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Gli shooter hanno recuperato la loro gloria - articolo

Come Doom, Titanfall 2 e Devil Daggers hanno trasformato un'arte morente.

Ogni tanto capita che arrivi un gioco sul mercato e che si riveli così rivoluzionario da uccidere inavvertitamente il suo genere d'appartenenza, visto che immediatamente tutti si fiondano a seguirne l'esempio sulla scia del successo. Per gli shooter quel gioco è stato nel 2006 il titolo di Epic, Gears of War. Come esposto nell'eccellente libro di Tom Bissell, 'Extra Lives: Why Video Games Matter', il creatore di Gears of War Cliff Bleszinski ha re-immaginato gli shooter come un genere di caos e paura. In pratica Gears of War voleva cambiare il concetto che "la guerra è terribile, ma non è divertente?" in: "la guerra è terrificante anche per i soldati più maschi, ma non ti fa sentire più vivo?". Si tratta di una differenza sottile ma importante. Gli shooter non sarebbero più stati incentrati sulla catarsi, o quanto meno non solamente incentrati sulla catarsi: avrebbero dovuto insinuare d'ora in avanti un sentimento di vulnerabilità.

Questo cambiamento è andato bene per alcuni giochi (ha funzionato con Gears), ma ha spostato il fulcro della componente single player delle fantasie di fuga del primo Doom agli eccessi in stile di Michael Bay. Quante esplosioni possiamo avere? Possiamo inserire più NPC nella battaglia? Questa sparatoria è abbastanza cinematografica?

Ironicamente questo focus sull'eccesso ha portato via i brividi interattivi che hanno reso il genere popolare. Presto il genere degli shooter sarebbe apparso eccitante, ma in quanto a interattività avrebbe perso tanto trasformandosi in una serie di contenuti totalmente incentrati sulle coperture e su serie di nemici scriptati presentati col solito schema. E a prescindere dai dettagli superficiali, il nodo principale degli shooter dell'ultima decade ha incentrato le sue meccaniche sull'entrata e sull'uscita dalle coperture.

L'anno scorso, comunque, abbiamo avuto una serie di splendidi sparatutto che hanno rotto questa tendenza in un modo o nell'altro.

Titanfall 2 ha evitato di apparire stantio grazie alla sua varietà.

Titanfall 2 è riuscito nell'impresa tramite un paio di tecniche. La prima è il wall-running, una mossa così banale quanto divertente che merita davvero di essere accostata al doppio salto come standard per le traversate. Fiondarsi su superfici perpendicolari lisce riuscendo a camminarci sopra apre nuove frontiere agli spostamenti, ridefinendo le regole dello spazio 3D. Tutto a un tratto quei cornicioni dei terrazzi diventano accessibili e le superfici degli edifici diventano veri e propri trampolini di lancio per i temerari.

L'altro modo in cui Titanfall 2 evita i combattimenti contro orde di NPC, e quindi di apparire stantio, è la pura varietà. Come Chris Donlan ha fatto notare, Titanfall 2 non è semplicemente uno shooter, è anche un platform e un puzzle game. Il suo migliore livello, Effect and Cause, è meno incentrato sul mandare a segno degli headshot, visto che flette il tempo per muoversi tra due realtà egualmente pericolose. Gli schemi di gioco non sono scelti a caso, e tutte le parti mobili che hanno caratterizzato le meccaniche di Call of Duty nell'ultima decade non sono impiegate solo per sembrare belle, ma piuttosto forniscono un nuovo stile di gioco. Meraviglioso!

Ho comunque una lamentela verso il single player di Titanfall 2. Per quanto possano essere entusiasmanti queste meccaniche di spostamento, quando si gioca al massimo livello di difficoltà ci sono ancora diverse sequenze a piedi in cui l'approccio più pratico non è il più divertente. Vagare freneticamente per lo scenario è uno spasso ma troppo spesso l'approccio codardo dalla distanza, uscendo e rientrando dalle coperture, risulta troppo efficace. Ma questa è piuttosto un'eccezione in Titanfall 2, e non la regola come negli shooter contemporanei.

Un FPS del 2016 che praticamente annienta questo istinto di nascondersi e sbucare fuori per sparare è il reboot di Doom di id Sofware. In Doom occorre tenersi in movimento. Si contano sulle dita di una mano le volte in cui si può sfruttare un'insenatura durante tutta la campagna single player della durata di una dozzina e più di ore. I nemici si fiondano verso di voi senza sosta, da tutti gli angoli, e se vi fermate anche per un secondo la morte sopraggiungerà (almeno ai livelli di gioco più difficili).

Gli incontri coi nemici in Doom non seguono uno schema ben preciso ma sono governati da regole così complesse che non c'è modo di studiarle.

Come in molti sparatutto, gli incontri coi nemici in Doom non seguono uno schema ben preciso ma sono governati da regole così complesse che non c'è modo di studiarle per prevedere una possibile zona di spawn e trovarsi più pronti dopo una serie di uccisioni. Visto che i nemici si materializzano dal nulla sul campo tramite il teletrasporto, e che voi sarete incoraggiati a sprintare, diventa pressoché impossibile prendere nota delle varie zone di spawn. Dopo una decade fatta di shooter che incoraggiavano a proteggersi con le coperture, Doom mi ha ricordato che ciò che ha reso questo genere così eccitante non sono gli headshot ma l'adrenalina generata dall'addentrarsi in un territorio spaventoso.

Dove Titanfall 2 ha aggiunto molte meccaniche non da shooter alla sua campagna, Doom si è con orgoglio scrollato di dosso tutto il peso superfluo. Non solo c'è a malapena una storia (che porta via forse solo cinque minuti a fronte di una campagna lunga diverse ore), ma vengono anche scardinate diverse convenzioni degli shooter. Il reload, come concetto, è totalmente omesso. Ovviamente è tutto fuorché realistico il fatto che uno shotgun possa ospitare 40 cartucce, ma rientra nel concetto che "è un videogioco".

Vale anche la pena sottolineare il fatto che Doom non si prenda mai troppo seriamente. Non ci sono melodrammi quando un compagno muore o qualcuno che vi spieghi l'estrema importanza della vostra missione. Infatti, quando qualcuno prova a fare quest'ultima cosa nei minuti iniziali del gioco, in modo comico il Doom Marine getta via il monitor disinteressandosi completamente della trama di cui è protagonista. Come ha sottolineato Donlan, il personaggio che impersonate in Doom sta giocando a Doom.

E se Doom non fosse stato bello come poi in realtà si è rivelato, lo sviluppatore ha in seguito rilasciato un brillante Arcade Mode che ha letteralmente reso il gioco una dipendenza per gli appassionati. All'improvviso il gameplay è cambiato drasticamente: i tempi morti vengono impiegati per andare all'assalto cercando di mantenere alto il moltiplicatore, piuttosto che per esplorare i livelli alla ricerca di segreti.

Devil Daggers richiede ai giocatori di sopravvivere il più possibile ad ondate senza fine di creature demoniache.

Nonostante Doom offra un approccio più sobrio rispetto ai canoni sempre più contorti del genere, il successo su Steam di Devil Daggers ha adottato un approccio ancora più minimalista della meccanica del corri e spara. Completamente privo di una storia, con solo un'arma a disposizione e una singola arena sospesa nell'abisso, Devil Daggers richiede ai giocatori di sopravvivere il più possibile ad ondate senza fine di creature demoniache. All'inizio è semplice, ma via via che il tempo passa ci si ritrova circondati da decine e decine di mostri volanti e terrificanti, ognuno dotato di movimenti propri e imprevedibili. Ovviamente Devil Daggers non offre la profondità delle campagne di Doom e Titanfall 2, ma l'indie è stato proposto a un prezzo affare di €4,99 e ha contribuito a ridare linfa vitale al genere.

Doom, Titanfall 2 e Devil Daggers appaiono fondamentali in un'epoca in cui gli shooter sono stati adottati come lo strumento populista della mentalità generica e tenebrosa del macho. Tutti e tre i titoli ci ricordano che gli shooter non sono sempre stati incentrati sul superamento delle avversità mentre si è messi alle corde, ma piuttosto sul sogno d'evasione di diventare super soldati in grado di far fuori robot e nazisti. Ma non è tanto la tematica poco impegnata a tirare fuori questi giochi dagli attuali schemi, quanto piuttosto il differente design che offre un approccio più aggressivo alla battaglia.

Il 2016 è stato un anno che mi ha ricordato il concetto che lo sparatutto brutale e ignorante può ancora fare la differenza nell'epoca illuminata di Firewatch, The Witness, e That Dragon, Cancer. Il 2017 sarà un altro anno difficile, visto che continuerà a seguire questo trend, ma ho fiducia che il rinascimento dei brillanti shooter single player sia appena iniziato. E dovreste davvero dare un'occhiata a Strafe!

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Jeffrey Matulef

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