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Duri a morire?

Il declino della difficoltà nei videogiochi.

Lo ricordo ancora come se fosse oggi: era l'estate del 1982, le tre del pomeriggio di un normale giorno di vacanza. Il bar del paese di campagna era semideserto, a parte qualche vecchietto impegnato in interminabili partite a briscola.

Escluso il bancone dei gelati, non c'era nulla che potesse interessare un marmocchio di dieci anni con un sacco di tempo libero e in tasca cinque pezzi da cento lire "avanzati" dal resto della spesa fatta per conto di mamma la mattina precedente.

Era la saletta a fianco ad attirare la mia attenzione come un magnete da sfasciacarrozze. Uno splendido biliardo all'italiana senza buche, un jukebox e, nell'angolo più buio, un cabinato di Galaga '81.

Da mesi trascorrevo le giornate ad abbattere alieni ma quel giorno decisi che dovevo frantumare ogni record registrato sul quel maledetto cabinato. Un'ora e quaranta minuti dopo uscii sudato fradicio con in tasca cento lire in meno e una sensazione come non l'avevo mai sperimentata prima.

Aver raggiunto il centesimo livello in una partita secca fu uno spartiacque nella mia carriera di videogiocatore: ormai non giocavo più per il divertimento fine a sé stesso, era una sfida alle mie abilità mentali e manuali, e da allora ho sempre affrontato il videogioco in questo senso.

Quattro personaggi in cerca del Dungeon Master: nel gioco dei FTL si imparava l'arte dell'orientamento come in nessun altro.

Molti in passato hanno speso fiumi di parole sul concetto di difficoltà di un videogioco in relazione al divertimento che offre: a giudicare dai topic che periodicamente si aprono sui vari forum, l'argomento rimane a tutt'oggi ancora molto gettonato e di attualità. Non è facile esplorare il mondo del "livello di difficoltà", in particolare il rapporto che ha il videogiocatore moderno con un aspetto cruciale del videogioco.

Proprio la regolazione di quella difficoltà che, a seconda di come gli sviluppatori di ogni singolo gioco la interpretano, può cambiare drasticamente il gameplay. Non solo: proprio questo argomento è alla base dell'evoluzione della struttura stessa dei videogiochi come li conosciamo oggi, perché la difficoltà condiziona drasticamente anche design di base.

I primi anni ottanta furono la culla della frustrazione: il videogioco di allora era sinonimo di cabinato mangiasoldi e tutto era studiato per mettere gli utenti in condizione di infilare monetine e gettoni a ripetizione. Per farlo si alzava drasticamente la difficoltà riducendo il tempo medio di partita di ogni avventore.

Galaga: cento livelli con cento lire. Follie da marmocchi con i pantaloncini corti e la fionda in tasca.

Con l'arrivo dei primi home computer per giocare, il concetto venne ripreso e applicato alle conversioni arcade: tuttavia non tardarono a manifestarsi le prime opere in cui la ripetizione di livelli fini a sé stessi veniva superata dalla realizzazione di schemi di gioco che cambiavano con il passare dei livelli stessi, rifacendosi a cliché di base ma rendendo una partita sempre diversa dall'altra.

The Sentinel per Commodore 64 è uno splendido esempio di come un concept originale potesse essere replicato centinaia di volte aumentando la difficoltà di pari passo con la complessità dello scenario, la velocità di rotazione della sentinella o la quantità di energia assorbibile dal giocatore.

Da qui alla creazione di veri e propri mondi virtuali come quelli di Dungeon Master o Midwinter per Amiga, il passo fu brevissimo ma al contempo rivoluzionario. Il giocatore non era solo costretto a memorizzare a schemi ripetitivi ma anche a esplorare, orientarsi ed essere libero di reagire alle difficoltà ambientali che l'ambiente ostile gli proponeva.

The Sentinel: un gioco eterno nella sua difficilissima semplicità.

Se pensiamo a DooM non solo come a una rivoluzione per quanto riguardava il 3D (finto) ma anche in termini di level design, ci si rende conto di come anche i livelli avanzati fossero labirinti di notevole complessità che, affrontati al livello di difficoltà Incubo, sarebbero un qualcosa di assolutamente improponibile al giorno d'oggi.

Il finire degli anni Novanta ci propose altri titoli di altissimo livello in termini di difficoltà pura legata alla complessità della struttura di gioco: Shadow Man è paradigma tuttora insuperato per dimensioni del mondo di gioco, difficoltà delle sparatorie e scarse informazioni che dava al giocatore per orientarsi.

Anche un titolo più convenzionale come Half-Life riprovato oggi a livello hard sembra molto più impegnativo, per non parlare di interi generi di simulatori talmente realistici da essere ingiocabili per il pubblico moderno. Chi accetterebbe di produrre oggi Grand Prix Legends o simulatori di volo e gestionali che richiedono manuali alti come un dizionario di Latino?