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Return of the Obra Dinn - recensione

Tra mistero e tragedia in mare.

1807, Falmouth, Inghilterra. Un vascello scomparso ritorna dal suo lungo vagabondaggio, nessuna traccia di vita sul ponte, qualche mosca ronza sui cadaveri abbandonati. È il relitto dell'Obra Dinn, con le vele spezzate ancora mosse dal vento. Salpato nel lontano 1802 per le Indie Orientali, non ha mai doppiato il Capo di Buona Speranza e ha smarrito un patrimonio commerciale. Adesso attende il nostro arrivo.

Nei panni di un investigatore assicurativo, ruolo sicuramente atipico, dovremo svelare le ragioni di questo grande fallimento economico, stimarne i danni, attribuire le colpe e scoprire la sorte dei dispersi.

Il gameplay ci pone di fronte a un compito ben preciso, dalla risoluzione lontana e non facile. La missione che dobbiamo affrontare, in termini pratici, è infatti l'identificazione dell'intera ciurma, vittima di un'intricata vicenda di bordo. Causa della morte, arma del delitto, assassino, ragioni della scomparsa, sono informazioni accessorie che servono al completamento dell'enigma e che annoteremo di volta in volta su un libro degli appunti in dotazione: il dettagliatissimo menù di gioco, una specie di diario di bordo.

Il nostro più grande alleato in quest'oscura vicenda è però un misterioso artefatto, il 'Momento Mortem', capace di farci assistere agli ultimi istanti di vita di ogni essere vivente, umano o animale che sia, e che ci guiderà un flashback alla volta e da un corpo all'altro, fino al completamento del quadro investigativo.

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L'atmosfera piratesca, o da tempesta alla Poe se vogliamo, è il primo grande merito di questo lavoro indipendente, che pur prendendo le mosse da Papers Please, predecessore pubblicato ormai nel lontano 2014, lo supera di gran lunga. Un'avventura grafica per affezionati ma anche per amanti del thriller. Un omaggio alla generazione che ha avuto la fortuna di provare un Monkey Island su Commodore oppure uno Zork su IBM, ed è una chicca interessante la possibilità di scegliere pattern di colori abbinati ai monitor dell'epoca.

Se il giallo da Macintosh dovesse infastidire, si apre un ventaglio di possibilità che spaziano dall'IBM 5151 (per intenderci, alla maniera di Fallout) al più neutrale e moderno LCD. Si parla proprio di bicromia vecchia scuola, ma questo non deve trarci in inganno né spaventarci: il tutto scorre - chiaramente - senza la legnosità tipica di quegli anni.

Innanzitutto il gioco di luci e ombre è fenomenale, è così ben studiato che diventa parte della magia. Pulviscoli e detriti, spari spettacolari e pose dinamiche, nascondono le rozzezze di quei modelli tridimensionali altrimenti datati, ma pur sempre ben curati. Il contrasto rende ipnotizzanti gli scenari che esploreremo sezione dopo sezione. Quadri a dire il vero, perché non si può chiamarli diversamente, dal tocco cinematico e dove tutto, benché immobile, esprime movimento. È incredibile che si riesca a fare così tanto con così poco. Il director ha senza alcun dubbio fatto di necessità virtù, tramutando un limite in estetica.

Zoomando sui membri dell'equipaggio è possibile richiamare istantaneamente la foto che li ritrae, identificarli e tentare di chiudere qualche caso.

Il contraccolpo si sente, purtroppo c'è sempre quando si è piccole produzioni. In questo caso è una risoluzione fissata a 800x450, che può stancare gli occhi ma per fortuna può scalare, con un balzo che danneggia qualche bordo, a 1600x900, scelta che personalmente consiglierei. Nonostante questo difetto tecnico, il gioco è infatti fluido, dai menù rapidi e funzionali, e a dire il vero è proprio l'aspetto retrò a farci innamorare del titolo: calza pienamente con l'epoca rappresentata, riesce a catapultarci in un mondo altro, narrativo, fatto di fotogrammi congelati, luoghi ricchi di dettagli e informazioni nascoste.

A scanso di equivoci, non siamo di fronte a un punta e clicca, né sono presenti puzzle o indovinelli di qualsiasi genere, eccezion fatta per quello, puramente logico-deduttivo, che siamo chiamati a risolvere. Non è propriamente un murder mistery all'inglese, gli assassini a volte sono lì davanti ai nostri occhi, hanno nome e sappiamo spesso anche la loro fine; è più il disseminarsi di tanti episodi variegati che insieme fanno una storia completa e consistente, nella quale noi dobbiamo distribuire le parti, riconoscere gli attori.

L'Obra Dinn esiste, è solida, anche se lo scenario è poco interattivo (si apre qualche porta, si interagisce con i cadaveri). È il menù che fa il lavoro sporco e ci rivela un diluvio di informazioni: tutte le apparizioni di un personaggio, i dialoghi, le mappe, l'indice degli eventi. Il resto è pura esplorazione e spirito di osservazione. Una formula che rende quest'opera una sorpresa anche per chi ha già divorato casi su casi, e soprattutto un gran bel punto di partenza per chi volesse tentare un'avventura vecchio stampo, ben lontana dalle rotaie di alcune avventure più recenti ma di pubblico più ampio, nelle quali è impossibile bloccarsi.

Una scia lucente ci guida da un corpo all'altro, meccanica che ricorda tanto 'Ghost Trick' quanto 'Everybody's Gone to the Rapture'.

È story-driven che in circa due ore ci lascia ripercorrere, con un intreccio non lineare (davvero schizofrenico ma ben orchestrato), l'intero corpo degli indizi, per poi lasciarci da soli all'ostico compito di tirare le fila, legare i nodi. Pena - ebbene sì - un triste bad ending e la mancanza dell'ultimo tassello di trama, il misterioso Capitolo VIII delle vicende del vascello. Tutto è lasciato alla nostra iniziativa: siamo menti meticolose che hanno seguito le vicende con un taccuino? Esploratori intuitivi? Ecco che la longevità si aggira intorno alle sei ore, dieci, oppure - secondo l'autore - persino quaranta!

Può sembrare un'impresa ardua ma non siamo affatto, come Jack Sparrow, naufragati su un'isola abbandonata. Ogni tre Sorti corrette, ovvero ogni tre cause di morte o scomparsa azzeccate, il gioco ci avverte del progresso, confermandoci dunque alcune supposizioni e chiudendo gradualmente le possibilità di errori. E in più dandoci una certa soddisfazione personale. Inoltre non manca una gradazione di difficoltà sotto le foto degli anonimi marinai, che può aiutarci a fare ordine mentale.

Altro elemento che farebbe invidia alle grandi produzioni è il comparto audio. La colonna sonora segna l'inizio della fase d'osservazione nei flashback con uno stacco ritmico sempre azzeccato, è gradevole e accompagnata da un doppiaggio d'altissimo livelli. Basti pensare che certe identità le si può scoprire soltanto prestando l'adeguata attenzione all'accento del personaggio parlante, o ancora, per quanto riguarda i marinai di altre nazionalità, che sono stati chiamati doppiatori d'origine cinese o russa, invece di simularne la cadenza.

Oltre al nome è necessario tentare una piccola autopsia, questa tipologia di menù ci accompagnerà a lungo.

Un fatto che dire notevole è poco. Anche gli effetti sonori sono essenziali per capire la dinamica di certi eventi, prima che si apra il sipario sul freeze-frame da analizzare. Si sa dove si nasconde il diavolo, e a volte il rumore di un oggetto ci fa cambiare punto di vista su un intero scambio di battute.

Un piccolo appunto per i difetti, comunque minimi. Non c'è la possibilità di ripercorrere i vari scenari senza raggiungere il cadavere che lascia partire il flashback. Questo tipo di backtracking è certamente in linea con il mood generale, ma può scoraggiare un neofita o chi non fosse particolarmente preso dalle vicende (difficile, ma tutto è possibile). In secondo luogo la formula ha spazio di miglioramento: con un'idea così alla base, con una regia di questo calibro, si può fare molto di più a livello di scrittura.

Non è un titolo per tutti ma se avete modo provatelo, guardatelo un po' e pensate se avete il desiderio di cimentarvi nella sfida che vi pone. Ci si sente a un certo punto vicini alla ciurma, il caos delle prime fasi di gioco (pieno di volti anonimi) si dirada lasciandoci un senso di familiarità. Return of the Obra Dinn è un mondo chiuso perfettamente controllato, una trama elegante, d'altri tempi e in un'ambientazione storica mai sfruttata abbastanza. Senza dimenticare la bellissima luna da tubo catodico che ci accompagna durante le indagini.

8 / 10
Avatar di Antonino Fiore
Antonino Fiore: Classe 1993, in squadra dal 2018. Ha scoperto i videogiochi con i floppy dell’Amiga e da allora vive, sbalzato temporalmente, una generazione indietro. Dalle avventure grafiche agli horror, è un accanito retrogamer e un vorace escapista. Con gli anni ha realizzato d’essere, più che altro, un semplice Homo Ludens. Megaman e Suikoden sono i suoi punti deboli.

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