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C'era una volta il tuo negoziante preferito

Aneddoti e ricordi di un caro estinto: il negozio di videogiochi.

Domani, il cloud, il digital delivery e chissà cos'altro.

Oggi, Gamestop e Amazon.

E ieri?

Ieri c'erano i negozi di videogiochi, senza franchise, senza brand, gestiti da persone che potevano essere più nerd di te oppure dei perfetti incompetenti. All'alba dei tempi, all'inizio degli anni '80, i videogiochi erano considerati alla stregua di giocattoli e si trovavano sparpagliati un po' ovunque.

Ricordo distintamente che mia madre una volta mi comprò una cartuccia per l'Intellivision in una cartoleria vicina a via Ripamonti, a Milano. I pochi negozi "specializzati", anche se è una definizione che sta loro fin troppo larga, rappresentavano un vero paradiso in terra per coloro che varcavano la loro soglia, specie se in tenera età come faceva il sottoscritto.

In particolare ricordo un punto vendita ubicato nella galleria di Via Manzoni dove c'era il cinema e dove oggi ancora resiste miracolosamente il teatro omonimo. Immaginatevi lo shock: tutte le console dell'epoca (Inty, Atari 2600, VideoPac della Philips e l'allora inaccessibile Colecovision) e tutti i computer commercializzati al tempo (Vic 20, Commodore 64, ZX81, Spectrum, quel pacco infame conosciuto anche col nome di Sharp Mz 721, TI-99/4A della Texas, vari modelli Apple, Sega Sc-3000 e almeno un'altra mezza dozzina di hardware ovviamente incompatibili gli uni con gli altri e presto destinati a una triste fine).

"Ieri c'erano i negozi di videogiochi, senza franchise, senza brand, gestiti da persone che potevano essere più nerd di te"

Un bagno di sangue. Un bagno di sangue.

Altro che acquisto compulsivo. se avessi potuto lavorare (purtroppo ai tempi la Foxconn non c'era e non poteva assumermi, anche se io i dieci anni richiesti ce li avevo) avrei dilapidato tutto il mio patrimonio in videogiochi. Il bello è che, considerando a quanto si vende oggi l'hardware vintage su Ebay, alla fine c'avrei pure guadagnato, ma tant'è.

Il vero boom dei negozi di videogiochi si ebbe ai tempi dei 16 bit, per due ragioni: in primis, la pirateria. A Milano c'erano due negozi, Flopperia e Newel (quella di Via McMahon), che spacciavano per originali titoli per Amiga venduti in piccole confezioni di plastica colorata con appiccicata sopra un'immagine del gioco. E che mi stai a coglionà? Io ovviamente non ci cascavo, ma credo che qualcuno ai tempi fosse pure caduto nella rete, visto che prosperavano alla grande.

In Flopperia, ubicato in Viale Montenero, erano dei veri geni: vendevano i titoli pirata a 10000 Lire a dischetto. Immaginate quanto potesse costare, chessò, un'avventura Lucas come Monkey Island 2: LeChuck's Revenge o Indiana Jones and the Fate of Atlantis, che sul computer della Commodore veniva splittata in almeno dieci o dodici dischetti, costringendo peraltro il giocatore ad un furioso disk swapping. Comprando l'originale si risparmiavano bei soldi, eppure qualche gonzo si trovava sempre.

"Il vero boom dei negozi di videogiochi si ebbe ai tempi dei 16 bit, per due ragioni: in primis, la pirateria"

Il presente del videogioco sarà anche il suo futuro?

Fortunatamente c'era pure il rovescio della medaglia, visto che poteva essere lo stesso acquirente a gabbare i proprietari che avevano avuto la pessima idea di identificare i giochi con un numero scarabocchiato sopra. Così, bastava andare lì con un dischetto vuoto, scriverci sopra con mano tremolante un numero, cercando di imitare la nervosa calligrafia del ragazzo che stava "dietro le quinte" a duplicare la roba, e il gioco era fatto.

In secondo luogo c'era il fenomeno dilagante dell'importazione parallela, il mantra di ogni appassionato che si rispetti nel decennio 1989-1999. Il giocatore sgamato sapeva che le versioni PAL erano una schifezza e così acquistava a caro prezzo console modificate in modo che ci potessero funzionare titoli americani o giapponesi. Il problema è che questi venivano venduti dai negozianti ad un prezzo pari a quello di qualche organo interno al mercato nero.

A Milano il più rifornito in questo senso, era Console Generation, un bugigattolo in via Capecelatro (se non ricordo male). Il tipo che lo gestiva era molto competente, tant'è che riusciva, grazie a misteriosi agganci "made in Japan", ad avere particolari titoli PRIMA che apparissero sulle riviste nostrane!

"Il fenomeno della importazione parallela era il mantra di ogni appassionato nel decennio 1989-1999"

Usato o nuovo? Una volta il problema non si poneva.

Ricordo il giorno in cui mi presentò "appena arrivato dal Giappone" Perfect Eleven per SNES. Io non ne avevo mai sentito parlare ed infatti il gioco venne recensito solo due mesi dopo su Game Power e Consolmania. Il prezzo? 269mila lire dell'epoca pari a circa 130 euro attuali. Oh, li sganciai. Come facessi ad averli, mistero, ma non me ne pentii. Il bello è che ogni volta che entravi passavi ore e ore a dissertare sulle ultime novità, sull'andamento del mercato e sulla console war, perché diciamolo, trovare gente davvero preparata, alla fine degli anni '80, in un'era in cui forum e internet non esistevano, era davvero difficile e raro.

Altro caposaldo del videogioco milanese era un negozio di cui ahimè non ricordo il nome, ubicato in una traversa di viale Montenero e gestito da un duo che, nonostante la giovane età, avrebbe potuto tranquillamente essere scambiato per la versione in carne ed ossa di Statler e Waldorf, la coppia di uomini anziani e rompiballe protagonista di molte gag dei Muppet. Mai visti meno che incazzati per un qualsivoglia motivo.

Eravamo già ai tempi della prima PlayStation e ricordo alla perfezione che uno dei due banfava di aver venduto in 24 ore quattrocento copie di Gran Turismo jappo e aver contestualmente ricevuto entro poche ore altrettante telefonate di gente che non capiva che per superare la prima prova della patente bisognava fermarsi all'interno dello spazio quadrettato e non oltrepassarlo a tutta birra. Boh, magari era anche vero. Che avessero telefonato eh, alle 400 copie non c'ho mai creduto.

"I negozi di videogiochi di un tempo erano il volano perfetto per la nascita di leggende metropolitane"

Negli anni '90 esporre in vetrina un Neo Geo significava attirare l'attenzione di tutti.

I negozi di videogiochi di un tempo erano il volano perfetto per la nascita di leggende metropolitane, anedottica spiccia e figure mitiche, dal posto in cui un folle svendeva titoli Neo-Geo a 99mila lire nel loculo in culo ai lupi dove tutti si recavano comunque perché c'era la commessa bona. Personalmente ne ricordo uno che stava in fondo (ma proprio in fondo) a via Meda che mi rimase impresso perché, oltre a darti titoli warez anche se uno voleva comprare gli originali (e vabbè), fu anche quello in cui vidi per la prima volta girare l'Amiga e ovviamente fu amore a prima vista.

Ci sarebbero migliaia di aneddoti, ricordi, momenti esilaranti legati ai negozi di videogame, sicuramente meno organizzati dei nostrani GameStop ma, diciamolo, molto ma molto più accattivanti, simboli di un'era pionieristica oramai assurta a mito e (finalmente?) terminata da un pezzo.

Io vi ho detto i miei, adesso la parola spetta a voi.

Andrea Chirichelli è co-founder ed editor di Players Magazine, un progetto editoriale che mira a discutere di intrattenimento in maniera matura e indipendente, coinvolgendo un pubblico smaliziato e vagamente geek.

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A proposito dell'autore
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Andrea Chirichelli

Contributor

Nasce circa 40 anni fa in una domenica buia e tempestosa. Negli ultimi anni ha offerto il suo discutibile talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic. Odia apparire in foto.
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