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La negazione assoluta è la risposta sbagliata all'OMS e al "gaming disorder" - editoriale

La definizione proposta è prudente e cauta. Sono necessarie più ricerche e l'industria dovrebbe collaborare, non fare muro.

L'Organizzazione Mondiale della Sanità punta ad adottare una definizione di gaming disorder all'interno del proprio manuale di diagnostica standard, l'ICD-11, dando vita a una serie di reazioni da entrambi i lati della barricata che sono tanto prevedibili quanto non costruttive. Parte dei mass media, che recentemente ispirati dal successo di Fortnite hanno rispolverato un greatest hits di storie spaventose sui videogiochi, hanno sfoggiato iperboli incredibilmente inaccurate riguardo la dipendenza da videogiochi. Intanto organizzazioni dell'industria videoludica da tutto il mondo hanno dato vita a un coro improvvisato di rifiuto e negazione, facendo evidente ostruzionismo alla sola idea che tale condizione possa esistere.

Ovviamente non c'è alcuna ragione per essere irritati a causa della mancanza di sfumature mostrata in queste situazioni dall'industria; gli organi dell'industria videoludica in pratica non fanno altro che proporre la linea del "è tutto a posto" in risposta a qualsiasi critica al settore. La sola risposta di rifiuto e negazione in questa particolare questione potrebbe tuttavia essere più dannosa che positiva. Ci sono molte critiche ragionevoli all'inclusione di questo disordine e la reazione dei mass media merita sicuramente una batosta ma questi aspetti sono in effetti compromessi dall'ottusa insistenza sul fatto che il videogiocare non abbia alcun effetto negativo.

Peggio di qualsiasi altra cosa è il danno a livello di pubblica immagine causato dal presentare l'industria come qualcosa ostinatamente in conflitto con l'OMS, una posizione basata su nozioni che partono da quella che sembra una piuttosto deliberata ignoranza della chiarezza e precisione della definizione del disturbo. Vedere la propria industria porsi in maniera negativa nei confronti di una organizzazione di alto profilo internazionale può ferire ma proporsi di fronte all'occhio pubblico come un nemico di quella organizzazione che non vuole cooperare, è come rispondere a una puntura amputando un intero arto.

Parte dei mass media, ispirati dal successo di Fortnite hanno rispolverato un greatest hits di storie spaventose sui videogiochi.

"Il solo coro di rifiuto di fronte a questa particolare questione potrebbe in realtà essere più dannoso che positivo"

Permettetemi di arrivare al nocciolo della questione, la vera e propria definizione di cui stiamo parlando. La definizione di gaming disorder dell'OMS è estremamente precisa e attenta. Gli aspetti scientifici che la sostengono potranno non essere completamente stabiliti (che è una delle critiche ragionevoli alla definizione) ma l'organizzazione non sta proponendo qualcosa di impossibile. Diversi criteri diagnostici importanti sono effettivamente presenti: si descrive un individuo che ha perso il controllo della propria abilità di regolare l'uso dei videogiochi, che ha sofferto importanti conseguenze nella vita sociale, professionale o personale a causa dei di essi ma ha comunque continuato o perfino aumentato il loro utilizzo e si tratta di qualcuno che ha continuato in questo schema comportamentale distruttivo per almeno 12 mesi.

In parole povere l'OMS non sta parlando di giocare ai videogiochi come di un disturbo o del fatto che giocare per molto tempo sia una malattia. Non si sta affermando che un teenager che sbatte la porta perché sua madre gli ha detto di smettere di giocare a Fortnite è malato. Si tratta di parlare chiaramente e in maniera attenta del fatto che videogiocare al punto di compromettere la normale vita quotidiana sia un disturbo. Non si parla di me che la scorsa settimana ho dato buca a una festa a casa di qualcuno per finire God of War. Si parla di persone che perdono il proprio lavoro, lasciano la scuola, distruggono le proprie relazioni e compromettono anche la propria salute fisica attraverso il videogiocare.

Se state pensando "beh, quello è un gruppo di persone che giocano ai videogiochi estremamente piccolo", allora sì, in sostanza è questo il punto. Sono favorevole al fatto che non dovremmo vedere sempre delle patologie nelle nostre vite quotidiane e affermare che qualcosa sia una "dipendenza" (una parola che l'OMS sta attentamente non utilizzando in nessun punto), è una pratica comune per trasformare semplici comportamenti considerati cattivi o antisociali, in una condizione diagnosticabile.

In risposta alla news dell'inclusione del gaming disorder molte persone hanno condiviso storie riguardanti diverse ossessioni che hanno sviluppato nei momenti più negativi delle loro vite.

In ogni caso quando ci si trova alle prese con qualcuno che sviluppa un'ossessione o che si immerge in un gioco al punto di avere gigantesche, prolungate e chiaramente incontrollate conseguenze negative sulla abilità di essere degli essere umani "funzionanti", non si parla di vita di tutti i giorni, non vi pare? Questo è qualcosa che dovremmo assolutamente considerare, una patologia, e dovremmo cercare di trovare dei modi per aiutare chi ne è affetto.

"Scrittori e film maker non organizzano conferenze più volte all'anno per parlare di concentrarsi sul costruire dei loop di 'soggiogamento' con cui attirare i giocatori"

Questo tipo di comportamento ossessivo e autodistruttivo non è pero il sintomo di un problema più profondo? È assolutamente possibile. In risposta alla news dell'inclusione del gaming disorder molte persone hanno condiviso storie riguardanti diverse ossessioni che hanno sviluppato nei momenti più negativi delle loro vite, sottolineando che queste ossessioni erano solo meccanismi di reazione, non la radice del problema. Capisco questo punto. In tutta onestà, l'ultima volta che ho sofferto di un serio attacco di depressione ho guardato di getto tutte le stagioni di Stargate SG-1 e Stargate Atlantis, lasciando a mala pena il mio appartamento. Quella è sicuramente una forma di autolesionismo piuttosto specifica e raffinata ma il punto è che non vedo l'OMS aggiungere all'ICD-11 un disturbo da Stargate o un forse più sensato disturbo da cofanetto di DVD o da 'binge watching' di Netflix.

Allora forse i videogiochi sono presi ingiustamente di mira rispetto ad altri media. O forse i videogiochi si sono sviluppati in un medium di massa con delle ramificazioni che sono particolarmente seducenti e potenzialmente dannose per persone che si trovano in situazioni vulnerabili. Ancora una volta la ricerca non è estremamente conclusiva in questo campo ed è precisamente per questo che l'OMS rimane cauta: vuole sottolineare un potenziale problema in modo che gli utenti ne siano consapevoli mentre si spera di incoraggiare ulteriori e migliori ricerche su questa questione. Tuttavia fare muro per quanto riguarda l'esistenza di questo tipo di disturbo è una strategia perdente nella sfera pubblica, al di là dello stato della ricerca, anche semplicemente perché diverse persone hanno la sensazione di averlo in realtà già visto in azione.

Sicuramente coloro che sono affetti da questo tipo di disturbo compongono una piccola minoranza di giocatori e decine di milioni di persone giocano diffusamente ai videogiochi senza il minimo problema. Quante persone della nostra generazione possono tuttavia davvero affermare di non conoscere nessuno che abbia perso un lavoro, perso un anno a scuola o rovinato una relazione importante perché non riuscivano a mantenere sotto controllo la propria ossessione per un videogioco?

Mi chiedo quanto peggiorerà questo aspetto nella prossima generazione, considerando che così tanti giochi attuali sono progettati non solo per essere divertenti per 50 o 100 ore ma per intrattenere i giocatori per anni tenendoli anche finanziariamente coinvolti nel lungo periodo.

"Questa non è l'industria del tabacco e non dovremmo comportarci come tale. L'industria dei videogiochi non è e non dovrebbe essere coinvolta nel business di fare del male ai propri giocatori"

Questo è in sostanza il punto riguardo la possibilità che i videogiochi vengano presi di mira ingiustamente o meno. Questo è un aspetto nel quale l'industria vuole avere la botte piena e la moglie ubriaca. Il confronto con altri tipi di media e il parlare del valore dell'evasione dalla realtà, è un tentativo piuttosto debole di evitare il nocciolo della questione. Scrittori e film maker non organizzano conferenze più volte l'anno dove parlano di concentrarsi sulla costruzione di loop di "soggiogamento" per attirare i giocatori, e di utilizzare tattiche psicologiche per incoraggiare i consumatori a rimanere coinvolti per anni.

Alcune di quelle tattiche non hanno nulla che non va (altre invece sì, intendiamoci) ma non si può discutere apertamente e orgogliosamente di queste cose per anni e poi strepitare come ossessi quando un'organizzazione nell'ambito della salute sottolinea che, per una piccola minoranza di persone vulnerabili, quelle strategie potrebbero funzionare decisamente troppo bene.

Inoltre, per quanto concerne tutte le preoccupazioni per il fatto che definire il gaming disorder possa oscurare delle diagnosi di problemi sottostanti, questo semplicemente non è il modo in cui funzionano le diagnosi. Parlate con dei professionisti che lavorano effettivamente con chi soffre di dipendenze e casi simili, e scoprirete che una diagnosi accurata di una dipendenza non fisica (come quella per il gioco d'azzardo) è spesso un passo molto utile per identificare un problema più profondo.

Certo, i mass media andranno in brodo di giuggiole e qualche scrittore senza scrupoli scriverà senza alcun dubbio dei libri esplicitamente pensati per convincere genitori che i loro figli adolescenti sarebbero dei dolci angeli, se non fosse per il demone PlayStation. Tuttavia per quelle persone (una piccola minoranza ma comunque probabilmente un numero importante) l'ossessione e il coinvolgimento autodistruttivo con i videogiochi sono segnali di un problema più profondo. L'abilità di avere questa condizione effettivamente diagnosticata potrebbe essere un passo importante nella strada verso il recupero.

Nessuno sta cercando di patologizzare una ordinaria abitudine legata al gaming. La maggior parte delle persone che bevono alcolici non sviluppa una dipendenza o rovina la propria vita.

Continuo a sottolineare che stiamo parlando di una piccola minoranza, perché questo è un punto importante. Nessuno sta cercando di patologizzare una ordinaria abitudine legata al gaming, neanche se si tratta di una piuttosto hardcore. Affermare che questa è una piccola minoranza in ogni caso non toglie nulla dalla decisione dell'OMS.

La maggior parte delle persone che bevono alcolici non sviluppa una dipendenza o rovina la propria vita. Il vino è salutare se consumato con moderazione, il whiskey è fantastico per un raffreddore e difficilmente qualcuno inizierà una nuova relazione senza un goccio di coraggio liquido, ma nulla di tutto questo cambia il fatto che l'alcolismo esista e che sia assolutamente devastante. Il fulcro della definizione dell'OMS è che giocare al punto di perdere il lavoro e gli amici, di dimenticare di mangiare correttamente e di collezionare bottiglie di urina sotto la scrivania, non è esattamente cosa di tutti i giorni ma qualcosa che necessita di essere trattata come anormale: ricercata, capita e, si spera, curata.

Questo è precisamente il motivo per cui la reazione dell'industria è completamente sbagliata. Dovrebbe dimostrarsi cooperativa e disposta a dare una mano, non cocciuta e permalosa. Se la ricerca non è soddisfacente (ed è effettivamente così) allora si faccia coinvolgere, apra l'accesso a dati e ricercatori medici e sociologici (non solo quelli 'addestrati' e scelti appositamente) e permetta loro di arrivare davvero a fondo della questione. Se non c'è alcun danno e i videogiochi sono solo incidentali rispetto a una serie di altri problemi che le persone devono affrontare, allora fantastico, i giochi sarebbero 'scagionati' e questa sarebbe un'informazione importante per i professionisti che lavorano a quei casi. Se si dovesse scoprire che ci sono dei danni per una minoranza di giocatori, anche quella sarebbe una scoperta importante per l'industria e una la cui conoscenza dovrebbe essere considerata positiva.

Questa non è l'industria del tabacco e non dovremmo comportarci come tale. L'industria dei videogiochi non è e non dovrebbe essere coinvolta nel business di fare del male ai propri giocatori, inavvertitamente o meno che sia, e di fronte alla prova che questo potrebbe succedere dovrebbe apprezzare la possibilità di aiutare a risolvere la situazione. Sottolineare che i videogiochi possono avere degli impatti sociali molto positivi e anche valore terapeutico è vero e giusto, ma questo è insignificante se le proposte di possibili effetti dannosi vengono affrontate con ostruzionismo e testardaggine. Coinvolgimento e apertura dovrebbero costituire la reazione di una industria veramente matura e responsabile, non negazione e sabotaggio.

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Rob Fahey

Contributing Editor

Rob Fahey is a former editor of GamesIndustry.biz who spent several years living in Japan and probably still has a mint condition Dreamcast Samba de Amigo set.

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