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Resident Evil compie 25 anni!

Il survival horror, da una villa al mondo intero.

Survival horror è un termine che oggi consideriamo assodato, di facile spiegazione e più intuitivo di molti altri che bazzicano le nostre pagine. Nel 1996 non era così: il genere era fresco e sottoposto a un vaglio attento e costante, qualcosa che in anni recenti hanno vissuto per esempio i souls-like e i battle royale.

Proprio per la rapidità con cui si è diffuso, superato un primo momento di stupore e caos, s'è poi avuta un'idea più chiara di cosa stesse accadendo al mercato videoludico. S'è capito insomma quali fossero le caratteristiche cardine del genere e come distinguere Splatterhouse (un beat'em'up horror) da Clock Tower.

In sintesi, se Alone in the Dark è stata la singolarità pronta a deflagrare, Resident Evil è stato il Big Bang conseguente, che ha consacrato il genere. Da questo successo di critica e pubblico sono nati non soltanto i sequel del franchise, a velocità spaventosa, ma tutti gli altri sistemi solari dell'universo horror: Project Zero, Dino Crisis, Koudelka, ovviamente Silent Hill e per effetto domino Deadly Premonition, Shadow Hearts, Forbidden Siren e ci sarebbe da non fermarci più. Per seguire col bastone da rabdomante le influenze della saga, dovremmo addirittura considerare l'importanza di Resident Evil 4 e della sua telecamera a spalla per Gears of War e Dead Space.

Villa Spencer, 1996.

Per festeggiare davvero l'opera di Shinji Mikami e Tokuro Fujiwara, al di là delle lodi sperticate e della nostalgia che può essere fuorviante, è il caso di ricordare la "residenza" che ci ha terrorizzato i giocatori e li ha tenuti sulle spine quando ancora potevamo contare i poligoni sulle dita delle mani. Dalla grigia PlayStation al PC, passando per il Game Cube, villa Spencer è un luogo tra i più amati dagli appassionati, certamente più memorabile della Sweet Home (Jrpg horror del 1989) che l'ha ispirata e capace di rivaleggiare con il maniero di Lara Croft.

Le mura progettate dall'architetto Trevor, piene di segreti e puzzle, raccontano la storia di agenti in lotta contro zombie e altre armi biologiche da laboratorio. Si comincia con una sequenza, recitata da attori in carne ossa, in cui gli S.T.A.R.S. giungono alla prima delle tante porte che hanno reso inquietante Resident Evil. Ogni porta è sì un caricamento (oggi è trasparente) ma anche l'istante carico di suspense che precede la scoperta di una nuova minaccia.

Con gli anni da una villa tra i boschi delle montagne Arklay, in quel di Racoon City, siamo arrivati a un villaggio controllato dai vampiri. Ma non è affatto un caso: l'anima B-Movie della serie è nascosta già all'interno delle stanze labirintiche dalla Spencer Mansion, proprio accanto allo Yawn, serpente gigante degno della Camera dei Segreti di Harry Potter. Dopotutto, tra un omaggio a Carpenter e uno a Romero, Mikami dà ai suoi personaggi armi come lanciagranate e fucili a pompa.

Barry sarà un personaggio giocabile in Resident Evil Revelations 2.

La villa si rivela in tutto lo splendore dei suoi sfondi pre-renderizzati (a onor del vero nettamente migliori nel remake del 2002, Rebirth). Qui l'incontro ravvicinato con il primo zombie (lento e rantolante intorno a una tavola da pranzo dalle tovagliette bianche) segna l'inizio di un'esplorazione fatta di incontri sanguinolenti, vasetti di erbe medicinali e frammenti da combinare.

I proiettili non bastano mai, per chi va nel panico almeno: subito dopo gli zombie, ci sono infatti i Cerberus, dobermann mutati dal virus T. Il loro approccio con il giocatore avviene in modo traumatico, con rottura di vetri e una velocità preoccupante, spesso in zone di scarsa visibilità come il balcone frontale della villa o i corridoi dell'ala est. Da qui in poi, un crescendo di difficoltà e tensione, con sfide che richiedono approcci diversi e la conta costante delle munizioni.

Al di là del backtracking per conservare oggetti nelle casse metalliche e salvare la partita grazie alle macchine da scrivere, Resident Evil investe sulla varietà. Le due ali del maniero, i due piani e il misterioso giardino nascondono infatti cave sotterranee e un laboratorio dell'Umbrella. Scenari differenti permettono di sguinzagliare contro il giocatore creature differenti. Non soltanto cani e umani zombie, quindi, ma mutazioni di ogni tipo: api velenose, corvi, piante senzienti, ragni e rettili antropomorfi. Un crescendo di belve (addirittura uno squalo, il Neptune) che culmina con il confronto con il primo Tyrant (T-002).

Lo Yawn lo si sconfigge sfoderando l'artiglieria pesante.

Se pensiamo a questo uomo potenziato, nudo, con una mano-artiglio e una forza dirompente, e poi lo confrontiamo con i passi roboanti del Mr. X di RE:2, con le mutazioni del virus G e con i chimerici colossi di carne di tutti gli altri sequel, vien quasi da sorridere... Oggi. Nel 1996, quando Resident Evil si presentava con il suo "Welcome to the survival horror!", era l'inizio di qualcosa di nuovo e sconvolgente, qualcosa che come Assassin's Creed nel 2007 prometteva diramazioni tecniche e ludiche a non finire. E così, in fondo, è stato.

Villa Spencer non ospita soltanto mostri, è un susseguirsi di trappole ed enigmi presentati con una certa cura estetica. Un esempio di quest'attenzione rivolta agli ambienti è la stanza dal soffitto meccanico, degna di Indiana Jones, capace di schiacciare il giocatore poco accorto e troppo avido. Ma ci sono anche librerie pronte a nascondere il nemico dietro l'angolo, statue e specchi per svelare oggetti chiave, tappeti dai toni caldi che infondono un senso di falsa sicurezza. E poi, ovviamente, laboratori in cui tutto è andato a rotoli, pieni di intrugli chimici pronti ad esplodere.

Pur mantenendo i comandi old-style, che oggi possono o meno convincere (come ha dimostrato la ricezione di The Medium), il remake Rebirth ha modificato tutti gli sfondi e aggiunto qualche zona secondaria, così da proporre una versione più dettagliata della stessa abitazione. Per esempio, il passaggio sotterraneo diventa più simile a una miniera. Il giardino si fa più rigoglioso e nasconde nel cimitero l'antro del Crimson Head, uno zombie prototipo dalla testa scarificata e la rabbia incontrollabile.

I Cerberus, un po' come i Licker di Resident Evil 2, tengono costantemente il giocatore sulle spine.

Villa Spencer, un po' come il motel di Norman Bartes, si presta ad aggiunte grafiche senza il rischio di perdere il fascino horror che la avvolge. Per esempio Resident Evil 0, sempre del 2002, mostra altre angolazioni della villa. Il DLC "Incubo senza uscita", di Resident Evil 5, nel riproporre il prototipo europeo dell'edificio, usa scenari completamente 3D all'interno di un gameplay più action. E ovviamente, ma citiamo di sfuggita, c'è anche la versione cinematografica di Paul W. S. Anderson.

Nonostante le differenze tra le varie versioni, a restare intatto è il modo in cui si alternano atrii spaziosi e stretti corridoi, così che il giocatore percepisca la grandezza del luogo, pari alla quantità di pericoli e segreti che nasconde. Una narrazione visiva fatta, in un certo senso, di non detti.

Il futuro della serie, come aveva dimostrato il settimo capitolo, ha un occhio di riguardo per queste origini ormai lontane. Con il settimo capitolo abbiamo visitato, ancora una volta, una singola abitazione piena di diramazioni, in un omaggio diretto a quel che è stata la saga nel principio. Ma che siano zombie, vampiri, serpenti velenosi o giganti dai mille denti, l'importante è non farsi mordere e avere un'arma per rispondere al pericolo.

Il primo incontro con un Tyrant non si scorda mai.

Oggi è molto facile reperire il remake (su Steam o PlayStation Store), ma più complesso risalire al gioco originale, non del tutto compatibile con i sistemi più moderni e mai riadattato se non nella versione Nintendo DS. Una soluzione è ricorrere a PlayStation Classic, in cui si trova la Director's Cut. Ma si sente sempre più il bisogno di collection ed edizioni remaster che puntino a conservare i prodotti originali, accostando magari il vecchio al nuovo.