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Dipendenza da videogiochi come patologia, anche AESVI dice “no” - articolo

Lo psicologo avverte: “Da OMS, decisione corretta”.

Anche l'Associazione Editori Sviluppatori Videogiochi Italiani (AESVI) è contraria alla decisione dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS). Il riconoscimento della dipendenza da videogiochi (definita come "gaming disorder") da parte dell'OMS nella bozza del suo "manuale" delle patologie - l'International Classification of Diseases - raccoglie così un secondo forte "no" da parte delle associazioni di categoria.

Fra le voci che si sono sollevate contro il parere dell'ente mondiale, c'è stata innanzitutto quella dell'Entertainment Software Association (ESA), il gruppo che rappresenta i publisher e gli sviluppatori statunitensi, che pochi giorni dopo la notizia parlò di un attacco all'immagine del medium: "L'Organizzazione Mondiale della Sanità sa che sia il buon senso sia le ricerche scientifiche indipendenti dimostrano che i videogiochi non creano dipendenza. E attaccare in modo ufficiale quell'etichetta su di essi sminuisce senza ritegno i reali problemi di salute mentale come depressione e ansia sociale, che meritano piena attenzione e il giusto trattamento da parte della comunità medica".

"Condividiamo la preoccupazione", commenta il segretario generale di AESVI Thalita Malagò, "giocare (eccessivamente) ai videogiochi è in linea generale un comportamento profondamente diverso dagli altri comportamenti che rientrano nella lista delle dipendenze dell'OMS e lo stato attuale della ricerca sul tema non è per nulla concorde. Ci sono molte divisioni all'interno della comunità accademica che suggeriscono la mancanza di un consenso sulla definizione di una dipendenza da videogiochi".

Il segretario generale di AESVI, Thalita Malagò.

"La stessa letteratura", prosegue Malagò, "che ne afferma la configurabilità, in molti casi si basa erroneamente su studi relativi alla dipendenza da gioco d'azzardo. La stessa definizione di 'gaming disorder' utilizzata dall'OMS è un 'copia incolla' della definizione di 'gambling disorder' (la ludopatia, ndr). Il processo in corso all'OMS non è peraltro stato finora molto trasparente. La base scientifica per la proposta di inclusione non è stata ancora resa disponibile".

Le associazioni di categoria, insomma, ritengono la scelta dell'OMS come affrettata e potenzialmente dannosa. In Italia, forse più che all'estero, la cultura del videogioco resta limitata, probabilmente a causa del fatto che questa industria ancora non si è inserita realmente nel tessuto sociale ed economico del Paese; quindi, dibattiti di questo genere tendono ad avere un'accezione negativa.

"Sicuramente", conclude Malagò, "anche se la questione che stiamo analizzando è in discussione a livello internazionale, non possiamo negare che in Italia il dibattito sui videogiochi sia sempre stato più acceso che in altri Paesi. Il fatto di non aver avuto storicamente un'industria dei videogiochi forte a livello locale ha un suo peso. Man mano che l'ecosistema si sviluppa anche qui da noi le cose sono destinate a cambiare".

L'idea che la decisione di inserire la dipendenza da videogiochi fra le patologie riconosciute avrebbe giovato di un maggiore tempo a disposizione per la valutazione, emerge anche dal parere di Stefano Triberti, dottore di ricerca in Psicologia e autore di "Psicologia dei videogiochi: come i mondi virtuali influenzano mente e comportamento" (insieme a Luca Argenton, nel 2013) e "User Experience: Psicologia degli oggetti, degli utenti e dei contesti d'uso" (con Eleonora Brivio, nel 2017).

Sia ESA sia AESVI hanno evidenziato la propria contrarietà alla decisione dell'OMS.

"La ricerca ci dice", spiega Triberti, "che la dipendenza da videogiochi esiste, per cui riconoscerla è corretto. D'altra parte, ho potuto vedere la bozza dei criteri per la diagnosi e mi sembra imprecisa. Le ricerche presenti e future aiuteranno a migliorare le definizioni e la loro capacità diagnostica".

Ricerca che dev'essere costantemente aggiornata poiché, prosegue Triberti, "i videogiochi sono in costante evoluzione, dal punto di vista delle tecnologie impiegate, del contenuto e del game design; pertanto anche i loro effetti (positivi e negativi) potrebbero assumere nuove forme nel futuro". In merito alla decisione dell'OMS "vi sono poi altre conseguenze: da una parte, persone affette da gioco patologico potranno avere accesso a maggiori risorse per il trattamento; dall'altra, il riconoscimento di una patologia porta con sé conseguenze a livello di business, per esempio dal punto di vista assicurativo o degli investimenti".

"La ricerca psicologica", sottolinea ancora, "individua la possibilità di dipendenza dai videogiochi quasi esclusivamente in riferimento ai giochi online, specialmente gli MMORPG. Il motivo di ciò è facile da comprendere per chi conosce i videogiochi: i giochi single player possono essere giocati più volte ma, per quanto lunghi e complessi possano essere in alcuni casi, prima o poi finiscono; non si può sviluppare dipendenza verso qualcosa (sia una sostanza o un'attività) che si esaurisce, semplicemente perché la dipendenza non è un fenomeno temporaneo".

"La grossa discriminante rispetto a essere dipendenti da un videogioco (come da qualunque altra cosa) ed esserne semplicemente appassionati è "sostituire con essi le attività che permettono di vivere ogni giorno (il lavoro, lo studio, la famiglia, etc)", evidenzia Triberti, "fino a generare rischi concreti per il benessere e la salute di noi stessi e degli altri". Farsi catturare da un mondo virtuale, insomma, al punto da lasciare indietro la vita stessa nei suoi vari aspetti quotidiani.

Chi cerca rifugio nei videogiochi dalla vita reale lo trova soprattutto nei mondi online, come quelli dei MMORPG, perché sono potenzialmente infiniti.

"La seconda caratteristica - spiega - per importanza di questi giochi è la loro matrice sociale: negli MMORPG posso relazionarmi con gli altri e acquisire una posizione sociale riconosciuta. Infatti, le persone che sviluppano dipendenza da videogiochi sono normalmente persone profondamente insoddisfatte rispetto alla propria vita sociale reale, caratterizzate da bassa autostima, deluse dalle relazioni o impossibilitate al crearsene di nuove. Chi sviluppa dipendenza dagli MMORPG - conclude Triberti - sceglie di rifugiarsi nel gioco e di farne un'alternativa alla vita reale, perché in esso sa di poter essere chi vuole (il suo avatar), di comunicare in modo più semplice e di potersi formare relazioni soddisfacenti".

"Per diversi anni i videogiochi sono stati additati come fautori di dipendenza ed indagati anche dalla letteratura psicologica come tali", commenta Giacomo Garcea, dottore in Psicologia della comunicazione e delle nuove tecnologie. "Come spesso accade le intenzioni dimostrative sono andate oltre la concretezza fattuale, realizzando che molti degli studi si concentravano su slot machine e forme 'non convenzionali di videogioco' più simili a sistemi di gioco d'azzardo che videogiochi veri e propri".

"Il fatto che sia stata riconosciuta dall'OMS come patologia a tutti gli effetti - aggiunge Garcea - da una parte testimonia il largo impiego e l'utilizzo da parte di tante persone, diverse per età, sesso e caratteristiche personali, che fanno uso di videogiochi e dall'altra ipotizza che sia l'OMS stessa a proporsi per 'prendere in cura' queste stesse persone, attraverso centri come il SERT (Servizi per le Tossicodipendenze, ndr) in Italia".

Negli MMORPG i giocatori creano un 'avatar', alter ego digitale di cui possono scegliere caratteristiche fisiche e, magari, personalità; scegliono di essere chi vorrebbero davvero essere. E in alcuni casi non è solo un divertimento, ma anche una fuga dalla realtà.

Il riconoscimento della dipendenza da videogiochi all'interno del "manuale" dell'OMS, insomma, è aperto al dibattito. Il principale nodo della questione, su cui alcune passate ricerche hanno provato a soffermarsi, è il principio di "causa ed effetto": la dipendenza dai videogiochi causa depressione, ansia sociale e solitudine oppure sono le persone che già soffrono di questi disturbi a sviluppare una dipendenza da videogiochi (un'attività che può essere svolta anche totalmente da soli)?

Qualche iniziativa a livello nazionale per trattare il fenomeno già esiste. In diversi Paesi l'associazione Online Gamers Anonymous permette a chi soffre di dipendenza da videogiochi di procedere nei consueti dodici passi per superare il disturbo. Cliniche che offrono un aiuto esistono anche in Cina, in Olanda e in Australia.

Probabilmente la decisione dell'OMS un effetto positivo già l'ha avuta: se ne sta parlando pubblicamente. Resta da capire, però, se sia giusto che sieda fianco a fianco a patologie come la ludopatia.