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Il futuro è degli stupidi

L'intelligenza dei giochi di domani dipende anche dalla stupidità di quelli odierni. Meditate gente. Meditate.

Quello che leggerete nelle righe di seguito potrebbe non piacere a tutti. Di certo sarà sgradito ai pro, agli hardcore gamer, o semplicemente agli appassionati che consumano ore e sogni con un gamepad in mano dall'alba degli 8 bit - scrivente compreso.

Si sia chiari, subito: il futuro del gaming vedrà un progressivo diffondersi di quelli che tempo fa il «New York Times» ribattezzava senza troppi giri di parole «giochi stupidi». Medesimo destino sarà riservato ai social game, vituperati (a ragion veduta) e ora dati per agonizzanti quando non morti e sepolti ( a ragion altrettanto veduta, come dimostra la chiusura di tre studi Zynga solo la settimana scorsa).

Il domani sarà di passatempi dalla curva di apprendimento istantanea, dallo svolgimento ultra rapido, risibili dal punto di vista grafico e chissà quanto banali da quello contenutistico, ma dalle prodigiose capacità uncinanti. Circa l'ideologia a loro sottesa il discorso sarebbe tutto fuorché banale ma esulerebbe dagli intenti di questo scritto; ci ripromettiamo di rimandarlo ad altre e più opportune occasioni.

Ebbene, per dirla in altri termini si celebrerà la vittoria dell'intrattenimento "una botta e via", alla faccia della next-gen, dei suoi costi di sviluppo tendenti all'infinito e in barba a tutte le software house (vecchio stampo) che perseguono la verosimiglianza cinematografica e, come conseguenza, il suicidio lento ma inesorabile (sull'argomento, si scrisse più a lungo qui).

Il futuro del gaming vedrà un progressivo diffondersi di quelli che tempo fa il New York Times ribattezzava senza troppi giri di parole 'giochi stupidi'.

Quindi si avvererà quanto profetizzato in Idiocracy, quel film del 2006 diretto da Mike Judge in cui il futuro della specie è in mano a una progenie di mentecatti? Potrebbe essere vero l'esatto contrario.

"Si avvererà quanto profetizzato in Idiocracy? Potrebbe essere vero l'esatto contrario"

La questione sembra essere più vicina alla tesi sostenuta da Steven Johnson nel suo ormai classico Tutto quello che fa male ti fa bene (in Italia, un po' sinistramente edito nel 2009 da Mondadori). In quel libro Johnson ipotizza un collegamento diretto fra l'azione dei media più popolari degli ultimi 40 anni, contemplando anche le specificità del mezzo videoludico, e il quoziente intellettivo medio della collettività (la sua ricerca è circoscritta agli Stati Uniti).

Lungi dal corroborare la convinzione diffusa secondo cui l'intrattenimento popolare sia andato peggiorando cogli anni tanto da "imbarbarire" la cultura e l'immaginario comune, Johnson afferma che tv, cinema e videogiochi hanno contribuito a rendere le persone vieppiù scafate. Pur basando la propria analisi sui test per la misurazione del Q.I. tanto in voga negli Usa (misurazioni la cui attendibilità Johnson peraltro critica), lo scrittore appassionato di neuroscienza sostiene (stiamo semplificando, lo ammettiamo) che serie come Lost o pure gli ormai datati Sopranos, piuttosto che film come Memento e Matrix, 30 anni fa non sarebbero stati "digeribili" dalla massa. L'uomo comune sarebbe stato troppo ottuso per goderne.

E non tanto per le tematiche affrontate, quanto per la complessità della struttura narrativa, per la raffinatezza retorica passata dalla sala alla pri-ma serata, per i rimandi cross mediali e la farcitura citazionistica. In altre parole, se oggi la gente va pazza per Homeland, Lost o Black Mirror un po' di merito va dato a Dallas e ad Anche i ricchi piangono.

Se oggi la gente va pazza per Homeland, Lost o Black Mirror un po' di merito va dato a Dallas e ad Anche I Ricchi Piangono.

Ma quanto e cosa ha a che vedere 'sta questione con i nostri amati gio-chini interattivi? A ben pensarci, tutto.

I computer game, la musa regina della contemporaneità digitale, si ap-prestano alla loro maturità. La crescente attenzione alla produzione in-dipendente e la portentosa diffusione del mobile gaming confermano come d'ora in poi il gioco sintetico sarà sempre più pervasivo. Per quanto obbligato a riscrivere se stesso.

"I giochi stupidi tanto invisi all'intellighenzia newyorkese hanno avuto un ruolo di primo piano"

In questo senso proprio i "giochi stupidi" tanto invisi all'intellighenzia newyorkese hanno avuto un ruolo di primo piano. Dal 2007 i casual game, l'apertura di piattaforme d'acquisto digitali e i network sociali hanno ridefinito nel bene e nel male l'universo ludico. Soprattutto ne hanno scovato il nuovo utente medio, spesso donna, di età matura (fra i 37 e i 42 anni) e pronta a cimentarsi con fattorie digitali da costruire, parcheggi da rubare ai propri amici online e collusioni mafiose da gestire in tinello. In altri termini, sono proprio i giochi più idioti ad aver sdoganato il gaming come mai prima.

La varietà contenutistica degli indipendenti ha invece dimostrato quanto il settore abbia necessità di storie originali, gameplay mai visti e temi troppo "pericolosi" per chi sia obbligato a rientrare di costi d'investimento hollywoodiani. Fidatevi, non succederà tanto presto che un seguito di Call of Duty contempli la componente omosessuale dell'esercito (che c'è, perché c'è); ma di titoli attenti alle culture marginali già oggi cominciano a essercene parecchi. Per fortuna.

Dal 2007 i casual game, l'apertura di piattaforme d'acquisto digitali e i network sociali, hanno ridefinito l'universo ludico.

Detto in altri termini, se Minecraft, Fez o Papo & Yo furoreggiano, un po' di merito va dato a Farmville e Parking Wars. L'effetto implicito sembra chiaro: i giochini ottusi domani diverranno via via meno stupidi. Più raffinati nel gameplay e dallo spettro tematico più vasto. Il loro successo, più che alle piattaforme di appoggio, sarà dovuto all'intelligenza intrinseca e al software.

"Il mobile gaming a un certo punto non avrà nemmeno più bisogno di innesti narrativi posticci"

Accanto a giochi portabili, che sfruttino realtà virtuale e aumentata, che miscelino data mining e social networking, fioriranno temi mai affrontati. Gli abbattuti costi di accesso e piattaforme digitali per la condivisione (gratuita) faranno il resto. I social game e i titolini da smartphone, talvolta apice dell'insipienza contemporanea, diverranno più profondi; gli utilizzatori casuali non potranno che giovarne. Magari diventando, come indicato da Johnson, vieppiù arguti pure loro (pensate ai fenomeni Drop7 o Ruzzle, giusto per rimanere nel già noto).

Il mobile gaming a un certo punto non avrà nemmeno più bisogno di innesti narrativi posticci. Addio ai "salva la principessa nella tua città", o ai "diventa sindaco di piazza del Comune"; benvenuti agli "scatta la foto dell'edificio in via Pascoli prima degli altri", o agli "scopri quante marche nuove di pannolini bio ha il supermercato sotto casa". Magari anche ai "trova i libri perduti nella biblioteca centrale e guadagna dei soldi". Soldi veri s'intende. E altrove già succede.

I blockbuster scompariranno? No, non si preoccupino i fanatici degli uni-versi paralleli à la Guild Wars, o i maniaci dell'effetto (videoludico) speciale; sempre più formidabili ed esteticamente meravigliosi, i tripla A sa-ranno però più rari e appannaggio di strutture aziendali in grado di supportarne i costi di produzione.

Il futuro del gaming? Portatile, indossabile, urbano. Fra vita di ogni giorno, realtà aumentata e virtuale. Ma soprattutto molto poco idiota. Merito anche degli 'stupid game' oggi imperanti.

Solo, come nel cinema, sarà l'offerta a espandersi: accanto ai futuri prodigi di Crysis, a Watch Dogs 3, ai nipoti del comandante Shepard e al cinquantesimo aggiornamento di PES e FIFA, festeggeremo un florilegio di giochi oggi impossibili da immaginare. Vedremo cose, con questi occhi, magari più "brutte", ma altrettanto probabilmente più intelligenti, profonde... ed efficaci.

"L'attenzione per il cloud gaming, l'indie o il gioco integrato alla quotidianità è l'unico dato davvero positivo dopo la presentazione di Playstation 4"

Pare che anche i soliti colossi, al di là di reazioni ricattatorie chiamate freemiun (qui trovate un approfondimento) se ne siano accorti. L'attenzione per il cloud gaming, l'indie o il gioco integrato alla quotidianità è l'unico dato davvero positivo dopo la presentazione di Playstation 4; lanci in grande stile per applicazioni come Wii U Street (disponibile anche in Italia e per un po' gratuitamente) suggeriscono che la direzione comune è stata intravista.

Gira addirittura voce che piccole startup stiano sviluppando idee rivoluzionarie finanziate da giganti dai piedi ormai d'argilla (anche in Italia, in-dagate dalle parti di Varese o negli intricati territori del gambling game). Ma siamo convinti che lo scenario, anche dei protagonisti del settore, non dipenderà più (solo) dalle star di un tempo. Qualche critico e game designer radicale sta da anni profetizzando l'avanguardia dei giochi amatoriali. Produzioni private senza vincoli di costo o contenuti. Forse non eccezionali alla vista, ma non più stupide di un lavoro firmato Hideo Kojima.

Il futuro e immaginifico erede di Angry Birds, oppure la progenie di Farmville giocheranno strano tipo Lost. Gli stupid game ci renderanno smart. Ce lo auguriamo col cuore. E col cervello.

Emilio Cozzi è vicedirettore di Zero, dal 1996 la guida agli eventi di intrattenimento e cultura nelle principali città italiane. Dalla carta all'online e sempre gratis, il network risponde alle più antiche questioni dell'Umanità: chi siamo? Dove andiamo? Quanto costa?.

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A proposito dell'autore
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Emilio Cozzi

Contributor

Nasce 45 anni fa durante una partita della Nazionale, che distrae i medici. Da allora non ama particolarmente il calcio, ma si occupa di cultura, intrattenimento e scienza. Scrive di videogiochi e cultura videoludica su Il Sole 24 Ore, Wired e Il Corriere della Sera. Dirige la sezione space economy di Forbes Italia e Cosmo. Lo trovate ancora lontano dai campi di calcio. O su Twitter come @Addioegrazieper
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