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La rinascita dei survival horror - articolo

Guardatevi sempre le spalle.

In uno dei molti viaggi per far visita a diversi parenti in Pakistan, molti anni fa, a noi bambini è stato permesso di divertirci noleggiando dei film da guardare a casa. Non ricordo di essere mai andato in un negozio, perciò non ho idea di chi abbia finito per scegliere Wishmaster di Wes Craven per la nostra piccola TV a tubo catodico. Non ricordo nemmeno molto del film, tranne che fosse stupido, schifoso e strano, tutto allo stesso tempo. Non potevo immaginare, dal momento che in un'area rurale dell'Asia meridionale non avevo accesso alla connessione internet analogica, che stesse avvenendo un cambiamento importante nel genere horror, sia nei film che nei videogiochi.

Tutto ha avuto inizio verso la fine del secolo con due film: uno proveniente dall'estremo Oriente e l'altro dall'Occidente, la cui influenza continua ad ispirare le produzioni cinematografiche e non solo. Il primo è il film del regista giapponese Hideo Nakata, Ring (o Ringu) del 1998, che molti di noi hanno conosciuto grazie al successivo remake di Hollywood con protagonista Naomi Watts. Probabilmente l'avrete tutti già visto, o almeno lo conoscerete di fama, ma la trama ruota attorno ad una famigerata videocassetta che provoca la morte misteriosa dei suoi spettatori sette giorni dopo averla guardata. Il secondo è The Blair Witch Project, un film presentato come “found footage” che segue un gruppo di amici che si accampa nel bosco per scoprire se esiste o meno una strega che perseguita e uccide la gente del posto.

Il motivo per cui questi film si distinguono ancora oggi è che hanno dimostrato che il vero horror non è rappresentato da ciò che si vede, ma da ciò che non può essere visto o compreso. Questa enfasi data all'horror psicologico è passata poi anche ai giochi: gli sviluppatori hanno iniziato a rinunciare a sangue e budella per concentrarsi invece su nebbia ed ombre. Probabilmente, i migliori esempi sono, ancora oggi, i giochi proprio di quel periodo come Silent Hill, Forbidden Siren e Project Zero.

Quello che riescono a fare molto bene questi giochi è dar vita a storie valide ed interessanti, proprio come i film di cui sopra. Forbidden Siren, ad esempio, è ambientato in un villaggio isolato con una popolazione locale molto religiosa. Un terremoto improvviso crea alcuni misteriosi cambiamenti in questa piccola realtà e il villaggio finisce per essere circondato da un mare di sangue. Il gameplay prevede che il giocatore prenda il controllo di diversi personaggi per cercare di ricostruire la storia dei sopravvissuti. Qualcosa di decisamente molto più originale dei soliti mostri strani o zombie che sbucano dal nulla per essere colpiti, più volte, spesso direttamente in faccia (indipendentemente da quanto possa essere soddisfacente).

Quest'attenzione volta a rendere le cose inquietanti anziché macabre è una lezione davvero meravigliosa che ci viene impartita dalla cultura giapponese. Un ulteriore esempio proviene da un altro film di Nakata, Dark Water. La pellicola racconta di una madre single che si trasferisce in un squallido appartamento con la sua piccola figlia, che presto inizierà ad essere estremamente turbata da una strana perdita proveniente dal soffitto. Il film dimostra il genio del regista che riesce a contestualizzare all'interno del film il suo timore dell'abbandono durante l'infanzia e la malattia mentale. Questi temi non solo risultano assenti da molti film e videogiochi horror, ma a volte sono considerati quasi come una seccatura dai media, spingendo i creatori a scegliere dei soggetti più tollerabili e semplici. Il culmine di Dark Water è seguito da una scena che riesce contemporaneamente ad essere triste, disturbante e toccante. Ovviamente, Dark Water non poteva farsi mancare un adattamento hollywoodiano, allo stesso modo di altri film anch'essi (malamente) replicati, come The Grudge. Questo dimostra quanto peso e rispetto si abbia per l'horror giapponese.

Sfortunatamente, i giochi e i film prodotti in Occidente si sono discostati da queste tematiche. E, a parte il gioco andato completamente dimenticato (e mal intitolato) “The Suffering”, gli unici elementi offerti sono sangue e violenza. Dannazione, il “torture porn” è diventato un vero e proprio genere, grazie a serie cinematografiche come Saw e Hostel. Alcuni giochi, d'altra parte, negli ultimi anni hanno cercato di unire sia l'horror che la tensione più pura, ottenendo alcuni successi notevoli come con la serie di Dead Space.

Personalmente, quando avevo bisogno di sentire tensione allo stato puro ho sempre scelto di iniziare uno Splinter Cell, visto che il genere stealth garantisce lo stesso numero (se non di più) di spaventi di quello horror. Penso però anche che l'ignoto rappresenti una grande fonte di terrore, oltre ad uno stato di allerta continua, un esempio potrebbe essere l'Area X di Rez Infinite o un gioco più piccolo come Antichamber. Sono abbastanza avvincenti da attrarci e lasciarci a bocca spalancata sino a quando il telefono che ci squilla accanto non ci riporta improvvisamente alla realtà.

Per quanto riguarda i giochi horror, i “jump scares” finora sembrano avere la meglio, essendo largamente apprezzati dal pubblico di YouTube e grazie soprattutto a giochi come Five Nights at Freddy's ed Outlast. La cosa però, non è del tutto negativa. La scorsa settimana ho finalmente deciso di aprire la mia copia di Resident Evil 7, un acclamato ritorno al survival horror per una serie che, negli anni precedenti, si era avvicinata sempre più al genere dell'action horror. Non credo che siano passati neppure novanta minuti prima di un jump scare, seguito da un “Ah! C***o! Basta così!” Naturalmente, ho deciso di vendere subito la mia copia del gioco. Nelle prime scene però, ho notato subito un'iconica immagine proveniente da The Blair Witch Project che, senza dirvi troppo, è rappresentata dal semplice atto di stare in piedi. Sembra che tutti questi modelli siano pronti ad influenzare ancora una volta i nostri giochi e a chiederci se siamo pronti ad affrontare un'ondata in arrivo di tensione e spaventi istintivi. Non so voi, ma io sono pronto per la sfida.

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Emad Ahmed

Contributor

Emad Ahmed is a freelance writer covering games (among other things) and what they say about our world. His desk usually has one stack of unplayed games and another of unread books.
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