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GDC: Hideo Kojima

"Rendere possibile l'impossibile".

La sala comincia a riempirsi velocemente. È già noto che non ci sarà nessun annuncio relativo a nuovi giochi, ma l'interesse della platea per il Kojima-pensiero rimane alto.

Presente anche l'eclettico Suda 51, stravagante esponente dello sviluppo made in Japan.

Le luci si abbassano e la nostra amica Meggan Scavio, direttrice delle conferenze alla GDC, introduce Hideo Kojima definendolo "uno dei più influenti sviluppatori di videogiochi al mondo". Kojima si avvia sul palco. Applausi per lui.

Kojima ringrazia sentitamente, poi scherza sul fatto di essere venuto unicamente perché gli era stato promesso il prestigioso Lifetime Achievement quale premio per la carriera. È la prima volta che tiene un discorso alla GDC, dichiara, e l'amtosfera generale lo ha colpito in maniera decisamente positiva.

Chiarisce subito che il suo intervento non riguarderà tanto gli aspetti tecnici del game design, quanto la sua personale filosofia nella creazione di videogames. A differenza della keynote di Nintendo, non ci saranno giochi a sbafo per i presenti...

Il titolo della conferenza è "Rendere possibile l'impossibile". L'impatto emotivo e la curiosità sono innegabili. Si comincia. Kojima definisce "creazione rivoluzionaria" quel qualcosa che riesci a fare e che nessuno ha saputo creare prima. Sullo schermo viene mostrata una linea nera, un percorso simbolico seguito da uno Snake in 2D. La vita di tutti giorni, però, non è priva di ostacoli, ed ecco apparrire un grosso quadrato nero a sbarrargli la via. Snake lo supera in agilità.

Appare Mario nella sua iconica veste 8-bit, e anche lui supera l'ostacolo con estrema facilità.

Adesso c'è un muro enorme. Snake si trova nell'impossibilità di superarlo, mentre Mario si trasforma in SuperMario e riesce ad oltrepassarlo.

Snake riflette. Sa di non avere le stesse caratteristiche di Mario e sa che non potrà eseguire un salto del genere. Tutto ciò che ha fatto in precedenza rientra nell'ambito del "possibile". Quello che lui non è riuscito a fare (o che non ha mai tentato di fare) è perciò impossibile. Ma è tutto nella sua testa.

Kojima spiega come tutto questo abbia a che fare con l'esigenza di cambiare i nostri preconcetti. Il suo personaggio ritiene di non poter oltrepassare il muro, ma è per questo che noi dobbiamo cambiare propettiva.

Snake pensa a tutta una serie di modi per oltrepassare il muro. Si potrebbe distruggerlo o volarci sopra come su una mongolfiera, o persino trovare una porta attraverso cui accedere, no?

Ma è quando la visuale diventa 3D (vale a dire quando abbiamo finalmente mutato la nostra prospettiva) che possiamo davvero applicare nuove idee. Possiamo quindi superare il muro semplicemente aggirandolo, o passarci sotto strisciando. Rendere possibile l'impossibile sta quindi nel cambiare il tuo modo di vedere, e con esso si affacciano soluzioni inedite.

Il discorso di Kojima è senza dubbio pieno di metafore, ma non si può affatto discutere sulla fondamentale verità delle sue asserzioni. D'altra parte, è proprio il genere di conferenza che ci si sarebbe aspettati da un protagonista del suo calibro.

Si prosegue ancora per analogie. Il terreno su cui poggia il muro rappresenta l'hardware e la tecnologia. Il software è quel blocco sul quale salire, ma non è ancora abbastanza per oltrepassare il muro. Mancano ancora pochi metri: servirebbe quindi una scala per colmare la distanza rimasta. Ecco, qui entra in gioco il game design.

Kojima si scusa per gli evidenti sforzi di astrazione insiti nel suo discorso. Nonostante ciò, l'essenza delle sue parole è chiara a tutti. Adesso si passa a rievocare il passato: quel lontano 1985 in cui gli fu chiesto di lavorare ad un gioco d'azione per MSX2. Cosa ci si aspettava da un gioco del genere a quei tempi? Semplice: un protagonista umano, svariati nemici e tante pallottole con cui eliminarli. Segue una breve spiegazione delle tecnologie impiegate ai tempi, in cui non si potevano mostrare più di otto sprite su schermo.

L'hardware dell'MSX 2 appariva debole, dichiara Kojima, tanto da ritenere impossibile creare un gioco simile su quella piattaforma. Pensò allora ad un gioco di combattimenti... senza combattimenti. Idea apparentemente folle, se ne rendeva conto anche da solo, ma cosa sarebbe successo se al posto della lotta fosse stato richiesto di nascondersi e strisciare via dai nemici? Ecco, questa poteva essere un'ottima idea. Qualcosa di "rivoluzionario", per usare le sue parole.

Ma come si potevano introdurre meccaniche del genere senza far apparire il protagonista un codardo? La soluzione fu: l'infilitrazione. In veste di infilitrato, il giocatore aveva esigenza di non essere scoperto e pertanto il dovere di evitare lo scontro. L'intero impianto narrativo fu creato intorno a tali dinamiche. Nacque così il genere Stealth, e tutto per l'impossibilità di applicare qualche sprite in più.

L'impossibile (creare un valido gioco di combattimento su MSX2) si trasformò in qualcosa di possibile (creare uno sthealth game). Quello era Metal Gear.

Si torna quindi al discorso precedente. Kojima aveva trovato la sua scala per aggirare il muro, e tutto decidendo coscientemente di adottare un punto di vista differente. Metal Gear fu un successo e presto si trovò a lavorare al suo seguito.

La sfida stavolta era diversa. Il concept del gioco era collaudato, ma adesso bisognava approfondirlo. L'hardware di riferimento rimaneva il medesimo, quindi nessun vantaggio in quel senso. Anche stavolta, il game design venne in aiuto, la proverbiale scala che gli consentì di scavalcare il muro.

Ops. Problema tecnico nella rappresentazione in Power Point. Kojima minimizza: "Per piacere, non mettetelo su Youtube, okay?" Troppa classe, gente.

Tutto torna a posto. Metal Gear 2 vide l'introduzione di una fase di evasione e di altri elementi che arricchirono non poco il gameplay. Fu un altro successo e, anche per questo secondo titolo, venne realizzata una versione destinata al NES. Kojima la giudica "schifosa", come quella precedente, poiché lui non aveva preso parte allo sviluppo. Ad ogni modo: ennesima missione compiuta.

L'ambizione cresce: creare un Metal Gear in 3D. Accidenti. Impresa mirabile e pericolosa, ma fu allora che venne introdotta la prima PlayStation. Così il nostro beniamino si trovò ancora a cambiare rotta. Bisognava realizzare un Metal Gear sulla neonata piattaforma Sony e utilizzare compiutamente la sua potenza di calcolo.

Seguono ulteriori dettagli tecnici, visualizzati sempre sullo schermo tramite Snake, stavolta in perfetto 3D. Grandi risorse vennero impiegate nella localizzazione europea del titolo. Snake trova adeguata dimora nella console Sony. Missione compiuta con Metal Gear Solid. Ancora una volta si tratta di un successo (nonché di un capolavoro ineguagliabile).

Crescono le possibilità, cresce l'ambizione. Perché non creare uno stealth game visivamente realistico? La nuova PS2 è già in cantiere. Dobbiamo farlo. C'è l'Emotion engine e tante promesse incredibili da parte di Sony.

Il terreno sotto i piedi di Snake aumenta di livello nello schermo (si tratta della tecnologia, ricordate?) Il problema è che non c'è stato quel balzo evolutivo che Kojima si era aspettato. Si cambia ancora una volta prospetiva: non un gioco visivamente realistico, ma un titolo sicuramente più immersivo e che spinga ancora più al limite le meccaniche stealth. Nasce Metal Gear Solid 2: Sons of Liberty.

Seguono altri dettagli sul game design relativo al titolo. Nove azioni, maggiore interazione con gli ambienti ed elementi distruttibili sono solo alcune delle innovazioni implementate su PS2.

Si ripropone lo stesso problema avuto su MSX2. Stesso hardware, ma ancora presente l'esigenza di innovare la serie. Servono location più grandi e dinamiche e un'intelligenza artificiale ancor più raffinata. Stavolta si tratta di "Inflitrazione in ambienti naturali". Riscrivono il motore 3D e riescono a dar vita a Metal Gears Solid 3: Sneak Eater, un nuovo punto di svolta in termini qualitativi nell'intera produzione della Kojima Productions.

Kojima avrebbe voluto concludere la serie con questa trilogia, ma il mondo continuava ad insistere sull'ennesimo sequel che chiudesse definitivamente le vicende di Snake e compagni. Kojima si prepara a realizzare lo stealth game definitivo con lo scopo di abbandonare una volta per tutte la serie che lo ha reso celebre e dedicarsi finalmente ad altri progetti.

L'occasione non può che essere l'avvento di PlayStation 3. Il muro (restando in tema di analogie care a Kojima) sembra insormontabile, ma stavolta il terreno è cresciuto in maniera esponenziale. La nuova missione è utilizzare tutto il potenziale della nuova console Sony.

Il lavoro sul game design adesso riguarda l'infiltrazione in un territorio di guerra. Nasce Metal Gears Solid 4, in alta definizione e con uno Snake allo stremo delle forze. Kojima scherza volentieri sulla durata (esagerata) delle sue scene filmate, che proprio in quest'ultimo capitolo raggiungono l'apoteosi. La missione, comunque, è stata completata con successo.

Kojima ha così ripercorso parte della sua carriera, sottolineando che se si fosse arreso ai tempi dell'MSX nessun altro Metal Gear avrebbe visto la luce. Adesso, dichiara, l'attenzione sembra essersi spostata in maniera preponderante sulla tecnologia. Gli sviluppatori americani ed europei creano mondi interamente esplorabili dove puoi fare praticamente di tutto. Egli vuole adesso unire tecnologia e game design e superare muri ancora più elevati di quelli incontrati sino ad ora.

"Il 90% di ciò che consideriamo impossibile" rivela, "è di fatto possibile. Il restante 10% diventa possibile invece grazie al passare del tempo e all'innovazione tecnologica." E infine un caloroso invito: "Uniamoci e rendiamo possibile l'impossibile. Voglio creare grandi giochi con tutti". L'ultima immagine sullo schermo reca la scritta "Mission: THE NEXT MGS". E... non è forse Raiden il personaggio nell'angolo in alto a destra?

La platea applaude con vigore. Conferenza conlusa. Altra missione terminata con successo.

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A proposito dell'autore

Dario Tomaselli

Contributor

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