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I giochi dell'anno: Half-Life Alyx

Lorenzo racconta la killer application della VR.

Esistono due tipi di videogiocatori. Da una parte ci sono quelli che non vedono l'ora di mutare il proprio aspetto fisico ed esplorare una dimensione parallela in puro stile Ready Player One. Dall'altra ci sono quelli che desidererebbero poter fare la stessa cosa, ma non appena indossano un visore per la VR sentono pasqua del '92 muoversi sul fondo dello stomaco.

Io facevo parte della seconda categoria di persone. Persino sui palchi dell'E3, a tu per tu con titoli come Lone Echo 2, Stormland e Asgard's Wrath, dopo poco più di un'ora mi trasformavo in una maschera di sudore freddo. In fondo non davo poi così tanta importanza a questa sfortunata condizione, perché quella della VR era sì una realtà interessante, ma ancora in divenire, nel pieno del suo stato embrionale, ed ero convinto che mantenendo le distanze non ci si perdesse chissà che cosa.

Non ho mai 'creduto' nella VR, poi ho visto questo.

Poi è arrivato Half-Life: Alyx, portandosi appresso un nome troppo ingombrante per essere ignorato, presentandosi come se fosse uscito da un futuro irraggiungibile. Possibile che fosse veramente la killer application di cui la VR aveva bisogno? Alla fine, pensavo, per Gabe Newell sarebbe stato molto semplice sfruttare il blasone della serie, dare in pasto al pubblico quel surrogato di Half-Life 3 che milioni di appassionati aspettavano ardentemente da ormai tredici anni, per poi raccogliere comodamente i frutti. Dopotutto si tratta di Valve, no?

No. Half-Life: Alyx è proprio ciò che promette di essere, in alcuni frangenti anche qualcosa di più. Inutile prendersi in giro: per chi soffre di motion-sickness, all'inizio, vestire i panni di Alyx Vance significa combattere una guerra su due fronti: da una parte c'è l'ardua battaglia con i Combine, dall'altra quella incessante con un corpo estraneo intenzionato a rigettarti. Ma con il tempo la mente si abitua, il fisico anche, e l'unica cosa che resta è un grande, grandissimo videogioco che sfrutta al massimo le potenzialità della VR.

Oltre ad essere un eccellente episodio di Half-Life, e a portare un cambio di paradigma paragonabile a quelli introdotti dagli episodi precedenti, Alyx pianta il seme più importante nel sentiero della realtà virtuale, dimostrando all'industria intera non solo che un futuro c'è, ma che è molto più vicino di quanto si potrebbe pensare. Il problema è che quel seme, come qualsiasi pianta, necessita di tanta attenzione e di cure costanti, elementi di cui questo segmento dell'industry è ancora del tutto manchevole.

Alyx non è un grande videogioco in realtà virtuale, è un grande videogioco e basta.

Un giorno un videogioco in VR sarà universalmente riconosciuto dal pubblico e dalla critica come Game of the Year, ma come direbbe Aragorn "non è questo il giorno". Half-Life: Alyx è destinato ad essere ricordato come un capolavoro solamente dalla nicchia cui è destinato, nonostante sia stato creato proprio per tentare di oltrepassare quella nicchia, e questa per il momento è una sconfitta; ma la rivoluzione di Alyx Vance, tra qualche anno, potrebbe produrre effetti paragonabili a quella portata da Gordon Freeman.

Nel frattempo, dobbiamo accontentarci del fatto che nel 2020 Half-Life sia ancora vivo e vegeto. E scusate se è poco.