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Bloodshot - recensione

Vin ha sempre un cuore grande.

Capita di iniziare a vedere un film in modo "ignorante", senza essersi preparati, senza aver visto chi è l'autore, da cosa sia stato tratto. Si vede che c'è Vin Diesel e ci si aspetta un certo genere di film. In Bloodshot, dopo cinque minuti si sarebbe tentati di chiudere, perché già troppi sono stati gli stereotipi, i de ja vu, le rimasticature.

Manca l'originalità insomma, perché siamo di nuovo sull'eroico soldato, Ray Garrison, che dopo avere compiuto il suo eroico dovere, mentre si concede il meritato riposo con l'adorata mogliettina (sulla nostra Amalfitana), finisce brutalmente ammazzato da un terrorista cattivone. Ma viene fatto rinascere in forma di cyborg da una tecnologia che usa nano particelle (naniti per la precisione, pompati direttamente nelle vene) ma assai potenziate, che fanno di un uomo, già di suo letale, una vera macchina da guerra inarrestabile, che si ripara istantaneamente dopo qualunque sfracello (un po' come il Terminator T-1000 di Judgment Day). Oltretutto Ray si connette istantaneamente a ogni rete di computer, capace perciò di accedere istantaneamente a ogni database, riuscendo così a superare qualunque ostacolo. Tutto avviene in un super-laboratorio, super tecnologico e segretissimo, governato da una specie di Frankenstein, che ha gli occhiali di Guy Pearce e una mano artificiale.

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Quindi si sbuffa perché troppe ne abbiamo viste, sull'argomento. Ma si farebbe male, perché poi la storia, pur all'interno dell'iperbole più totale, prende una piega più interessante (leggermente, non esaltiamoci). E questo ci fa tornare all'inizio, perché se ci fossimo informati, avremmo visto che la sceneggiatura di Jeff Wadlow e Eric Heisserer è tratta dal fumetto di Kevin VanHook, Don Perlin e Bob Layton, pubblicato nel 1992 da Valiant, con grande successo per un personaggio che già allora era derivativo di molti altri su carta o su pellicola, di cui Sony si è comprata i diritti di sfruttamento. Quindi per non fare spoiler non spieghiamo quale sia questo colpo di scena, ma diciamo che rende il film più visibile, più accettabile.

Resta che Vin, con un po' di massa grassa in meno rispetto all'ultimo F & F, continua a fare quello per cui è stato costruito, come attore e come personaggio, cioè demolire persone e cose come un uragano, assistito (fino a un certo punto) da altre "creazioni" del Dottor Harting. Che sono tutti combattenti estremi che hanno riportato danni devastanti in azione: abbiamo un marine che ci aveva rimesso gli occhi e ora ci vede, un altro dei corpi speciali che è rimasto senza gambe dal ginocchio in giù (il più antipatico) e una guerriera che respira artificialmente ma che importa visto che è bellissima (alcuni di questi marchingegni sono in effetti operativi sui reduci di guerra, l'uomo bionico ormai ci fa una cippa).

Ad aiutare Ray nel tentativo di ritrovare una parvenza di vita umana da quella macchina di morte in cui è stato tramutato, sarà il solito programmatore super-nerd, al quale è affidata la parentesi comica. Ray però faticherà a recidere i fili che fanno di lui una marionetta nelle mani di Harting e questo avverrà dopo la prevedibile quantità di esagerati massacri.

Non si esce mai indenni da un incontro con Vin.

Vin è come sempre in canotta candida e sempre lapidario, i suoi dialoghi con superano mai le tre/quattro parole per volta, in cui apprezzare il suo noto vocione baritonale. Ma l'espressività non è mai stata il suo forte. La bella con problemi di respirazione è Eiza González, vista nella serie Dal tramonto all'alba, Bay Driver e Alita, e soprattutto in Hobbs & Shaw, dove aveva richiamato attenzione sul suo personaggio. Messicana, si può dire quasi una versione più giovane e glamour (meno maschiaccia) di Michelle Rodriguez. Lamorne Morris è meno irritante che in New Girl, nel suo ruolo da genio tecnologico, dalle elementari ambizioni per un tale cervellone. Toby Kebbel (Servant, Ben Hur) fa lo psicopatico, Sam Heughan, eroe di Outlandr, qui è relegato a fare il cattivo monotematico. Iperbolica (aggettivo ricorrente, scusateci) la scena di combattimento con un paio di super-cattivi potenziati con esoscheletro, in caduta libera lungo la colonna esterna degli ascensori di un grattacielo.

Dirige Dave Wilson, con un budget di soli 40 milioni di dollari, al suo esordio su grande schermo, in precedenza aveva realizzato un episodio di Love, Death and Robots, Sonnie's Edge, e aveva lavorato su trailer di film e videogame. Wilson presta molta cura all'estetica delle "demolizioni", alle tonalità della fotografia di Jacques Jouffret, dall'onorabile carriera, agli effetti speciali e alle musiche di Steve Jablonsky, conseguendo risultati non disprezzabili. Un po' confuse le scene di combattimento. Con la distribuzione bloccata dal Covid-19, contro cui avremmo visto volentieri in azione qualche nanito, il film è finito subito in visione on demand.

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Giuliana Molteni

Contributor

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