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Giochi del decennio: Hotline Miami, una metafora videoludica della violenza, del feticismo e dell'oscenità - articolo

Un'opera semplice ma potente.

Con l'arrivo del 2020 abbiamo deciso di celebrare i 30 giochi che hanno lasciato il segno negli ultimi dieci anni. Potete trovare tutti gli articoli pubblicati nell'archivio dei Giochi del decennio, e leggere dell'idea da cui è nato il progetto nel nostro editoriale.


Oddio, Hotline Miami! Posso ancora provare le sensazioni che mi ha trasmesso. Che incredibile metafora sulla violenza! Che incredibile modo d'ispirarsi a Shadow of the Colossus, prendendone la moralità della trama, capovolgendola e decontestualizzandola.

Quel che è strano, però, è che penso che le metafore siano abbastanza scadenti. Molto spesso una metafora vi rende passivi: finirete per guardare, leggere, giocare o fare qualsiasi cosa, e saprete con certezza quale contenuto avete appena consumato e qual era il suo intento. A quel punto saprete anche cosa fare in seguito, il che solitamente è il nulla.

Hotline Miami, tantissime volte, rischia di cadere in quella trappola. Siete chiamati tramite una telefonata a compiere una serie di raid presso nascondigli di brutti ceffi, e spesso non avete scelta. Siamo nel 2012 naturalmente, e l'ambientazione scelta è la seconda metà degli anni '80.

Fa molto cult perché è un indie violento con una soundtrack favolosa, ed il vostro personaggio è soprannominato "Jacket" semplicemente perché indossa una giacca alla moda. Tutto ha le tonalità del neon, ma un neon di quelli tristi, e c'è una filigrana che sfarfalla all'estremità superiore dello schermo che potrebbe voler essere una sorta di effetto VHS, o un'insegna che lampeggia, visto che sfarfalla gradualmente con più forza, al punto da farvi accorgere che quel che vedete non è totalmente reale.

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La musica ha un ruolo importante: "dev'essere una collection di hits", avreste pensato comprando quella splendida collector's edition su vinile. Siete estasiati: uccidete, venite uccisi e riprovate. Dopo la morte il respawn è istantaneo, tutto è veloce. C'è un qualcosa di Dark Souls. Ogni tanto congelate la frenesia omicida e vi fermate a pensare, perché per farvi strada in Hotline Miami è necessario pianificare. Uccidete un tizio spalancando una porta, ne uccidete un altro con una mazza, e un terzo lo schiantate al muro.

Ma non proseguite oltre, perché una tripletta di esecuzioni è gratificante ma andare in cerca della quarta vi farà rallentare per via di un'animazione e potreste essere sopraffatti dal quarto nemico. Ottenete più armi, più punti per stile e velocità concatenati nelle uccisioni. Forse potreste pensare che le mannaiate, le teste schiacciate o le mazzate siano un po' eccessive, o forse no.

E poi viene la parte di cui tutti vi raccontano. Tutte le camminate di ritorno in macchina, facendosi strada silenziosamente tra i cadaveri, il rosso che contrasta col rosa del tramonto. Tutte le volte in cui le cose si fanno bizzarre, dove la realtà si deforma e le prospettive si scambiano. Tutta quell'incertezza: forse siete in un ospedale, forse questa volta vi fate strada tra la polizia, invece che tra i nemici.

Magari v'imbatterete in un paio di custodi nel seminterrato e li farete fuori perché il gioco vi ha detto di farlo, e ammettiamolo: nessuno di questi spargimenti di sangue vi ha dato fastidio, perché il gioco eccelle in questo aspetto con la sua visuale top-down, e perché vi siete venduti a quella fantasia e supremazia americana, alla dedizione e al feticismo per i tipi buoni armati di pistola.

Profondo o no, Hotline Miami sembra terribile quando se ne scrive e posso immaginare anche che sia terrificante leggerne. E questo è proprio il problema con le metafore, lo ripetiamo, ed un problema che i giochi sono meno attrezzati a gestire di quanto pensassimo. Volta dopo volta siamo spinti a credere che i videogame siano unici per via della loro capacità di metterci al centro dell'azione.

Si prova quella sensazione di schiaffo all'imperativo morale ma con più veemenza, poiché siamo gli unici a compiere quella uccisione, non Ryan Goslin o quel tizio di Oldboy. Ma il vero problema qui è che c'è solo un'unica parabola da raccontare: l'unica di una vuota colpevolezza e di violenza senza senso nelle vostre mani, che Hotline Miami è riuscita a raccontare in modo superlativo.

Hotline Miami, inteso come crudo criticismo, è ineguagliabile. Ma se giudicato dal punto della violenza dei giochi (e ce n'è tanta, forse troppa) va ben oltre. La metafora di Hotline Miami è davvero eccellente, eppure è anche un titolo che non voglio giocare mai più.

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Hotline Miami

PS4, PS3, PlayStation Vita, PC, Mac

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Chris Tapsell

Reviews Editor

Chris Tapsell is Eurogamer's Reviews Editor and most decorated Football Manager. He used to write guides, and will send you links to his favourite spreadsheets if you ask him about League of Legends or competitive Pokémon.
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