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La bellezza e il costo dell'indipendenza creativa - editoriale

Cyberpunk 2077 ci ricorda perché può essere tanto importante non avere un publisher. E anche quanto può essere rischioso.

Qual è il costo dell'indipendenza creativa? Senza addentrarci in discorsi filosofici e guardando soltanto ai freddi numeri commerciali, possiamo dire che può valere da zero (com'è stato il caso del gioco indipendente Where The Water Tastes Like Wine, che non ha cavato un soldo dalla produzione) fino a diverse centinaia di milioni di dollari. Ossia quanto ha generato The Witcher 3, sviluppato dai polacchi di CD Projekt Red, in un anno e mezzo dalla sua uscita. 270 milioni di dollari a essere precisi, mentre ne è costato 81 milioni.

Ma non è solamente questione di soldi. Perché a voler badare agli incassi, qualsiasi Call of Duty di turno (realizzato una volta da Infinity Warfare, un'altra da Sledgehammer Games, un'altra ancora da Treyarch) guadagna più di quanto tantissimi sviluppatori indipendenti possano sognare nell'intero ciclo vitale delle proprie produzioni.

L'indipendenza significa che il mondo avrà Cyberpunk 2077. E lo avrà secondo i modi, le modalità e le tempistiche che soltanto CD Projekt Red (studio interno di CD Projekt, che possiede anche il negozio digitale GOG.com) deciderà saranno adeguate alle proprie aspettative. Significa poter plasmare la realtà virtuale del proprio mondo secondo i propri parametri di riferimento; significa poter adagiarsi in una comoda culla di passione e dedizione. Come un artigiano che dedica anni a realizzare una scultura in legno di pregevole valore. Dategli la metà del tempo e la sua opera sarà soltanto una statuetta come tante.

Un progetto come Cyberpunk 2077 difficilmente potrebbe essere realizzato da un'azienda priva della totale libertà creativa e decisionale.

Parlare di date di uscita per Cyberpunk 2077 è infatti quasi tabù. Non tanto perché i vertici della casa di sviluppo non intendano parlarne, chiariamo, bensì perché la risposta sarà sempre la stessa: "Sarà pronto quando sarà pronto". Il gioco di ruolo è stato nominato per la prima volta nel 2013 e a cinque anni di distanza tutto ciò che abbiamo sono una manciata di dettagli sulle meccaniche (sappiamo, per esempio, che sarà in prima persona) e un trailer all'ultimo E3 che ha soltanto aperto ulteriormente lo stomaco degli affamati utenti in attesa.

"Essendo uno sviluppatore indipendente - anche se non userei proprio la parola publisher, ma di fatto ci stiamo autoproducendo - abbiamo il 100% del destino nelle nostre mani", ha spiegato Marcin Iwiński, co-amministratore delegato e co-fondatore dello studio, in un'intervista a Kotaku. "Se non ci piace qualcosa, non abbiamo problemi a dire 'Ok, dobbiamo rifare questa parte'. Può voler dire buttare all'aria sei mesi di lavoro e alcune volte è proprio quello che è successo".

Fare, disfare, rifare e ridisfare finché l'opera non ha assunto la forma che lo sviluppatore aveva in mente.

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Pochissimi altri sviluppatori all'interno dell'industria possono dirsi altrettanto flessibili sul proprio lavoro. Chiedete a Respawn Entertainment (Titanfall), a DICE (Battlefield) o persino a Bungie Studios (Destiny) se il publisher sarebbe d'accordo a procedere nello stesso modo. Non c'è nulla di male. Si tratta di logiche commerciali molto diverse: per alcune aziende servono contenuti regolari, titoli rilasciati, magari, a cadenza annuale per poter continuare a operare a regime.

Di logiche di mercato e di imposizioni dall'alto ne sa qualcosa un'altra figura ben nota: Hideo Kojima. Dopo Metal Gear Solid V il game designer giapponese ha interrotto il duraturo rapporto di lavoro con Konami per un preciso obiettivo: poter fare le cose a modo suo. Di Death Stranding, il primo progetto di Kojima Productions, continuiamo a sapere poco, ma sin da subito è emerso chiaramente che questa volta Kojima avrebbe fatto a modo suo; avrebbe potuto realizzare quel connubio fra cinema e videogiochi a cui ha sempre agognato.

A prescindere da quale sarà il risultato finale. Per quanto ne sappiamo a oggi, Death Stranding potrebbe essere il capolavoro a cui Kojima aspira da una vita oppure un esperimento senza capo né coda. A seconda di chi lo chiedete, avrete una risposta diversa.

Si potrebbe persino dire che il lancio precoce di No Man's Sky, il gioco indipendente più chiacchierato del decennio, sia stato una naturale conseguenza dell'appoggio di Sony: quando è arrivato un publisher, che come detto ragiona secondo dettami commerciali più rigidi, i tempi sono dovuti essere accelerati. E oggi No Man's Sky, dopo molti aggiornamenti ed espansioni, è un gioco incredibilmente differente e molto più ampio. Pensate se fosse stata questa la sua configurazione iniziale. Ma stiamo divagando.

Hideo Kojima si è staccato da Konami per poter lavorare secondo le proprie modalità. Da questa indipendenza creativa sta maturando Death Stranding.

Quello di CD Projekt Red e di Kojima Productions è ovviamente un lusso. In un'industria destinata a inseguire costantemente la tecnologia, che corre molto velocemente e che esige un mutamento hardware a intervalli regolari, l'idea che grandi progetti possano prendersi anni per plasmare il gioco a immagine e somiglianza della figura che il suo creatore aveva in mente è quasi utopico.

Qualcuno ce la fa. Altre volte, invece, l'editore permette al suo pupillo di avere libero spazio con risultati che vanno da un incredibile prestazione commerciale del GTA di turno fino al disastro commerciale di Shenmue 1 e 2, un costosissimo progetto le cui scarse vendite, nel contesto del fallimento ancora più rilevante del Dreamcast, hanno costretto SEGA e Yu Suzuki a lasciare per anni la proprietà intellettuale nel cassetto.

Quando invece succede, quando per una congiunzione astrale o commerciale un progetto, questo sistema riesce a essere messo in piedi seguendo parametri che sfidano il convenzionale ragionamento commerciale, allora si crea qualcosa di meraviglioso.