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È finita l'era della convergenza? - editoriale

Nel mondo dell'elettronica e dei media, non tutti i device devono continuare a fare tutto.

Le industrie dell'elettronica, della comunicazione e del multimedia, sono guidate ormai da molti anni da una filosofia di fondo chiamata "convergenza tecnologica". Se una volta ogni singolo dispositivo era pensato per svolgere un compito e soddisfare un'esigenza specifica (le macchine fotografiche fotografavano, i telefoni telefonavano e così via), oggi, dopo almeno 30 anni di filosofia della convergenza, nell'era dell'iPhone e di Internet, quell'idea appare antiquata ed anacronistica.

Il merito è ovviamente in larga parte dei progressi tecnologici, della miniaturizzazione e dell'avanzamento nei settori dell'informatica e del design, che hanno tutti insieme contribuito alla creazione di strumenti sempre più piccoli, versatili e integrati. Tale progresso è culminato nella diffusione del dispositivo che forse più di tutti incarna il senso stesso della modernità in questo inizio di millennio: lo smartphone (o, se preferite, i dispositivi mobile nel loro complesso), che ai giorni nostri riveste il ruolo detenuto negli anni '80 del secolo scorso dal televisore, allora nuovo focolare domestico, oggetto di idolatria consumistica e strumento di trasformazione socio-culturale.

La filosofia della convergenza ha rappresentato negli ultimi decenni un fenomeno di grande importanza sotto innumerevoli punti di vista: non solo a livello industriale ma anche in quanto a capacità di modificare il rapporto che ognuno di noi ha con la tecnologia e la comunicazione, aspetti ormai centrali nell'esperienza di vita quotidiana. Quella che voglio pormi, e porvi, oggi, è dunque una domanda che in prima battuta potrebbe apparire una follia, un atto da controriforma digitale: "l'era della convergenza tecnologica è finita?"

Il lettore Mp3 è stato una delle vittime più eccellenti della 'convergenza': popolarissimo nei primi anni 2000, è ormai praticamente scomparso, rimpiazzato dagli smartphone.

In altre parole: tutti i dispositivi lanciati sul mercato devono ancora ambire a rappresentare un'esperienza centralizzata, a svolgere tutte le funzioni possibili e immaginabili? Oppure questa tendenza rischia di portare a un'eccessiva sovrapposizione nei ruoli dei nostri dispositivi tecnologici, ormai tutti in grado di fare più o meno le stesse cose e dunque, per certi versi, ridondanti? Anche perché, difficilmente un dispositivo "factotum" riesce a rimpiazzare completamente e con la stessa efficienza la funzionalità di uno dedicato, quindi spesso si finisce per avere sia l'uno, sia l'altro.

"La filosofia della convergenza ha rappresentato negli ultimi decenni un fenomeno di grande importanza dal punto di vista sia industriale che sociale"

Prima di definirmi pazzo e anti-modernista (o, ancora peggio, un fanboy di questa o quella marca), riflettete insieme a me: quand'è stata l'ultima volta che, sprofondati nella comodità del vostro divano, avete usato il browser integrato del vostro televisore? Oppure: avete mai usato davvero Skype sulla vostra console per videochattare con la famiglia (come si vede ormai da anni negli spot TV e nelle immagini promozionali)? O ancora: quante delle infinite piattaforme digitali per l'acquisto di film che attualmente si affacciano nelle nostre case (con il nostro consenso o meno) attraverso gli hardware più disparati avete realmente utilizzato, anche solo per sfogliarne distrattamente il catalogo?

La realtà è che nelle nostre tasche e nelle nostre case troviamo ormai un'infinità di dispositivi capaci di svolgere i medesimi compiti, ognuno dei quali cerca di canalizzare la nostra esperienza verso i propri servizi, talmente sovrabbondanti da restare per la maggior parte inutilizzati. Siamo, in sostanza, assaliti quotidianamente da un esercito di cavalli di Troia, che lottano disperatamente per conquistare la centralità nella nostra vita multimediale (e dunque i nostri soldi).

Come se non bastasse, questa lotta per il predominio sul nostro tempo (e sulle nostre preziose informazioni personali) ha fatto sì che ormai ogni piattaforma tecnologica tenti di offrire un'esperienza "social" a tutto tondo, invitandoci (o costringendoci, a seconda dei punti di vista) a creare profili dettagliati, liste di amici, eccetera. Dopo la convergenza dei prodotti, stiamo vivendo anche la convergenza dei servizi.

Quanti servizi di streaming, messaggistica, sharing multimediale eccetera troviamo integrati nei nostri dispositivi? E quanti ne utilizziamo realmente?

Qualche esempio? Dopo il successo di Whatsapp, anche Facebook adesso pretende di assorbire tutti i contatti della nostra rubrica telefonica, tentando di entrare a gamba tesa nel campo degli "SMS". Nel frattempo Instagram, nato come servizio di sharing fotografico, annuncia anche lui il supporto alla messaggistica testuale. E guai a creare un account ai numerosi servizi di streaming musicale, come Spotify, senza collegarlo al proprio profilo Facebook, così che possa da un lato assorbire le nostre informazioni personali, dall'altro condividere sul nostro diario i brani che stiamo ascoltando.

"Siamo assaliti quotidianamente da un esercito di cavalli di Troia che lottano disperatamente per conquistare i nostri soldi"

Per non parlare del fatto che spesso tali servizi richiedono, a cascata, registrazioni ad altri servizi. Per avere un account a Xbox Live è necessario inserire un indirizzo "outlook" di Microsoft, che ora è collegato anche all'account Windows 8 e a quello Skype. Per accedere a YouTube (o all'infinita suite di programmi offerti da Google) serve un account a Gmail, che automaticamente ci iscrive anche a Google+. Il tutto in un intreccio di funzioni che fa sì che ognuno di noi ormai abbia, disperse su Internet, almeno una mezza dozzina di pagine profilo personale, spesso abbandonate nel mondo virtuale della Rete come un satellite alla deriva.

Quella appena descritta è una dinamica "sana" a livello di mercato e di servizio all'utente? Dal punto di vista della convergenza "social", la risposta è semplice: avere dozzine di servizi che si sovrappongono e ci costringono a cascata ad iscrizioni multiple ed incrociate è semplicemente una seccatura, uno spreco di tempo e, non ultimo, una minaccia al tema della nostra privacy (per chi se ne cura), dal momento che vediamo le nostre informazioni personali sempre più sbandierate in quello che un tempo si chiamava cyberspace.

Dal punto di vista industriale e tecnologico, la questione è più complessa. Ovviamente sarebbe da pazzi suggerire un ritorno all'epoca in cui i telefoni telefonavano e le macchine fotografiche fotografavano. Ed è evidente che se qualcuno ritiene di dover comprare un frigorifero con schermo LCD integrato e connessione ad Internet (ebbene sì, esiste anche questo!) non potrò certo essere io a stabilire se la sua sia una scelta giusta o sbagliata.

Lo 'smart fridge' è forse l'esempio più lampante di convergenza tecnologica estremizzata e, almeno a giudicare dalla risposta del mercato, inutile.

Quello che si può dire è che la convergenza tecnologica ha sicuramente dimostrato di avere ragione di esistere laddove ha portato alla creazione di dispositivi in grado di rimpiazzare completamente i più vecchi dispositivi "mono-uso", fino a farli estinguere o quasi dal mercato (come gli smartphone hanno fatto, ad esempio, con le radiosveglie o i lettori Mp3, e si apprestano a fare coi navigatori satellitari). In sostanza, la convergenza buona è quella che oltre a unificare semplifica, razionalizza.

"La convergenza buona è quella che semplifica. La sensazione, però, è che quella attuale stia complicando il mercato"

Ma la sensazione è che l'industria attuale, in alcuni ambiti, stia in realtà rendendo il mercato più complesso e meno logico, con la presenza simultanea di mille device e servizi differenti, che assorbono ognuno le funzioni degli altri senza mai riuscire a soppiantarli realmente, e creano dunque un sovraffollamento e una ridondanza globale nel mondo della tecnologia.

Forse questo è il segnale che la filosofia della convergenza, per certi versi, sta cominciando a perdere il suo profilo innovativo e rivoluzionario e si sta trasformando in una mera prosecuzione inerziale di un meccanismo industriale che finora "ha funzionato", ma che portato all'estremo potrebbe rompersi.

Ritenetela pure una presa di posizione "etica", se volete, ma in un mondo massacrato dalla crisi economica e incapace di dare risposte adeguate alla questione dei rifiuti e dell'inquinamento ambientale, continuare a produrre e comprare dispositivi che fanno tutto ma che in realtà utilizziamo solo per svolgere un set ristretto di funzioni, è sia uno spreco dal punto di vista economico che da quello delle risorse umane e naturali. Forse è ora di tornare a scoprire un certo grado di divergenza.

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Luca Signorini

Contributor

Luca gioca e scrive da quando ha scoperto le meraviglie del pollice opponibile. È giornalista ma soprattutto appassionato; non gli toccate Metroid, Stallone, i Black Sabbath e la carbonara e sarete suoi amici per sempre.

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