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Non è un paese per professionisti - articolo

I nostri giocatori che escono subito al Call of Duty Championship sono lo specchio di un sistema che non funziona.

Los Angeles - Lo ammetto, un briciolo di speranza per i nostri Sublime l'avevo. Perché l'Italia, si sa, parte spesso sfavorita ma poi il guizzo d'ingegno, il moto d'orgoglio o la fortuna che alle volte è davvero cieca, qualche risultato ce lo fanno portare a casa. E invece no, i ragazzi che dovevano tenere alto il nostro vessillo hanno rimediato tre sconfitte su tre incontri al Call of Duty Championship, anche contro avversari di modesto livello come i sudafricani. Mi sono dunque interrogato sulle ragioni di questa débâcle e ho scoperto che le spiegazioni partono da lontano.

Ad esempio, com'è possibile che svolgendosi il torneo su tre modalità (Domination, Search & Destroy e Blitz), i nostri fossero imbattibili nella seconda e 'morbidi' nelle altre due? La risposta è che Search & Destroy è la modalità principale giocata in Italia, una nazione che secondo Giorgio "POW3R" Calandrelli non è molto incline ad accettare variazioni sul tema. Ecco quindi il primo cortocircuito: i nostri giocatori di CoD sono costretti a specializzarsi in una sola modalità, nella speranza di massimizzare i montepremi. Che però, è il caso di dirlo, sono davvero minimi. Tant'è che, ricorda Leonardo "Ko1gaa" Nisi, "non fosse per il Call of Duty Championship dell'anno scorso, mi sono portato a casa 7000 euro di montepremi in 7 anni di attività". Ben poca cosa rispetto a quello che guadagnano i professionisti all'estero.

Chi vincerà il titolo di campione del mondo di Call of Duty? Tra poche ora lo scopriremo ma gli americani paiono quanto mai competitivi.

Già, il professionismo. Il movimento italiano i professionisti non se li può permettere ed è chiaro che quando poi i nostri ragazzi vanno all'estero, il confronto è impari. Restano senz'altro le belle esperienze, le amicizie, gli aneddoti delle trasferte, che poi sono le motivazioni principali che spingono gente come i Sublime ad andare avanti.

Ma basta un breve raffronto per capire molte cose. I Sublime si allenano anche 5/6 ore al giorno, ma non tutti i giorni perché hanno anche una vita da portare avanti. Gli Strictly Business, il team di professionisti americani che ha sconfitto i nostri giocatori nell'ultimo incontro, si allenano invece tutti i giorni dalle 8 alle 10 ore.

A dirlo è Jeremy Negron, proprietario e fondatore della squadra americana, che ha poi aggiunto: "i nostri ragazzi giocano unicamente contro altri team professionisti e ogni settimana vengono valutati in base ai risultati che ottengono".

Ma qual è il giro di affari per un team come gli Strictly Business? "Senza entrare troppo nel dettaglio, posso dirti che per ogni trasferta investiamo dai 2 ai 3000 dollari, mandando i nostri ragazzi in giro ovunque ci sia un torneo interessante. Poi ci sono i montepremi dei tornei, che possono variare dai 20.000 ai 60.000 dollari. Insomma, se uno è bravo può portarsi a casa dagli 80 ai 100.000 dollari all'anno". Nient'altro? "In realtà", precisa Jeremy Negron, "ci sono anche i soldi che possono guadagnare giocando in diretta su YouTube e Twitch: se sono veramente bravi e hanno tanti spettatori, possono intascare anche 12.000 dollari al mese".

"Il movimento italiano i professionisti non se li può permettere"

Sia chiaro, parliamo di carriere brevissime, che di solito vanno dai 16 ai 25 anni. Un lasso di tempo che nel caso di gente avviata su YouTube e Twitch può però essere prolungato ancora per qualche tempo, ma il raffronto coi 7000 euro dichiarati da Leonardo "Ko1gaa" Nisi (e in 7 anni) è impietoso. E spiega perché, stando così le cose, i team stranieri sono destinati a batterci. Perché possono specializzarsi in più modalità, avendo una tranquillità economica che gli permette di allenarsi per davvero. I Sublime, invece, come ricorda Filippo "Fr1do" Cacciapuoti, hanno giocato solo i Search & Destroy che sono più facili da vincere, vista la modestia della scena italiana.

Insomma, soldi facili per permettersi le trasferte e la copertura dei costi vivi, ma è chiaro che in questo modo non si va troppo lontani. E la scena italiana resta eccessivamente rigida circa le modalità e le regole in cui confrontarsi. Nel resto dell'Europa e in America c'è una maggiore elasticità anche se, ricorda Giorgio "POW3R" Calandrelli, Personal Gamer e CPC stanno provando a cambiare le cose-

La vita di un cyber-atleta è molto breve ma in alcuni casi anche dopo è possibile vivere grazie ai videogame. Magari facendo i commentatori.

Ma perché non si riesce a creare un movimento professionistico anche in Italia? "Perché non c'è nessuno che investa", rispondono i ragazzi quasi in coro. "E i player veramente bravi", rincara Giorgio Calandrelli, "da noi non se li fila nessuno. La community di CoD in Italia non segue i giocatori competitivi, a dispetto di quanto accade all'estero. Da noi preferiscono guardare gli YouTuber. Io ci sto provando e ho aperto un canale su YouTube che ha raggiunto i 20.000 iscritti in poco tempo. Ma in Italia al momento YouTube è il nostro nemico".

"In Italia al momento YouTube è il nostro nemico - Giorgio Calandrelli"

Quindi il perno della situazione italiana è YouTube? "Senz'altro", risponde prontamente POW3R. "Al di là dei soldi che puoi guadagnare direttamente grazie alle views, con la fama e la notorietà arriverebbero anche gli sponsor e i manager". "Ma per avere successo su YouTube bisogna investire soldi in computer potenti e connessioni a banda larga. E lavorare a ritmi massacranti, perché bisogna produrre video con grande frequenza", ricorda Filippo "Pibo" Torricelli. "Un impegno che va ad aggiungersi agli allenamenti, allo studio e alla vita privata. Con un pensiero ricorrente: i professionisti americani, anche finita la carriera, trovano sistemazioni di tutto rispetto, come gli ex campioni di Halo che sono stati assunti dai 343 Industries. Io invece adesso ho 21 anni e tra qualche anno non credo che vivrò di questo".

Eppure in Italia c'è chi è riuscito a fare il giocatore professionista. Penso ad Alessandro "Stermy" Avallone, che abbiamo intervistato tempo fa su queste pagine. Perché nessun altro ce l'ha fatta? "Ci sto provando anche io", afferma Giorgio "POW3R" Calandrelli, "ma lui in carriera ha vinto molti più soldi ed è sponsorizzato da società che lo mandano in giro a fare eventi. E ha iniziato quando il PC era la piattaforma di riferimento per i tornei ed era possibile trovare chi investiva. Da due o tre anni invece c'è stato un crollo delle sponsorizzazioni, probabilmente dovuto alla crisi economica che stiamo vivendo e anche al fatto che ai tornei si iscrivono molte meno persone".

Vedere assieme i vari partecipanti è interessante anche solo per contare il numero di sponsorizzazioni sulle magliette. Che nel caso dei team professionisti, sono di tutto rispetto.

Il quadro dipinto da Sublime vede quindi i giocatori di CoD italiani non riuscire a ottenere la visibilità necessaria a renderli conosciuti al grande pubblico. Il quale preferisce guardare gli youtuber invece dei campioni. Di conseguenza mancano gli sponsor e non si creano quelle figure necessarie a elevare il livello dei player italiani. Come i manager che trovino gli sponsor e finanzino i ragazzi coprendogli le spese e gli allenatori che organizzino il lavoro quotidiano, preparando i cyber-atleti in vista dei tornei.

A questo si aggiunge una scena, quella italiana, restia ai cambiamenti e fossilizzata sulle stesse posizioni. Il risultato è che i nostri giocatori di punta sono costretti a misurarsi sempre nelle stesse competizioni per racimolare pochi soldi, che comunque non gli saranno mai sufficienti a diventare dei professionisti.

Non resta quindi che sperare che siano vere le parole di è Jeremy Negron, che in chiusura dell'intervista ha così affermato: "stiamo valutando di estendere il nostro business in Europa, reclutando campioni anche da voi". In Call of Duty, così come nel calcio, la speranza viene ormai dai soldi provenienti dell'estero. Meglio che niente, sia chiaro, ma l'Italia si conferma ancora una volta incapace di raggiungere l'eccellenza.