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Cosa ci aspettiamo veramente dalla next-gen?

No, la risoluzione non basta più.

"La next-gen è qui". Quanto tempo è passato dalla prima occasione in cui abbiamo aperto un articolo utilizzando questa frase? Beh, ormai sono circa sette mesi, e lo sappiamo bene, è un arco di tempo irrisorio se paragonato alla durata di una generazione videoludica.

Non si può pretendere chissà che cosa dagli sviluppatori, del resto le nuove macchine sono appena uscite, alcune addirittura non si trovano sugli scaffali, quindi è più che lecito giustificare le varie pubblicazioni cross-gen o la produzione di titoli poco spinti.

Viene da chiedersi, tuttavia, quand'è stato che abbiamo iniziato a ragionare in questa maniera, ritenendo quella di una transizione morbida l'unica soluzione possibile.

Di certo non è successo con il primo contatto con le cassettine del Super-NES. Non è accaduto in seguito al balzo effettuato dai CD-ROM di Sony PlayStation. Non è capitato neppure con i minidisk del caro vecchio GameCube, né tanto meno con l'introduzione delle altissime boxart di PlayStation 2. E non è successo nemmeno quando Oblivion ha esordito su Xbox 360, né toccando con mano i nunchuk di Nintendo Wii.

A onor del vero, è capitato una sola volta, durante l'esordio dell'ottava generazione di console. Sì, ne siamo consapevoli, ci stiamo avvicinando all'asintoto tecnologico ed è ormai impossibile assistere a salti generazionali impattanti come in passato, ed è proprio per questo motivo che è arrivato il momento di lavorare sulla scala delle idee.

Returnal ha l'enorme pregio di portare un concept del sottobosco indie nel mercato tripla A, assumendosi un rischio enorme.

Riavvolgiamo il nastro. La next-gen è qui, eppure ci stiamo confrontando con titoli che spesso e volentieri di next-gen hanno elementi come la risoluzione, il framerate, i tempi di caricamento o la qualità delle texture. Ce lo avete chiesto spesso ultimamente: "ma allora cosa vi aspettate veramente dalla next-gen?"

È una domanda da un milione di dollari, anzi, con i tempi che corrono di milioni ne vale almeno cinquecento. Vi diremmo che vogliamo toccare con mano l'innovazione, ma non ci sarebbe risposta più vaga di questa. Vi diremmo che ripensiamo spesso alle parole di David Perry, quando disse che sognava di trovarsi di fronte a una IA talmente raffinata da essere indistinguibile da un essere umano, ma sarebbe una semplice chiacchiera.

Passiamo ai fatti, dunque. Fra i pochissimi titoli coraggiosi che hanno scelto di esordire solamente per "next-gen" c'è Returnal di Housemarque, un prodotto che abbiamo scelto di premiare praticamente senza riserve nella nostra recensione. E fra le tante qualità che l'opera si porta appresso, a spiccare è senza ombra di dubbio la sua particolare natura di roguelite AAA.

Returnal adotta una formula esplorata e rifinita dalla ricerca incessante del sottobosco indipendente per applicarla all'orbita dei grandi investimenti, raccontando la sua storia in modo quantomeno trasversale e prendendo una deviazione considerevole dai binari del mercato tradizionale. Il videogioco di Housemarque, di conseguenza, non è semplicemente il primo roguelite AAA, ma è anche uno dei primi videogiochi che si possono definire next-gen.

La next-gen non sta nelle macchine, sta nelle idee. E il mercato indie, con giochi come Outer Wilds, è da anni nella next-gen delle idee.

Il mercato indipendente è un'entità estremamente difficile da raccontare al grande pubblico dei videogiochi; sono tantissimi gli appassionati che non riescono a scavalcare lo scoglio dell'obsolescenza grafica né quello della dimensione comunicativa, fermandosi alla copertina e leggendo, erroneamente, produzioni che vengono protette e premiate oltre misura dalla critica.

Il segreto di Pulcinella è che il mercato AAA dei videogiochi è divenuto un mondo costosissimo in termini di risorse economiche e umane, oltre che estremamente rischioso. Gli investimenti ripagano solamente nel lunghissimo periodo, ed è ormai arcinoto che possano emergere problematiche di ogni genere in fase di sviluppo. Per questa ragione, le saghe più blasonate arrivano a ridosso del settimo capitolo senza stravolgere la propria formula, puntando su meccaniche rodate e ancorandosi a una stilistica più che mai definita.

Nel frattempo, dietro le quinte, nascono gli Hades, i Disco Elysium, gli Outer Wilds, i Divinity: Original Sin 2, spesso trovando finanziamenti direttamente dal pubblico, limitando le spese al minimo e trattando con estrema cura ogni singola sfaccettatura della propria originale identità creativa.

Ed è proprio questo che vogliamo vedere dalla next-gen, qualcosa che ironicamente già esiste: un mercato coraggioso, differente, volenteroso di rischiare nel perseguimento di idee che spesso e volentieri non si allineano con il pensiero creativo dominante. In parole povere, vogliamo la next-gen delle idee. Housemarque ci ha provato, Sony ci ha creduto, e PlayStation 5 ha potuto inaugurare la nona generazione con un eccellente progetto finalmente distante dal classico action o dall'ennesimo open-world.

Per certi versi Red Dead Redemption 2 è un videogioco di stampo creativo next-gen uscito su old-gen.

Fra i prossimi titoli next-gen che si apprestano a colorare i nuovi hardware ce n'è uno che spesso si tende a dimenticare, ovvero Deathloop di Arkane Studios. E Deathloop è figlio di un'ispirazione molto simile a quella che ha guidato la mano di Housemarque: Arkane ha infatti assemblato una formula vicina a quella incontrata in Outer Wilds di Mobius Digital per comporre, anche in questo caso, un'esperienza esclusivamente next-gen che spicca per originalità nel mercato di prima fascia.

Sia chiaro che l'industry ha pur sempre bisogno di kolossal, e celebrando la spinta dell'immaginario indipendente il nostro obiettivo non è assolutamente quello di sottrarre meriti a opere come Red Dead Redemption 2 o The Last of Us Parte 2, che hanno saputo raggiungere lo stato dell'arte nel corso dell'ottava generazione. D'altra parte si tratta di titoli che a un occhio poco esperto potrebbero sembrare ancorati alle rispettive tradizioni di genere, ma che alla prova dei fatti vestono tessuti meccanici, filosofici, narrativi, recitativi e tecnici che non conoscono alcun comparativo nel medium.

Accanto ad essi, di contro, si snoda un immenso gomitolo di produzioni cresciute in simbiosi con i dogmi maturati nel corso della settima generazione, senza imboccare percorsi tangenziali né mettere in discussione le proprie radici. Si potrebbe obiettare che se una formula funziona non c'è alcun bisogno di cambiarla, giusto? Beh, il fatto è che la concorrenza nel frattempo va avanti, alcuni brand evolvono, alcuni publisher sperimentano, e diverse ricette rodate finiscono per invecchiare precocemente.

La next-gen dei videogiochi nasce da personaggi come Miyazaki, che hanno il coraggio di osare creando, anche involontariamente, innovazioni senza precedenti.

Ce ne vuole per sorprendere un giocatore sfruttando meccaniche da open-world dopo che questi ha saggiato il gameplay emergente e il motore chimico di The Legend of Zelda: Breath of the Wild. Hai voglia a colpire emotivamente un appassionato puntando sulla sceneggiatura in seguito al potentissimo viaggio di Ellie e Abby. E come si fa a lasciare qualcuno a bocca aperta con un setting fantasy dopo che si è perso per centinaia di ore esplorando le montagne di Skyrim?

In fin dei conti è proprio questo il peccato originale di qualsiasi nuova generazione, ovvero il fatto che ce ne siano state tante altre prima di lei: il parco delle opere cresce in maniera esponenziale, fissando sempre più pietre miliari lungo il percorso. E certo, ciò fa sì che i titoli "veramente" next-gen possano arrivare in qualsiasi momento, spesso e volentieri sul finire della generazione, ma questo è senz'altro un prodotto della smisurata attenzione che viene dedicata alla GPU.

Abbiamo discusso spesso dello spostamento delle risorse verso il comparto tecnico, criticando un processo ormai legato a doppio filo con risoluzione e framerate, con la realizzazione di texture che richiedono anni per essere limate, sottraendo un incalcolabile mole di tempo alla ricerca per inseguire feature dimenticabili come l'8K. E quando l'8K sarà una realtà alla portata di tutti e ogni videogioco sarà splendido a vedersi, cosa succederà? Succederà che saremo di nuovo punto e a capo.

Non solamente grafica o meccaniche: contano anche le storie e il modo in cui vengono raccontate.

La next-gen, oggi, non dovrebbe partire da un'immagine, ma da un'idea. Da stanze come quella in cui, nel 2004, personaggi come Allen Adham, Jeff Kaplan, Sam Didier e Chris Metzen misero su carta il folle concept di World of Warcraft. Da desideri come quello di Hidetaka Miyazaki, che voleva tornare alle origini del videogioco hardcore con la grande scommessa inedita di Demon's Souls. Da rischi come quello assunto da Patrice Desilets e Jade Raymond quando misero in piedi un certo titolo fantapolitico ambientato nella Terza Crociata.

La connotazione next-gen, per un videogioco, non dovrebbe derivare dalla macchina su cui gira, ma su concept alieni, meccaniche mai viste prima, storie coraggiose, guizzi creativi e rotture con il passato. È difficile? Certo che è difficile, e oggi è anche molto pericoloso. Ma questo è ciò che vorremmo vedere dalla next-gen, e a pensarci bene non è nulla di diverso da ciò che abbiamo visto nel corso degli ultimi quarant'anni.

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Lorenzo Mancosu

Editor-in-Chief

Cresciuto a pane, cultura nerd e videogiochi, i suoi primi ricordi d'infanzia sono tutti legati al Super Nintendo. Dopo aver lavorato dentro e fuori dall'industry, è finalmente riuscito ad allontanarsi dalle scartoffie legali e mettere la sua penna al servizio di Eurogamer.it.

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