi.

Il mondo proposto, allo stato attuale, sembrerebbe ben scritto e ideato, tanto che un'enciclopedia permette di tener traccia delle scoperte più bizzarre, e costruisce pian piano un database di ambientazione utile a comprendere quanto si è scoperto del gioco. Le informazioni sono da intendersi come veri e propri collezionabili: deviare dai percorsi principali paga in questo senso.

La grafica è in cel-shading, in scala di grigi: una scelta azzeccata e letteralmente abbacinante, capace di far risaltare le ombre delle grotte, ma anche l'arsura dei canyon illuminati dal sole. Purtroppo, durante le nostre run, abbiamo incontrato lupi e banditi, ma niente di davvero spaventoso o in linea con l'estetica monocromatica proposta. La speranza è che la versione definitiva sveli laboratori, mostri degni di un Deathclaw e altri ostacoli tipici dei racconti post-apocalittici più acclamati.

Sulla base di quanto detto, siamo curiosi di saperne di più. Non soltanto per via dell'immancabile fascino che suscita un mondo così particolare, colpito da un cataclisma di cui si sa poco. L'aspettativa più grande è nei confronti del gameplay, che alterna il momento gestionale dell'accampamento al più narrativo delle scelte pure, strategiche e morali che siano.

Alle minacce, inaspettate, si può reagire con violenza o diplomazia.

Quale sarà il tasso di letalità delle Ashplains, nel lungo termine? Cosa nasconde il Dome? Come si sopravvive in un mondo di cenere? Quanto sono differenti, l'un l'altro, i diversi percorsi? Pare che lo scopriremo proprio quest'anno, anche se ancora, una data certa, non c'è. Ci chiediamo se, al contrario delle città perdute sotto la cenere di cui parla Ashwalkers, l'opera prima di Nameless XIII sarà in grado di farsi scoprire dal grande pubblico.

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Antonino Fiore

Contributor

Classe 1993, in squadra dal 2018. Ha scoperto i videogiochi con i floppy dell’Amiga e da allora vive, sbalzato temporalmente, una generazione indietro. Dalle avventure grafiche agli horror, è un accanito retrogamer e un vorace escapista. Con gli anni ha realizzato d’essere, più che altro, un semplice Homo Ludens. Megaman e Suikoden sono i suoi punti deboli.

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