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Come sono diventato un giocatore 'multiplayer-only' - editoriale

Dopo 35 anni di gioco solitario è avvenuto l'impensabile. Ecco perché.

Lo scorso 7 gennaio ho compiuto 44 anni. Di questi, considerato che il primo approccio coi videogiochi risale all'estate del 1982 in sala giochi ( con Jungle Hunt, Popeye, Galaga) e al Natale dello stesso anno a casa (grazie ad un avveniristico Mattel Intellivision + Space Armada), ne ho trascorsi quasi 35 giocando. Da solo.

Ok, non proprio sempre, ricordo epiche sessioni a Kick Off, Street Fighter 2, Bomberman, Mario Kart, Poy Poy (titolo semisconosciuto e incredibilmente sottovalutato) e Micromachines ai tempi di Amiga, SNES e Playstation, ma si trattava di multiplayer locale e comunque gli dedicavo una minima percentuale del tempo dedicato al gioco in solitario.

Il gioco online, specie nella sua accezione "competitiva", l'ho sempre evitato, un po' perché col passare degli anni i riflessi non sono più quelli di una volta e un po' perché molto spesso ho trovato l'aria online onestamente irrespirabile, satura di, uhm, come dire, bimbominkiaggine.

Inside, insieme a Virginia e Firewatch, è uno dei pochi titoli single player che ho giocato quest'anno.

Nel 2016 invece ho passato quasi tutto il tempo speso sui videogiochi a giocare in multiplayer, ignorando sistematicamente quasi qualsiasi uscita "classica", fatte salve poche eccezioni. Sì, ho iniziato e finito Uncharted 4 (in una quindicina di ore e poi non l'ho più ripreso in mano), ho terminato Virginia, Inside e Firewatch in una singola sessione, ma per il resto ho trascorso tutto il tempo ludico a mia disposizione su tre soli titoli: Overwatch, Hearthstone e Forza Motorsport 3 (che ovviamente si può giocare anche da soli ma che sfrutto principalmente per fare a sportellate con gli sconosciuti).

Tutti i titoli citati hanno un comune una difficoltà di approccio molto bassa e una curva di apprendimento ottimale e richiamano per immediatezza gli arcade delle sale giochi (o il meraviglioso Magic The Gathering, nel caso di Heartstone, mio grande amore ai tempi del liceo). Così, dopo averli scoperti, ho provato, riuscendoci, a giocarci su console senza cuffie e mi sono accorto che, incredibilmente, i risultati non erano malaccio. Così ho continuato, perseverato e oggi me la cavo egregiamente con tutti i tre i titoli. Risultato: il 99% del tempo libero dedicato ai videogiochi finisce lì.

La cosa doppiamente bizzarra è che ho sempre detestato il genere degli FPS, in qualsivoglia forma fosse stato declinato in passato. Non mi sono mai particolarmente esaltato per Doom o Quake o Half-Life, tanto per citare i titoli più famosi in assoluto, e non toccherei le saghe di Battlefront, Halo e Call of Duty nemmeno con un bastone. Un primo "scrollone" l'avevo avuto con Splatoon, che ho molto apprezzato, ma non ho avuto modo di approfondire il discorso, avendo venduto Wii U una volta resomi conto che Nintendo lo stava suicidando.

La mancanza di Nintendo, che ha abbandonato prematuramente Wii U al suo destino, ha creato sacche di tempo libero che ho impiegato altrove.

La progressiva disaffezione nei confronti dei titoli in single player ha lasciato sgomento e incredulo per prima cosa me stesso. Così ho provato ad analizzare "la ragione per cui" e sono giunto a plurime risposte.

Sicuramente (mi) è appunto mancata Nintendo, che da un paio d'anni, almeno in ambito home console, è assente ingiustificata avendo abbandonato WiiU al suo (triste) destino. Mario, Zelda e gli altri brand dell'azienda giapponese sono assegni circolari e li ho spolpati durante ogni generazione ludica. Spero che Switch la riporti al lustro che si merita, anche se sono piuttosto pessimista.

In seconda battuta ho avuto sempre, per tutto l'anno (anche gli anni scorsi, ma nel 2016 ho toccato il picco), una costante sensazione di deja Vu. Troppi sequel, troppe promesse non mantenute (sono davvero curioso di vedere se il caso No Man's Sky avrà nel medio e lungo periodo un impatto sui preacquisti del day one).

Overwatch è il titolo che più di tutti ha catalizzato la mia attenzione negli ultimi tempi. Me l'avessero detto anni fa, mi sarebbe parso impossibile.

Molti dei miei generi preferiti (platform, beat'em up a scorrimento, RPG a turni e/o strategici) sono oramai secondari nel panorama odierno, dominato da sandbox e openworld, e il fatto che vadano molto di moda tra gli indie non è una gran consolazione perché, a dirla tutta, trovo l'intero panorama "alternativo" spesso sopravvalutato. Un solo platform 2D Nintendo vecchio stile si beve tutta la produzione indie dello stesso genere.

Da anziano mi verrebbe anche da aggiungere una quarta motivazione. Sicuramente abbiamo un'offerta debordante e una maggiore accessibilità al videogioco, grazie a offerte e cali di prezzo subitanei ma manca la magia, il senso di attesa, la consapevolezza che un singolo titolo te lo dovrai far bastare per minimo minimo tre mesi, la scoperta dell'"AAA" sulle pagine di una rivista invece che seguirne la lavorazione giorno dopo giorno con un annuncio fatto magari un lustro prima dell'effettiva release.

Suppongo che anche questo abbia inciso. Due dei tre titoli sono concettualmente eredi della sala giochi: inserisci la moneta, giochi, spegni. Forse è quell'immediatezza che mi manca.

Infatti adesso credo che tornerò a mietere vittime col mio fido Bastion.

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Andrea Chirichelli

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Nasce circa 40 anni fa in una domenica buia e tempestosa. Negli ultimi anni ha offerto il suo discutibile talento a riviste quali Wired, Metro, Capital, Traveller, Jack, Colonne Sonore, Game Republic. Odia apparire in foto.

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