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Pendragon - recensione

Camelot cade, sorgono i cavalieri.

Uno degli Artù più noti è quello de La spada nella roccia: nel lungometraggio Disney è un giovane scudiero che solleva l'Excalibur, dopo un duro apprendistato con l'anziano Merlino. Nella fortunata serie BBC, è invece coetaneo e compagno di Merlin. È il Re in eterno di White e il Re dei cavalieri nell'anime Fate. Ha incontrato un certo americano del Connecticut, grazie a Mark Twain. Ne abbiamo cercato i resti in Tomb Raider: Legend. Che ci crediate o meno, è stato un villain di Sonic.

Al di là del gioco di citazioni, è interessante notare come il vero ciclo arturiano sia ugualmente frammentario, come fosse l'esito di un multiverso Marvel. Non sempre le fonti del mito coincidono, alle volte un cavaliere salta di poema in poema, creando incongruenze temporali, geografiche e bizzarre parentele.

Nella tradizione cavalleresca orale, non è neanche raro assistere ad esiti diversi della stessa storia. Forse proprio per questo il ciclo arturiano ha affascinato lo studio Inkle, al punto da diventare la fonte del suo ultimo titolo: Pendragon. Da sempre, gli sviluppatori del team hanno sperimentato con i limiti e le possibilità della narrazione ramificata. L'interesse per lo storytelling e per i libri-game, evidenti dal convincente 80 Days tratto dal famoso giro del mondo di Jules Verne, non possono che trovare terreno fertile nell'enorme quantità di tradizioni e leggende della Tavola Rotonda.

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Pendragon ci porta nell'Anno Domini 673: Camelot è caduta. A Camlann, il traditore Mordred tiene in scacco il nobile padre Artù. In un regno d'Albione distrutto dalla guerra e dalla fame, i cavalieri erranti cercano di raggiungere il proprio re, per salvarlo e riscattare l'onore perduto.

In quest'intreccio di missioni e storie, la materia di Bretagna viene utilizzata liberamente, senza banalizzazioni ma con la spontaneità e l'improvvisazione della tradizione orale. Pendragon traspone in termini videoludici il cantare di un bardo o di un aedo greco: a volte vivremo le gesta di Lancillotto, altre volte di Ginevra, Sir Caio e così via. E ogni volta saranno diverse.

Ogni eroe protagonista, tra quelli sbloccati, comincerà la sua avventura in un luogo predeterminato. Da questo momento in poi la storia si dirama, con variazioni considerevoli. Per esempio, potrete scegliere se Ginevra sarà, o meno, innamorata di Artù. L'esplorazione della mappa si basa sulla scelta di location che si escludono l'un l'altra, è influenzata dallo scorrere del tempo, dagli incontri che faremo, dalla fame, dal freddo, da quanto spesso chiederemo aiuto ai nostri alleati, dalle risposte gli NPC. Non è possibile, per esempio, fare del backtracking per esplorare a tappeto l'intera mappa, che tra l'altro svela solo gradualmente i suoi punti di interesse.

Alcuni cavalieri, se reclutati, possono diventare i protagonisti di una nuova run.

Certamente siamo di fronte a un inno d'amore rivolto alla letteratura cortese, e che sceglie di usare il gameplay, con i suoi nemici mortali e gli incontri casuali, per mettere i bastoni fra le ruote al giocatore, così che la storia diventi più imprevedibile. Come nelle storie di George Martin, tutti possono morire, persino il protagonista: sta ai compagni continuare, imperterriti, la missione, inframezzata da momenti di introspezione, bivacco e quiete che fan piacevolmente pensare alla Trilogia dell'Anello. Il game over è dato solo dalla sconfitta totale del gruppo, o da uno sfortunato bad ending.

Dato che la morte di un eroe è soltanto l'inizio di una nuova storia, il giocatore può concentrarsi sull'immedesimarsi e vivere a pieno la vicenda: via via più abile, può inoltre puntare a rendere le proprie spedizioni più epiche, intrecciate, e potenzialmente senza perdite. Più si gioca, più sarà possibile aumentare la difficoltà.

Non solo l'IA diventerà più tenace ma diminuiranno le risorse e i compagni incontrati durante il cammino. È facile che la nostra spedizione avrà un solo cavaliere, che solo contro tutti cercherà di sopravvivere a fatica in un mondo ostile, dove la magia di Morgana e Merlino è concreta e spaventosa.

È importante non solo conquistare quanto più territorio possibile, ma avere il controllo delle postazioni sopraelevate.

Il battle system è profondo, è davvero unico e non scimmiotta gli RPG a griglia di stampo nipponico (come Final Fantasy Tactics o Fire Emblem). È tutt'altro, qualcosa che ricorda una partita a dama o scacchi, dove lo scopo è "mangiare" gli avversari, attirandoli con intelligenza e prevedendo le loro mosse.

Non mancano skill specifiche ma servono per lo più ad aumentare il range del movimento o la gittata del proprio attacco, cioè della propria capacità di mangiare. Alcuni esempi: i ragni, in termini di spostamento, sono simili agli alfieri; un arciere colpisce a croce, come potrebbe fare una torre, ma senza spostarsi. Merlino può teletrasportarsi in ogni quadrato dell'arena.

La norma è che le truppe possano attaccare solo orizzontalmente e verticalmente, mentre per spostarsi in diagonale devono rinunciare a un turno per tornare in posizione d'attacco (salvo skill speciali). L'arena diventerà rossa o blu, a seconda se il controllo dell'area è nostro o dei nemici: all'interno delle caselle amiche, le truppe possono compiere un passo extra, e a seconda della disposizione cogliere di sorpresa un avversario che si trovi al confine dell'area. Un regolamento, insomma, che si presterebbe molto a una modalità multiplayer (purtroppo mancante).

A seconda delle nostre scelte sbloccheremo nuove abilità, essenziali per vantare di una mobilità decente.

Le abilità vengono eseguite sfruttando punti Morale. Il Morale diminuisce per ogni turno in cui non attaccheremo, ma manterremo la posizione per attirare i nemici. L'energia, in cuori, diminuisce con la fame, colmabile con le razioni a fine giornata. Alcune situazioni speciali possono ridurre il tetto massimo di punti vita, che però, attenzione, non sono HP. Infatti, in battaglia, basta un colpo (essere mangiati), per rischiare la morte. I cuori indicano, quindi, solo quante sconfitte potremo ancora reggere.

Data la logica scacchistica, per aiutare a risolvere le impasse sono stati inseriti due sistemi. Il sistema di fuga, che permette di sopravvivere un altro giorno scappando dal pericolo, ma che è gestito in tutto e per tutto una scelta narrativa. E poi c'è il sistema della Death Rage, uno stato di berserk che permette di eseguire più mosse in un turno, a patto che si uccidano avversari: utilizzarlo comporta la riduzione dei cuori massimi, ma fallire nella furia omicida comporta la morte del personaggio. A voi la scelta se cedere o meno alla pazzia di Orlando.

Non parliamo dunque di un semplice roguelike strategico, ma di un felice mix di meccaniche ben implementate. Il gioco di ruolo tattico a turni incontra una logica di posizionamento vicina agli scacchi; la gestione delle risorse, in puro stile Lupo Solitario, incontra gli alberi dialogici di un CRPG. Il confine tra avventura grafica, romanzo interattivo e gioco di ruolo si fa evanescente come la mitica Avalon.

Lo stile grafico, troppo essenziale, non rende onore alla varietà e all'atmosfera delle vicende in cui ci imbatteremo.

Il problema del gioco, paradossalmente, sta nella sua libertà. In un gioco che vede tutti i personaggi come protagonisti, il rischio è che l'algoritmo perda di vista l'arco narrativo con cui avete cominciato l'impresa. Improvvisamente, senza rendervene conto, Ginevra e Lancillotto potrebbero diventare personaggi secondari anche nel caso in cui siano ancora in vita. Questo può danneggiare, purtroppo, i momenti del climax finale, in cui inevitabilmente la storia tira le sue fila.

Un altro difetto, o meglio un freno all'esperienza, è la grafica semplice e rudimentale. Le animazioni sono buone, gli sprite puliti, gli effetti ambientali presenti e l'atmosfera è evocativa e fatata al punto giusto, sia chiaro. Ma il carisma dei personaggi è dato più dalla loro fama pregressa e non da un character design d'impatto.

Se confrontassimo una qualsiasi unità di Darkest Dungeon con il villain Mordred, per esempio, la poca lungimiranza in termini estetici diventa evidente. Mordred sembra, in Pendragon, un semplice condottiero straccione. Il paragone non è gratuito: c'era tutto il potenziale per un cult senza tempo, se solo l'opera avesse avuto un pizzico di identità in più.

In sintesi, Pendragon è buon gioco, pieno di momenti delicati e avvincenti, soddisfacente per lettori di ogni età e per gli amanti di sfide d'astuzia. Chi cercasse un roguelike atipico, tenti solo se è interessato all'aspetto narrativo: in quel caso avrà un titolo molto longevo, dove alla raccolta di potenziamenti è preferita l'esplorazione. Inkle conferma la sua maestria con la penna ma è ora che cominci ad affilare la spada.

7 / 10

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A proposito dell'autore
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Antonino Fiore

Contributor

Classe 1993, in squadra dal 2018. Ha scoperto i videogiochi con i floppy dell’Amiga e da allora vive, sbalzato temporalmente, una generazione indietro. Dalle avventure grafiche agli horror, è un accanito retrogamer e un vorace escapista. Con gli anni ha realizzato d’essere, più che altro, un semplice Homo Ludens. Megaman e Suikoden sono i suoi punti deboli.
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