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Il declino del Giappone

L'industria nipponica vista dall'interno.

La fine del mondo come lo conosciamo

“Il Giappone è finito. La nostra industria dei videogiochi è giunta al termine.” Le pesanti dichiarazioni di Keiji Inafune di Capcom al Tokyo Game Show del 2009, vennero accolte in modo negativo, con un comportamento perfettamente in linea con quello dell'industria giapponese dei videogiochi degli ultimi anni.

Il commento di Inafune arrivò dopo il crollo del 25% delle vendite di hardware e software giapponesi nella prima metà del 2009, durante un evento che aveva assistito a un calo di visite del 5% rispetto all'anno precedente. Anche se la meravigliosa scintilla di design ispirato può ancora essere trovata in titoli come Super Mario Galaxy, The Last Guardian e Demon's Souls, la triste verità finanziaria della situazione attuale è sotto gli occhi di tutti.

Ma come siamo arrivati a questo punto? Cosa andrebbe fatto per risolvere le cose? È troppo tardi per sperare che il più grande esportatore di videogiochi possa sollevarsi di nuovo per competere con l'Occidente?

“I giorni d'oro dei giochi giapponesi negli anni '80 e '90 erano basati sulla forza della tecnologia e sulle idee creative. Al giorno d'oggi, però, l'intrattenimento è concentrato molto più sulla cultura e sulla qualità generale.” A 29 anni Dewi Tanner, direttore dello sviluppo alla NanaOn-Sha, occupa uno dei ruoli più importanti per uno sviluppatore straniero in Giappone.

Secondo la sua opinione, il problema del Giappone è l'introversione creativa, che ha portato all'impossibilità di stare al passo con i progressi dell'Occidente. “Il Giappone ha un'economia creativa domestica estremamente forte. I film e la musica giapponesi non sono fatti per essere venduti all'estero, visto che grazie alla massiccia domanda interna non se ne sente il bisogno.

Kenjii Inafune ha proclamato la fine dell'industria giapponese dei videogiochi.

“Tale successo si è rivelato essere un'arma a doppio taglio. Tanto per iniziare, la gente non è incoraggiata a imparare l'Inglese. Una conseguenza diretta di questo è che molti programmatori giapponesi non possono partecipare in modo soddisfacente ai forum di discussione dove vengono affrontate e condivise le ultime tecniche all'avanguardia. La necessità di dover aspettare traduzioni approssimative e guide dai contenuti ridotti li mette inesorabilmente in fondo alla catena.

“A questo si aggiunge il fatto che gli sviluppatori giapponesi non partecipino davvero a trend globali come Facebook o Twitter, non riuscendo così a conoscere e comprendere il pensiero globale. Ultimamente, inoltre, il mercato si è chiuso ancor più in se stesso. Nessuno, qui, ha sentito parlare di Twilight, per parlare di uno degli ultimi fenomeni di internet (anche se, stranamente, Susan Boyle sta riscontrando un certo successo). Qualunque gioco pensato per un pubblico occidentale si trova così di fronte a un muro invalicabile, visto che generalmente è basato sulla visione distorta che i giapponesi hanno dell'Occidente.”

“Un terzo problema è la differenza della scala qualitativa. Un prodotto che in Giappone verrebbe considerato decente, infatti, potrebbe non bastare per sfondare all'estero. Più questo divario si ingrandisce, più diventa difficile e spaventoso fare il grande salto oltre i confini.”