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Project Morpheus: analisi delle specifiche

Il Digital Foundry esamina il casco VR di Sony e ci dice come si adatterà ai giochi Tripla-A.

La notizia era nell'aria da molto tempo, e ora Sony ha finalmente svelato il suo nuovo progetto dedicato al sogno della realtà virtuale. Sulla falsariga di Oculus Rift, Project Morpheus può essere visto come lo sdoganamento "mass market" della VR e il primo vero tentativo di portarla sulle console domestiche, dopo quello fatto da Sega nel 1993. In teoria, PlayStation 4 è perfetta per la realtà virtuale, avendo la GPU console più potente, un controller già pronto ad interagire in spazi 3D come il PlayStation Move e un grande numero di sviluppatori che hanno esperienza nella creazione di titoli 3D stereoscopici, oltre ad un team di ricerca e sviluppo sicuramente talentuoso.

Ma nonostante l'ambiente e l'ecosistema già favorevoli siano un grosso fattore, la domanda è: Sony sarà in grado di eguagliare e superare la tecnologia avanzata che troviamo in Oculus Rift? I vantaggi dello sviluppo su PC, per una esperienza di gameplay nuova e pionieristica, sono numerosi: una piattaforma completamente aperta, che consente a chiunque di comprare i kit di sviluppo e sperimentare, dai developer indie agli hacker, fino ovviamente ai publisher più grandi. E non solo: sia l'hardware VR che la tecnologia di rendering su PC possono evolvere e adattarsi più rapidamente. Si è già parlato di display VR 4K, e persino quelli potrebbero non essere abbastanza per un'esperienza di immersione ottimale. Lavorando con un'architettura prefissata e con poco spazio per miglioramenti, Sony deve rendere Project Morpheus perfetto già dal primo tentativo.

La sfida della VR su console riguarda due fronti: hardware e software. Sul primo punto, basandosi sui tool e le tecnologie disponibili, appare chiaro che Sony abbia fatto tutto nel modo migliore. Il prototipo di casco Sony è molto, molto simile alla seconda generazione di dev kit Oculus Rift, praticamente sotto tutti i punti di vista. La risoluzione dello schermo è la stessa, la frequenza del sensore anche, ed è integrato un sistema molto simile, basato sulla presenza di una videocamera esterna, per tracciare il movimento posizionale. Ci sono però un paio di aree nelle quali Sony deve migliorare: lo schermo LCD 1080p soffre se confrontato con quello OLED del Rift seconda versione, mentre l'angolo visivo di 90 gradi non raggiunge la stessa ampiezza di 110° messa a disposizione da Oculus Rift sin dal suo primo prototipo.

L'anteprima "eyes-on" di The Verge suggerisce che l'esperienza di Project Morpheus non sia immersiva come quella di Oculus Rift, ma come un responsabile di Sony, Anton Mikhailov, ci ha detto nel corso di un'intervista, le specifiche in ambito VR non sono attualmente standardizzate, quindi forse il paragone sull'angolo visuale non può essere così diretto come sembrerebbe.

Il prototipo di casco Project Morpheus, per l'esattezza la versione pre-release che i developer useranno per creare i loro titoli VR. Pur risultando più rifinito e pronto per il mercato del kit di sviluppo Oculus Rift, il casco Sony ha uno svantaggio in termini di display. Sony ha reso noto che intende integrare uno schermo OLED per la versione finale.

"La misurazione è effettuata sulla diagonale o in orizzontale? Questo è un fattore chiave: la diagonale è sostanzialmente 1.4 volte la linea orizzontale. I nostri 90° sono orizzontali. Se si fa il conto in diagonale, siamo oltre i 100°: credo che fare questi conti matematici sia abbastanza complicato, in quanto le parti ottiche che stiamo usando non sono standard, quindi non si può dare una risposta esatta. Ma siamo sicuramente molto sopra i 90°", ci ha detto Mikhailov.

"Siamo ancora nella fase sperimentale della VR, quindi non esiste un modo standard per misurare le cose. Quando si compra un TV 46 pollici, si sa che la misurazione è effettuata sulla diagonale, non sulle linee orizzontali. Se vogliamo paragonare le specifiche, c'è bisogno di definire questi standard. E l'ottica è ancora più complessa: per i display del casco il rapporto schermo potrebbe non essere nemmeno di 16:9. Quello di cui c'è bisogno è un campo visivo orizzontale e verticale. La diagonale può essere origine di fraintendimenti, in un certo senso. La situazione è complicata e i numeri non possono rispecchiarla matematicamente: in sostanza, a seconda di come osserviamo la questione, possiamo dire che l'angolo visuale del nostro prodotto è di 90° o 120°.

"Un'altra questione riguarda le lenti, e la distanza tra queste ultime e l'occhio. Quando ci si avvicina alle parti ottiche di un display VR, il campo visivo diventa più ampio. Le nostre specifiche si riferiscono a 90° considerando una persona che indossa occhiali e osserva le immagini del casco da 15mm di distanza o più. Quindi si tratta di una misurazione relativa ad una situazione molto specifica. "

Quello che è incoraggiante è che il prototipo di Sony è già molto migliorato rispetto ai suoi caschi già esistenti per il visionamento di film e che, andando ad affrontare gli stessi problemi già incontrati durante lo sviluppo di Oculus, Sony abbia studiato soluzioni per la maggior parte molto simili a quelle implementate nella seconda generazione di Rift. Ci sono addirittura dei miglioramenti: l'audio è adesempio standardizzato tramite un innovativo sistema di suono surround, qualcosa che Oculus al momento non integra nativamente, delegando ai singoli utenti PC il compito di adottare una soluzione audio personalizzata.

Nonostante le specifiche possano ancora cambiare, è probabile che la risoluzione di 960x1080 per occhio rimanga anche nella versione finale, e basandoci sulla nostra esperienza con Oculus Rift dobbiamo mettere in prospettiva questo dato. Nel gioco tradizionale su TV, l'intero schermo corrisponde sostanzialmente all'area su cui focalizziamo la nostra vista, ma in un casco da realtà virtuale la situazione è molto diversa: l'immagine copre il nostro intero campo visivo, compresa la visione periferica. Quindi, in sostanza, l'area sulla quale ci si focalizza effettivamente è "riempita" da molti meno pixel rispetto a quelli totali dello schermo.

Ecco come il primo Oculus Rift distorce un'immagine. Qui vediamo 800x640 pixel di risoluzione per occhio, ma l'area visiva effettiva è molto, molto minore come conteggio di pixel.

"La risoluzione in ambito di VR va messa in prospettiva... letteralmente. Una grossa porzione dello schermo rientra nella visione periferica, per questioni di immersione, quindi l'area su cui la vista va effettivamente a focalizzarsi risulta a risoluzione inferiore."

Il primo dev kit Oculus Rift offriva 640x800 pixel per occhio, ma l'effetto di distorsione per incrementare l'immersione 'spreca' molta risoluzione (sinistra), lasciando un numero di pixel relativamente ridotto per l'area in cui si concentra il gameplay vero e proprio (destra, evidenziata in rosso).

Quindi, considerando questo modo di presentare l'immagine (che dipende comunque anche dall'impostazione delle lenti e dell'ottica in generale), circa il 30% dei 960x1080 pixel per occhio è impiegato nell'area in cui il gameplay si focalizza. Questo significa che, anche nel prodotto finale, la risoluzione potrebbe non risultare così eccelsa, con il conseguente impatto anche sull'effettiva esperienza di gameplay.

Dal punto di vista software, la situazione è altrettanto complessa. Nella sua presentazione, Sony ha sottolineato sei sfide chiave nell'offrire un'esperienza VR allo stato dell'arte: vista, sonoro, tracking dei movimenti, controlli, semplicità di utilizzo e contenuti. A livello puramente tecnologico, noi ci concentreremo su un set più ristretto di argomenti fondamentali: rendering stereoscopico, qualità d'immagine e performance.

Innanzi tutto, la realtà virtuale richiede un rendering stereoscopico, un ulteriore carico sul sistema che ha comportato notevoli cali di frame rate e di risoluzione su PS3. Le cose saranno diverse su PS4: non c'è bisogno di un fill-rate maggiore, in quanto Morpheus effettua un rendering basato sui 1080p nativi della console (su PS3 l'output a 720p veniva raddoppiato). Anche il processing delle geometrie è una questione delicata: per produrre un'immagine realmente stereoscopica, la vista deve essere generata con due angolazioni differenti, causando un carico aggiuntivo che al momento attuale rimane ignoto. Quello che sappiamo è che l'architettura AMD Pitcairn su cui la GPU PS4 è basata equipaggia a bordo un processing delle geometrie fenomenale, e l'unico titolo PS4 che supporta il 3D Stereoscopico, Trine 2 di Frozenbyte, gira internamente a 1080p 120fps con solo dei compromessi minimi rispetto alla versione 2D.

Ad ogni modo, un problema molto concreto per gli sviluppatori sarà quello della qualità d'immagine. C'è una differenza enorme tra il giocare sul televisore o sul monitor rispetto ad un'esperienza VR, in cui lo schermo è letteralmente a pochi millimetri dai propri occhi. Abbiamo visto numerose tecniche di rendering che hanno un'ottima resa da lontano, ma non funzionerebbero altrettanto bene da distanze ravvicinate. Prendiamo ad esempio l'anti-aliasing: la realtà virtuale impiega livelli molto alti di multi-sampling AA per eliminare le scalettature, ma il problema è che tale tecnica non è più usata con molta frequenza nei titoli su console, dal momento che gli sviluppatori tendono a dedicare le risorse della GPU e l'ampiezza di banda ad altri scopi.

"Lavorando con un'architettura fissa, Sony non avrà la stessa libertà di manovra del contendente per PC Oculus Rift: dovrà rendere Morpheus perfetto al primo tentativo."

Al posto del multi-sampling AA, sempre più spesso vediamo equivalenti in post-processing come l'FXAA, che svolge un lavoro accettabile nel gaming standard, ma è molto meno efficace se osservato da vicino. Persino la soluzione di AA in post-processing più avanzata, ossia il bellissimo SMAA T2X impiegato in inFamous: Second Son, non ha una buona resa se osservato a distanza di naso, pur considerando lo schermo così piccolo. In breve, se gli artefatti sono percettibili giocando in una situazione standard su uno schermo standard, nel contesto della VR ogni difetto viene amplificato. La cosa interessante è che in realtà una parte molto piccola del frame corrisponde all'area che andremo effettivamente ad osservare, quindi ci chiediamo se ci sia bisogno di impiegare così tanta potenza di rendering per portare a schermo aree d'immagine che sono relegate alla visione periferica. Comunque, i pionieri al lavoro sulla realtà virtuale della piattaforma Sony potranno ottimizzare l'esperienza a livello molto fine, con la consapevolezza che i risultati ottenuti nel loro studio saranno identici all'esperienza finale in ambito domestico.

Senz'altro, creare un'esperienza VR ottimale non è una cosa da poco. I tentativi di adattare semplicemente i titoli già esistenti, grazie al supporto del dev kit Oculus Rift, tipicamente risultano in un effetto promettente dal punto di vista estetico (come ad esempio quello visto in Mirror's Edge) ma che poi non si dimostra di livello adeguato in quanto al gameplay. Se pensiamo alla realtà virtuale su PlayStation, chiaramente vogliamo che i migliori giochi Tripla-A supportino sia la classica modalità 2D che quella VR; vogliamo comprare il prossimo Killzone sapendo di poterlo giocare sia in salotto sul televisore che sul casco da realtà virtuale di Sony. Perché questo sogno possa diventare realtà, i developer devono disegnare grosse porzioni del gioco due volte, per assicurare che l'esperienza risulti coerente in entrambe le modalità. Oltre al game design, anche il testing dovrà essere effettuato due volte, e l'ottimizzazione della performance sarà un compito enormemente più complesso.

Tutto questo ci porta alla questione del frame-rate. Esattamente come per la qualità d'immagine, anche i requisiti sull'aggiornamento video in un contesto VR sono più stringenti rispetto ai classici 30fps considerati la norma su console. La bassa latenza e la fluidità dell'aggiornamento sono fondamentali per questo tipo di esperienza, e si tratta di un bel problema quando lo standard console rimane ancora fisso a 30fps. L'inviato di Eurogamer alla GDC ha domandato al team Sony come sarà possibile che un gioco che gira a 30fps nel normale gameplay su TV passi a 60fps nel contesto VR, e sembra che la soluzione prescelta sia basata sulla riduzione o rimozione totale di alcune tecniche di post-processing più pesanti (come l'effetto di profondità di campo, ad e esempio).

"Renderizzare un'immagine 3D Stereoscopica non è semplice, neppure per la potente scheda grafica di PS4, ma a livello hardware la VR sulla nuova console Sony peserà meno di quanto non facesse il 3D su PS3. "

Trine 2 è sostanzialmente l'unico esempio disponibile di come la PS4 gestisca il 3D stereoscopico. Con solo qualche lieve differenza, vediamo la stessa qualità del gameplay in 2D riprodotta anche in quello in 3D. Il risultato è ancora più notevole se si considera che, internamente, il gioco gira a 1080p con addirittura 120fps. Guarda su YouTube

In verità, molti effetti come questi non dovrebbero essere richiesti in un ambiente VR: l'occhio mette a fuoco e fornisce il suo effetto di profondità di campo "naturale", ad esempio, mentre il motion blur è molto meno utile nella stereoscopia, specialmente se il gioco gira a 60fps. In altri casi, il compromesso sarà semplice: la riduzione della qualità d'immagine sarà più che compensata dall'effetto di immersione che il casco VR rende possibile. Ad ogni modo, pensiamo che sia irrealistico che semplicemente ridimensionare alcuni effetti possa bastare ad adattare la maggior parte dei giochi. Ad esempio, non produrrebbe effetti sufficienti in un eventuale titolo molto pesante a livello di CPU: solo riducendo la complessità della simulazione potremmo vedere i benefici richiesti, e non siamo sicuri che si tratti di un compromesso che gli sviluppatori vorranno accettare.

Di certo, basandosi sulla nostra prova di Oculus Rift, un'esperienza VR a 30fps sarebbe piuttosto negativa. Anche a 60Hz, numerosi report indicano che è possibile osservare una netta sfocatura delle immagini in movimento. Passare da un pannello LCD a un OLED aiuterà (e sembra che Sony intenda farlo), ma non se il gioco gira nativamente ad un basso frame-rate. Inoltre, va detto che una fluidità perfettamente stabile non è affatto lo standard nei giochi: un frame rate incostante e variabile può letteralmente uccidere il gameplay in VR, che richiede un approccio molto più chirurgico alla composizione dell'immagine e al refresh per non andare a degradare la qualità dell'immersione.

Dunque, il potenziale di Project Morpheus è molto interessante, ma le sfide che i developer dovranno superare sono grandi. La stessa Sony riconosce che il miglior frame-rate possibile e la latenza più bassa ottenibile siano due elementi chiave in un buon gioco VR, e entrambe queste caratteristiche non sono esattamente standard nei titoli Tripla-A che troviamo attualmente su console.

Tutto ciò configura un'interessante differenza di approccio tra Project Morpheus e l'Oculus Rift su PC. Quest'ultimo potrà contare sulla costante innovazione tecnologica in combinazione con la possibilità da parte dell'utente di scegliere quali compromessi compiere per ottenere la migliore esperienza VR. Morpheus, invece, lavorerà su una piattaforma più modesta e fissa, con solo i developer in pieno controllo di cosa mostrare e di quanto giri bene il loro titolo. È troppo presto per poter capire quanto successo avrà l'iniziativa di Project Morpheus, ma quello che è emerso chiaramente dalla presentazione Sony è che siamo ancora in uno stato incompleto dei lavori, esattamente come per Oculus. Più che l'incompiutezza dell'hardware in sé, si fa infatti notare una carenza di esempi reali e concreti di software first-party pronto da mostrare, a partire da quel DriveClub che è al centro di diversi rumor. I due titoli mostrati alla GDC (Eve: Valkyrie e Thief) sono entrambi basati su hardware PC.

Ovviamente siamo ancora ad una fase iniziale del progetto, ma quello che abbiamo di fronte è senz'altro interessante. Per quando Morpheus uscirà effettivamente sul mercato, probabilmente PS4 avrà già venduto decine di milioni di unità, con una penetrazione mainstream che potrà solo aiutare la diffusione della realtà virtuale applicata ai videogiochi, che sia su console o su computer. Mentre l'Oculus ha il vantaggio di operare su una piattaforma aperta, Sony ha dalla sua un ecosistema studiato e calibrato, nonché un controller perfetto per questo ambito, ossia l'altrimenti sottovalutato e sottoutilizzato PlayStation Move. Concretizzare tutti i piani nel migliore dei modi sarà complicato, ma sicuramente quello che abbiamo visto alla GDC è stato un ottimo inizio.

Traduzione a cura di Luca Signorini.