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La fondamentale importanza del level design - editorale

Vi è mai capitato di conoscere un mondo virtuale meglio del vostro quartiere?

Quando nel 1985 fu rilasciato Super Mario Bros, erano in pochissimi a sospettare che un baffuto idraulico saltellante avrebbe resuscitato il medium del videogame dopo la terribile crisi dell'83. Eppure, il side-scroller di Miyamoto san sarebbe presto divenuto parte integrante delle fondamenta del movimento, penetrando profondamente la cultura di massa e delineando i fortunati assiomi alla base del successo di Nintendo.

L'intera rivoluzione ebbe inizio dal celebre "Mondo 1-1", un livello che qualsiasi appassionato riconoscerebbe al primo sguardo, un quadro che, seppur apparentemente semplice, nasconde fra blocchi e tubi la chiave necessaria per leggere la filosofia di design di Miyamoto, oltre a rappresentare uno tra i massimi esponenti nella moderna scienza del level design.

Attraverso quel percorso, Shigeru voleva che "il giocatore capisse gradualmente l'intero funzionamento dell'opera, impadronendosi delle meccaniche fino a considerare 'sua' l'esperienza". In effetti, nel corso della terza generazione di videogiochi si puntava spesso a sostituire il classico tutorial con uno stage volto al confronto con le meccaniche, basti pensare a Metroid o The Legend of Zelda, e ciò accadeva perché la professione del level designer era per lo più sconosciuta, laddove il compito ricadeva spesso nelle mani di un singolo programmatore.

Il Mondo 1-1 rappresenta uno dei massimi esempi di tutorial emergente, e ha un design capace di catturare qualsiasi giocatore nel cuore delle meccaniche.

Ne è passata di acqua sotto i ponti dai tempi in cui l'editor per i livelli di Doom fu messo a disposizione di tutti i gli appassionati, e nel corso dei decenni la disciplina del level design è cresciuta al punto da diventare, spesso e volentieri, l'elemento più riconoscibile all'interno di un titolo, il marchio di fabbrica di determinate software house, il motore principale alla base dell'esperienza o addirittura, come nel caso di Super Mario Maker, la vera e propria protagonista di un progetto.

Gli architetti dei percorsi virtuali hanno iniziato a sfruttare l'illuminazione, la scenografia e la palette cromatica per guidare i giocatori, si sono presi la libertà di occultare alcune aree e interi livelli fra le stringhe di codice, hanno imparato ad alterare il gameplay e puntare sullo scenario per raccontare storie ed aumentare notevolmente l'immersione; nel tempo, poi, sono maturate diverse sovrastrutture connesse, come lo studio della costruzione del mondo (il world design) e quello dedicato all'estetica degli ambienti (l'enviromental design), ormai divenute imprescindibili nel processo di caratterizzazione di un setting.

Il punto più alto della disciplina viene toccato quando strade, edifici e scorci arrivano ad acquistare la dignità del vero e proprio co-protagonista, spingendo il giocatore a dimenticare di trovarsi al cospetto di un mondo costruito artificialmente e portandolo a perdersi nella familiarità delle ambientazioni, fino ad apprezzarne la storia, la geografia, i dettagli più nascosti e gli strumenti di navigazione.

La planimetria del Borgo dei non morti di Dark Souls svela la straordinaria cura riposta nella coerenza geografica.

Guardando all'epoca recente, è impossibile non soffermarsi su Dark Souls di From Software. Anche se ciò che è passato alla storia è l'innovativo e spietato combat system, il world design di Lordran sarà sempre ricordato come uno dei migliori mai incontrati nella storia del medium. Fin dal primo ingresso nell'intricato Borgo dei non morti, il team di Hidetaka Miyazaki mette il giocatore di fronte ad un'architettura impeccabile, un quartiere che rispetta le proporzioni in modo certosino, una vera e propria tesi in coerenza ambientale.

Ciascun panorama accende i riflettori su settori ignoti o aree già esplorate, ogni marchingegno svela sorprendenti scorciatoie, mentre qualsiasi muro potrebbe nascondere segreti che, nell'era antecedente ad internet, sarebbero rimasti tali per svariati anni. E From ha raggiunto questi traguardi senza lesinare sulla narrativa emergente, tenendo a mente la curva della difficoltà e riservando uno spazio importante alla libertà di scelta del giocatore.

Non è una sorpresa che il team giapponese abbia faticato a ripetere un tale capolavoro: come diceva Miyamoto, "le innovazioni nascono sempre da un problema", ed il problema di Dark Souls risiedeva nel limite tecnico della scorsa generazione. Creando l'universo 'sferico' alla base di Lordran, From Software ha preso più di due piccioni con una fava, risolvendo egregiamente in un sol colpo tutte le questioni più spinose, dai limiti della componente narrativa fino alla difficoltà nella realizzazione delle zone aperte.

Nella stazione spaziale Talos 1 di Prey, non esistono barriere imposte dagli sviluppatori: con la giusta inventiva, è possibile saltare la maggior parte dell'avventura e correre spediti verso il finale.

L'interpretazione del level design come soluzione ad un enigma non rappresentava certo una novità: basta analizzare le architetture di Half-Life 2, ed in particolare quelle della città mineraria di Ravenholm. Le planimetrie degli stage nell'opera di Valve puntavano a stratificare l'ambientazione, partendo da luoghi piuttosto compressi per poi diversificarli attraverso semplici stratagemmi: a cosa serve realizzare una location sterminata quando, giocando con la coerenza, puoi condurre il giocatore prima per le strade, poi fra gli stretti corridoi dei palazzi ed infine sui tetti?

All'estremo opposto della disciplina troviamo tutte quelle opere che, consapevolmente, permettono al giocatore di abusare di mondi che sono minuziosamente studiati per diventare "rompibili". L'eredità dello storico primo episodio di Deus Ex ha finito per riversarsi nelle mani di Arkane Studios, di gran lunga la software house che ha realizzato i più grandi saggi di level design in epoca contemporanea.

Anche se la serie Dishonored ha dimostrato un'impressionante cura per i dettagli nascosta dietro il posizionamento di ciascun gradino ed ogni sporgenza, è Prey a dover gran parte del suo successo critico alla progettazione della stazione Transtar Talos 1. Tutti i sopracitati brand sono caratterizzati da una grandissima libertà di approccio, eppure sono pochi ad essersi avvicinati al limite del sandbox quanto l'avventura di Morgan Yu, un viaggio in cui l'unico limite al movimento e alla libertà del protagonista risiede nell'ingegno del giocatore, a prescindere da qualsiasi sistema di progressione.

Nidosacro, l'ambientazione estremamente dettagliata alla base di Hollow Knight, è la più grande mappa mai incontrata nel sottobosco del metroidvania.

In fin dei conti, il level design è uno strumento estremamente duttile, prezioso tanto nei contesti di libertà quanto fra i confini della linearità, essenziale per far brillare le meccaniche o per puntare i riflettori su determinate sfumature di un'opera. È una tela su cui si posano le pennellate di tantissimi altri artisti, una struttura che acquista valore con l'apporto dei sound designer, dei gameplay programmer e di tutti i sistemi alla base del progetto.

Basta l'intervento di un effetto sonoro o un semplice cambiamento dell'inquadratura per modificare l'approccio ad un qualsiasi segmento, e ciò è evidente, ad esempio, nella splendida Spencer Mansion co-protagonista del primo Resident Evil, banco di prova sul quale gli artisti di Capcom hanno dimostrato un talento destinato ad affinarsi nei capitoli successivi, fino a riaffiorare nell'inaspettata contemporaneità del recente remake.

La ricerca del minimo comun denominatore di un ottimo level design finisce inevitabilmente per attraversare il genere metroidvania, la struttura che più di ogni altra richiede e premia la cura per la caratterizzazione del setting. Non deve sorprendere il successo che il suddetto sottobosco sta riscoprendo nella cornice dell'attuale generazione: gli assiomi alla base del genere sono infatti gli stessi che hanno contribuito al compimento della rivoluzione "soulslike", facendo capolino persino fra le ispirazioni del Game of the Year God of War.

La Spencer Mansion di Resident Evil si imprime a fuoco nella memoria del giocatore: dopo aver completato l'opera, la planimetria assume un colore del tutto nuovo.

La mastodontica Nidosacro di Hollow Knight, l'intricato castello di Symphony of the Night e le superfici planetarie di Zebes e SR-388 sono perfetti esempi di calderoni in grado di cuocere a puntino ciascun ingrediente alla base del gameplay, anche e sopratutto perché il setting è destinato a ricoprire un ruolo da protagonista assoluto.

Se ciò era già evidente dalle decine di iterazioni bidimensionali, è diventato ancor più ovvio con l'esordio del pianeta Tallon IV introdotto da Metroid Prime, probabilmente il massimo esempio di resa tridimensionale dell'architettura metroidvania. Ogni increspatura, bioma e cunicolo dovette tenere conto del sistema di progressione, del grado di mobilità, della sceneggiatura e della curva della difficoltà, realizzando infine un labirinto quasi perfetto.

Nintendo, in un certo senso, divenne pioniera del focus sul level design fin dall'avvento della quinta generazione di console, quando dovette sacrificare il peso delle sequenze in CGI in favore di elementi che favorissero il supporto della cartuccia, puntando infine sulle componenti strettamente legate al gameplay; laddove l'attenzione per le texture regnava incontrastata, la grande N nascondeva finezze nel castello di Peach in Mario 64 e fra i panorami degli Hyrule Fields in The Legend of Zelda: Ocarina of Time.

Breath of the Wild ha deviato dalla tradizionale concezione del world design, applicando all'esperienza open-world le regole tradizionalmente alla base del classico level design.

Certo, anche Sony non fu da meno, avendo potuto contare sull'accorta resa di Shadow Moses secondo Hideo Kojima, ma stava iniziando l'era della contrapposizione fra l'estetica dei world ed enviromental design, sovente figli della ricerca grafica, ed il puro impatto sul gameplay, strettamente legato alla classica interpretazione del level design.

Ancora oggi incontriamo opere che possono contare su un background ed una coerenza del mondo di gioco di eccellente fattura, come ad esempio The Elder Scrolls: Skyrim o i recenti capitoli di Assassin's Creed, ma che d'altra parte faticano a rendere interessante l'architettura dei singoli "livelli", di fatto penalizzando le fasi più attive. Anche la splendida Yharnam di Bloodborne, location che ha acceso i riflettori su uno dei migliori enviromental design di tutti i tempi, si trova costretta a chinare il capo al cospetto della magnifica dovizia tecnica di Lordran.

È vero: in tanti, giocando l'ultima avventura di Link, sono rimasti delusi dall'assenza dei fantastici dungeon cui la serie ci aveva abituati, ma è ancor più vero che l'applicazione della tradizionale filosofia di level design alla grandezza di Breath of the Wild rappresenta un vero e proprio unicum, una ricerca che ha le carte in regola per rispondere tanto alle esigenze legate all'estetica quanto alle necessità del puro piacere ludico e della meraviglia infantile.

Forse si tratta del sentiero giusto per tornare ad applicare la lezione impartita dal metroidvania, in modo da evitare scivoloni durante l'operazione di bilanciamento che coinvolge appeal visivo, caratterizzazione ed intrattenimento. Perché è solo risolvendo questa equazione che si riescono a progettare quei mondi che, anche a distanza di un ventennio, restano impressi nei nostri ricordi come se non li avessimo mai abbandonati. E voi? Conoscete un qualche luogo artificiale nel quale sapreste muovervi come foste a casa vostra?

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Lorenzo Mancosu

Editor-in-Chief

Cresciuto a pane, cultura nerd e videogiochi, i suoi primi ricordi d'infanzia sono tutti legati al Super Nintendo. Dopo aver lavorato dentro e fuori dall'industry, è finalmente riuscito ad allontanarsi dalle scartoffie legali e mettere la sua penna al servizio di Eurogamer.it.

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