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Omicidio nel West End, la recensione

Omaggio, parodia o citazione?

Perché piacciono sempre i “gialli” in stile Agatha Christie? A differenza che nella vita, la logica prevale, c’è sempre un filo razionale che tiene conto anche dell’irrazionale, che farà arrivare alla soluzione di qualunque caso all’apparenza irrisolvibile; i colpevoli saranno così scoperti e puniti, e la giustizia trionferà. La mente che vince contro il braccio, l’intelligenza che sconfigge la violenza, così consolatorio.

Queste certezze, così elementari, che dovrebbero far parte costante delle nostre vite, sono invece diventate quasi delle fiabe che amiamo sentirci raccontare, alla stregua delle storie d’amore che finiscono bene, dei vendicatori che raddrizzano tutti i torti, degli eroi che vincono sempre.

Dopo il gran successo di Cena con Delitto, che sarà fra breve bissato dal suo sequel Glass Onion, atteso intorno a Natale, e le rivisitazioni di Kenneth Branagh, non stupisce la riproposizione di quell’ambiente che troviamo nel film Omicidio nel West End, distribuito da Disney non in streaming ma nelle sale cinematografiche.

Siamo negli anni ’50, nel West End, il quartiere dei teatri londinesi, dove tiene cartellone con successo una commedia tratta da un lavoro della mitica Agatha Christie, Trappola per Topi (il titolo originale del film, See How They Run, si ispira infatti a un verso della filastrocca Three Blind Mice, che aveva ispirato la scrittrice nella scrittura del libro).

La finta cordialità fra regista e produttore

Un noto regista americano (Adrien Brody), frivolo e festaiolo, è stato chiamato per trarne una versione cinematografica. Mentre fervono i festeggiamenti per la centesima rappresentazione, in presenza di tutti i membri del cast viene commesso un delitto. Il caso viene affidato all’Ispettore Stoppard (Sam Rockwell), uomo burbero, cinico e disilluso, cui viene affiancata la poliziotta cinefila Constable Stalker (un cognome non casuale), giovane donna che sta imparando il mestiere in un ambiente di uomini.

Fra vari incidenti di percorso, mentre le indagini scoperchiano l’ipocrisia dell’ambiente, si arriverà alla soluzione del caso durante una “cena con delitto” nella casa di un personaggio davvero notissimo. Sul disinteresse verso la soluzione del mistero, che è subentrato fra vari siparietti di non travolgente comicità, cala il finale che svela un colpevole di cui non importa nulla a nessuno.

Sono presenti quindi tutti gli elementi per fare di Omicidio nel West End un’altra affettuosa citazione di genere. Peccato che questa volta il risultato non sia entusiasmante. Il tono che si vorrebbe brillante, è spento, le battute e battutine che dovrebbero far ridere, a malapena suscitano un sorrisino. L’ambientazione è accurata, sono eleganti i costumi e lussuose le scenografie ma manca un respiro personale, manca il guizzo di originalità pur nella riproposizione di amati cliché, nella citazione di nomi, nell’intreccio fra la messa in scena della commedia, i ruoli dei personaggi e la realtà degli attori che li interpretano, nel solito gioco della finzione nella finzione. E manca la scrittura dei personaggi, che passano dal convenzionale all’irrilevante.

Un classico: l’interrogatorio con una delle sospettate

Peccato vedere sprecati tanti talenti, a cominciare da Sam Rockwell, che riesce a far trasparire la sua bravura nonostante tutto, e Saoirse Ronan, l’insicura ma volonterosa recluta. Entrambi almeno possono contare su due personaggi tratteggiati con maggiore cura, cui vengono affidate le battute migliori. Adrien Brody fa con humor il frivolo fallitone, poi è tutta una sfilza di volti noti e stimati (Ruth Wilson, Daniel Oyelowo, Reece Shearsmith), relegati a personaggi-figurina, ciascuno con poche battute a disposizione.

Scrive Mark Chappell (la serie Flaked), dirige senza voli pindarici Tom George, uno che viene dalle serie tv, con un uso dello split screen eccessivo, che forse vorrebbe essere citazionista e invece risulta superfluo. Il suo Omicidio nel West End finisce per essere solo un Cluedo di lusso e pure meno spiritoso.

Come tante volte già detto, per la riuscita di una ricetta non basta buttare nella pentola gli ingredienti più classici e mescolarli insieme: ci vuole un tocco in più, che qui purtroppo è mancato.