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Athena recensione, Mad Max incontra le banlieue

Un conflitto tra fratelli che è specchio della società.

Essi vivono. Che siano ribelli o criminali, complottisti o zombie, c’è una parte consistente di società “diversa” che vive con noi (noi “normali” e già qui ci sarebbe da discettare), procede parallela, ci sfiora, ogni tanto ci intercetta, ogni tanto si scontra.

In generale facciamo finta che non esista, che riguardi solo certe zone (reali o virtuali) ben delimitate, “ghetti”, quartieri dove “noi” non mettiamo piede e da dove “loro” però non dovrebbero uscire.

Se c’è una cinematografia che ha saputo raccontare la degenerazione di questa situazione, reale, è la Francia, dove dal 1994, anno dell’Odio, il memorabile film di Mathieu Kassovitz, le cose sono solo peggiorate. Con maggiore o minore propensione a spettacolarizzare, a insistere sulla violenza pura o a tracciare un quadro sociologico, molti film si sono occupati dell’argomento e alcuni sono stati così esemplari da restare impressi, come Les Misérables, diretto nel 2019 da Ladj Ly, ricordiamo poi Vita da Banlieue del rapper Kery James (diversi anche se imparentati il bellissimo Polisse e BAC Nord). Senza dimenticare l’ansiogeno Shorta, film danese del 2020 (perché anche lì le cose non vanno benissimo).

Due fratelli che si sono perduti.

Dopo essere stato presentato al Festival del Cinema di Venezia, arriva adesso Athena, in streaming su Netflix, il nuovo film di Romain Gavras, qui al suo secondo lungometraggio, il cui cognome dirà molto agli spettatori più adulti, essendo stato suo padre Costa uno dei maggiori registi greci degli anni 60/70 e anche ’80, tuttora attivo, un uomo fortemente politicizzato, autore di film come Z – L’orgia del potere, La confessione, L’Amerikano, Missing, Music Box.

Athena è un nome di fantasia, non esiste una banlieue che si chiami così, è questo è già il segnale che Gavras Jr intende discostarsi da altri film di genere, per concentrarsi sulla narrazione di una tragedia greca, con un conflitto tra fratelli, ciascuno simbolo di un modo di vivere, di un modo diverso di rapportarsi con il mondo “di fuori” e del diverso fallimento.

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Cinque fratelli, non tutti dello stesso padre, entrano in scena uno dopo l’altro. Uno, Idir, 13 anni, non lo vedremo mai, è quello che ha dato l’avvio a tutto, pestato a morte da un gruppetto di poliziotti (ma erano davvero poliziotti?). Abdel è un militare richiamato sul posto per fare da tramite fra autorità e rivoltosi. Arrivato a posizioni di responsabilità, stimato perché simbolo di un cambiamento, segnale che “l’integrazione” è possibile (ma a che prezzo?), commetterà l’errore di credere che si possa ancora ragionare.

Karim, più giovane, scatena una guerra di violenza inusitata pur di avere i nomi dei responsabili della morte del fratellino. Accecato dal delirio di onnipotenza per essere diventato il leader della rivolta, è uno con il quale non si ragiona più. Come non si può ragionare con Moktar, il maggiore, un brutale spacciatore che pensa solo a far sparire borsoni di cocaina, in previsione di un’irruzione delle forze dell’ordine. Sébastien sembra un bambino nel corpo di un adulto, mentre si occupa di una bellissima aiuola fiorita, ma ricoprirà un ruolo ben diverso.

La “tartaruga” l’avevano inventata già gli antichi romani.

Intorno a loro si agitano i fanatici che seguono Karim ma anche gli inquilini fuori dal folle gioco, per la maggior parte mussulmani moderati che fanno capo a un impotente Imam. Il contagio si espande, sommosse e attacchi dilagano per il paese, contro polizia o mussulmani, da parte di destra e sinistra. Il Sistema, che ha lasciato degenerare la situazione a un punto ormai di non ritorno, sacrifica senza scrupoli poliziotti incolpevoli buttandoli nella mischia. Nessuno ascolta nessuno, tutti si precipitano a testa bassa verso l’abisso.

Athena è un thriller d’azione, un film d’assedio, un film di guerra urbana, la storia di una famiglia che si è perduta, non c’è spazio (sarebbe scontato, banale) per messaggi di denuncia, per analisi sociali già esposte troppe volte, si dà giustamente per scontato che quei ragionamenti chi guarda li abbia già elaborati. Come, quando tutto è iniziato, quale illusione social/urbanistica, quali errori nella gestione dell’integrazione, quali ideali mai condivisi e promesse non mantenute hanno generato tutto questo? E in che modo si potrebbe porre rimedio? In nessun modo, ormai.

Fuochi d’artificio come armi d’aggressione .

Su quell’inferno non possono che svilupparsi storie estreme e questo ci racconta Gavras, che del resto scrive la sceneggiatura proprio con Ladj Ly, autore del capolavoro di cui dicevamo sopra, Les Misérables. L’assalto iniziale e altre sequenze di combattimento, per la violenza primitiva ricordano assalti medievali, risse selvagge alla Mad Max.

Romain Gavras mette in scena, con gusto spettacolare e con’indubbia attrazione per “épater le burgeois”, una tragedia che illustra l’impossibilità della coesistenza civile di posizioni estreme, incarnate nelle diverse tipologie dei fratelli. Tanta violenza coreografata con stile non mina l’efficacia del film e lascia ugualmente il tempo a riflessioni, paragoni, confronti. E pessimistiche previsioni. Come violenza chiami violenza e sangue chiami sangue in un’escalation logica, inevitabile, irrefrenabile, quasi condivisibile. Pochi però sono disposti ad accettare le conseguenze delle proprie scelte.

Ladj Ly in un’intervista ha detto: “Il nemico in comune tra gli abitanti del quartiere e i poliziotti è la miseria”. Athena è un film (come alcuni di quelli citati sopra) che alcuni sindaci italiani dovrebbero guardare con attenzione.

Fin qui non è andato tutto bene. Andrà sempre peggio.