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Il problema sono davvero i game as a service? No, sono i giochi brutti - editoriale

Game as a service oggi è sinonimo di “male”. La questione verte, invece, sulla qualità del videogioco.

I game as a service sono oggi un bersaglio facile, ma non per le giuste ragioni. Sono un comodo appiglio per criticare sviluppatori o produttori che scelgono di puntare sull'online e sulla costante espansione del mondo di gioco.

Difficile capire esattamente cosa animi i videogiocatori contro tale modello. Sicuramente è la contrarietà alle "facili" fonti di ricavi, che generano sempre sentimenti di astio nel pubblico e il timore che i "game as a service" possano significare la morte dei videogiochi a giocatore singolo. Ipotesi, quest'ultima, che in realtà non sembra minimamente star prendendo forma. La realtà è più sfaccettata.

Nell'ultimo trimestre fiscale Electronic Arts ha registrato 504 milioni di dollari di ricavi dai "live services" (abbonamenti, microtransazioni, etc), e 2,46 miliardi negli ultimo dodici mesi. Nel settore digitale è l'unico ambito che sta crescendo: i download digitali, proseguendo nel contesto di EA, hanno portato meno introiti; lo stesso è valso per il mobile. Con dati di questo tipo, è facile scagliarsi contro i game as a service come l'ennesimo tentativo dei produttori di avere facili guadagni.

Vanno fatte però delle distinzioni. Innanzitutto non sono le aziende che si "autocomprano" i giochi: se FIFA Ultimate Team porta nelle casse di Electronic Arts decine di milioni di dollari, sono i videogiocatori che hanno ritenuto valida la proposta commerciale della modalità e hanno deciso di investirci. Le aziende, che spesso sono colossi quotati in borsa e perseguono i ricavi, hanno intravisto un'opportunità commerciale. Evidentemente i giocatori stessi avevano un'esigenza che nemmeno sapevano di avere. Altrimenti, in caso contrario, la risposta commerciale non sarebbe stata altrettanto entusiasta.

Il problema di Anthem era l'essere un “game as a service” o, più banalmente, un videogioco con grossi difetti?

Passiamo oltre e pensiamo invece a come viene recepito oggi il game as a service. Anthem è un ottimo riferimento: un gioco online che, come sappiamo bene, voleva seguire l'esempio di Destiny, proponendo un mondo in espansione. Sin dal lancio, però, il gioco ha sofferto di molti problemi, legati fondamentalmente alla pochezza dei suoi contenuti e alla scarsa attrattiva delle missioni. Il problema, quindi, era della qualità del contenuto o del suo essere un game as a service?

Analizziamo un ulteriore fattore. I giochi come servizio sono spesso online. Servono infrastrutture, programmi attenti, regolari ed estesi. Un investimento a lungo termine che, francamente, non è a portata di tutte le case di sviluppo, ma soltanto di quelle più grandi. Motivo per cui oggi vediamo gli occhi puntati sui "game as a service" da parte dei principali editori: Electronic Arts, Ubisoft e Activision, per esempio.

Togliendo loro dal calderone, rimane però una platea di sviluppatori immensa che non sta inseguendo i game as a service oppure, in caso contrario, lo sta facendo come parte di una strategia atta a estendere il proprio piano di business. Leggasi: continuano a realizzare anche produzioni a giocatore singolo.

Bethesda sta portando avanti Fallout 76 ma ha appena commercializzato Wolfenstein: Youngblood (godibilissimo anche in solitaria e in locale) e presto lancerà Doom Eternal. Ubisoft stessa, oltre che spingere le stagioni di giochi come Rainbow Six Siege e The Division 2, sta sicuramente lavorando a un nuovo Assassin's Creed e all'E3 2019 ha presentato anche Watch Dogs Legion e una nuova IP, Gods and Monsters. Capcom ha svolto un lavoro eccellente con Devil May Cry 5 e il mercato l'ha premiata. L'incredibile e costante successo di GTA Online, inoltre, non ha influenzato lo sviluppo della meravigliosa esperienza a giocatore singolo di Red Dead Redemption 2.

Devil May Cry 5 di Capcom è un altro esempio di bel titolo da giocare in singolo. E il mercato ha premiato l'azienda giapponese.

A voler ben vedere, poi, i semi del game as a service erano le espansioni che già molti anni fa coinvolgevano videogiochi online come World of Warcraft; e anche la serie The Sims, che ha ricevuto letteralmente vagonate di espansioni e contenuti aggiuntivi. I MMORPG, in particolare, vivevano di abbonamenti mensili. Per anni, i cabinati in sala giochi hanno proposto esperienze videoludiche appositamente pensate per spennare gli utenti e far spendere loro altri gettoni. Eppure quell'era viene ricordata da tanti con grande nostalgia. Perché oggi, invece, dovrebbe essere un problema?

Oggi l'abitudine commerciale di proporre un contenuto gratuito che viene successivamente ampliato attraverso "mini-espansioni" o microtransazioni è molto più radicata che in passato. Non c'è dubbio. Di fatto, è così perché è l'unico modo in cui il modello free-to-play (nato per estendere la base di videogiocatori) può sopravvivere: da qualche parte lo sviluppatore deve rientrare del suo investimento. L'alternativa sarebbero le pubblicità in-game, come spesso accade nel mondo mobile, e che sarebbero molto più invasive.

Il game as a service è un'altra pratica che un'azienda può considerare a livello commerciale. Così come scegliere di portare il suo videogioco nei negozi in versione pacchettizzata o di pubblicarlo solo in digitale; venderlo solo su PC o fare una trasposizione dedicata a Nintendo Switch. Sebbene possa alterare il tipo di contenuto che viene realizzato, il "as a service" non significa direttamente un gioco più o meno piacevole; non c'è una correlazione. Il problema sono i giochi le cui lacune nel game design o nel level design minano la giocabilità; esperienze che anche se fossero state vendute a prezzo pieno, non avrebbero convinto pubblico e critica. Il problema sono i giochi brutti.

Il successo incredibile di GTA Online non ha impattato sulla creazione di una meravigliosa esperienza a giocatore singolo come Red Dead Redemption 2.

Al di là di quelli che sono gusti personali, inoltre, i giochi come servizio rappresentano una grande opportunità: un titolo gratuito che può essere esperito nella sua interezza e senza obbligo alcuno di spendere altri soldi. Il panorama PC è un ottimo riferimento: League of Legends, Counter-Strike: Global Offensive e Dota 2, cioè alcuni dei giochi di maggior successo nonché meglio recepiti degli ultimi anni, sono completamente gratuiti.

In alcun modo, però, ciò ha toccato serie storiche come Civilization o Anno, per citarne solo due, che continuano ad andare per la loro strada e a inseguire ciò che la loro utenza chiede e vuole. Inoltre, moltissimi giochi "as a service" possono in realtà essere esperiti molto bene anche in solitaria.

Chi ha stabilito quale sia il gioco "giusto" da fare? Che il gioco perfetto sia quello a giocatore singolo, con sequenze cinematiche e una storia con decine di pagine di dialoghi? E secondo quali criteri? L'industria videoludica è bella perché, oggi più che mai, è varia.