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Returnal, i miei cinquant'anni e l'importanza delle motivazioni - editoriale

Quando i videogiochi sono maestri di vita...

Ho sempre avuto due sogni: giocare fino a che mi sarà possibile e, un desiderio questo che ho maturato più avanti, chiudere la mia carriera lavorativa come giornalista di videogame.

La seconda strada, col passare del tempo e il mutamento delle regole d'ingaggio dell'industria del gaming (col conseguente spostamento dei budget verso lidi che mi sono anagraficamente preclusi), si fa sempre più difficile. Essere un gamer però, si dirà, è un piacere che posso riservarmi fino a quando il Sommo deciderà di mantenermi in questo piano esistenziale.

Ma non è così.

Già, perché sebbene negli anni abbia maturato un'insaziabile passione per i trading card game, che coi loro 30 secondi tra un turno e l'altro dovrebbero fare al caso mio anche il giorno che mi trovassi in una RSA, in realtà m'è rimasta la passione per i titoli che ho sempre giocato. E questo è tutto un altro paio di maniche...

Prendiamo ad esempio gli FPS: non che sia mai stato un fenomeno, sia chiaro, ma me la sono sempre cavata bene. Poi, certo, quando era ancora un ragazzino vidi cosa faceva Stermy e mi venne voglia di appendere il mouse al chiodo. Però, ripeto, mi sono sempre difeso egregiamente...

Il livello di difficoltà di Returnal all'inizio vi parrà severo ma giusto. Il quinto bioma però sconvolgerà le vostre convinzioni...

Ebbene, spente ormai le cinquanta candeline posso dirvi che quello che sentite in giro di pro-player che a 25 anni devono abbandonare la carriera per sopraggiunti limiti d'età, è tutto vero. Giocare online non con campioni ma con gente random pescata col match-making, mi ha tratto in inganno; mi ha dato l'illusione che il tempo passasse, sì, ma per gli altri. Poi però è arrivato il giorno in cui mentre il mio cervello inviava al dito medio l'input di tirare il trigger del gamepad, l'avversario mi aveva già sparato. E via via questo momento si è ripetuto sempre più spesso.

In alcuni momenti, quando magari riprendo in mano Destiny 2 dopo un po' che non ci gioco, nelle prime partite in Crogiolo mi uccidono mentre sto ancora capendo se quello che ho davanti sia un alleato o un avversario. Poi recupero in fretta la mano, ma comunque è una tristezza che non vi dico...

Fortunatamente in PvE me la cavo ancora bene e, quando si tratta di portare a termine un'Incursione, faccio il mio dovere. E allora il morale risale; poi però vedo l'amico Mattia farsi in solo e senza morire delle cose dove scientificamente ci lascio le penne almeno un paio di volte e in tre persone, e allora l'umore s'inabissa nuovamente. Certo, quando poi vedo come se la cavano i miei coetanei l'autostima risale... e quindi preparatevi: arrivati a una certa età, sarete soggetti a frequenti sbalzi d'umore.

Veniamo così al soggetto di questo articolo, ossia Returnal. Il gioco degli Housemarque per me è stato una vera rivelazione perché, non ho problemi ad ammetterlo, non mi aveva colpito la prima volta che l'ho visto. La colpa, in parte, l'attribuisco alla povertà comunicativa dei trailer, anche perché sono da sempre abituato (bene) ad avere qualcuno che i giochi me li mostra e me li spiega dal vivo in qualche fiera... ma resta il fatto che alzo la mano e m'assumo le mie responsabilità: non l'avevo capito.

L'espressione di Selene Vassos è la stessa che ho avuto io, ieri sera, dopo l'ennesima morte alla ricerca della terza chiave...

Questo errore di valutazione però è stato anche la mia fortuna, perché approcciando il gioco con modeste aspettative sono poi rimasto folgorato sulla via di Atropo (o era Damasco?). Ma Returnal, che già di suo non ci va leggero, col quinto bioma vede un'impennata della difficoltà che lo trasforma da difficile in frustrante.

E così arriviamo a ieri, quando ho passato buona parte del pomeriggio e della serata a tentare di raccogliere quelle tre dannatissime chiavi necessarie a proseguire. Perché inutile dirlo, basta morire una sola volta e le si perdono tutte, dovendo ricominciare per giunta dal quarto bioma.

Ci provo, ci provo e ci provo ancora... ma niente da fare, al massimo ne prendo due. E lì iniziano tutti gli avvitamenti psicologici già provati quando feci non so quanti tentativi per abbattere Artorias of the Abyss in Dark Souls; quelli che ti scavano la sicurezza da dentro e alla fine ti presenti all'appuntamento con le mani sudate, il battito accelerato e quella tensione che lascia presto spazio alla rassegnazione quando, dopo pochi secondi, ti ritrovi già con un briciolo di vita.

Per cui a mezzanotte circa raggiungo l'amara illuminazione: Lorenzo e Alessandro hanno finito Returnal, io non è detto che ci riesca perché ho 25 anni più di loro e può essere che il gioco sia oltre i limiti che l'età mi consente.

Artorias of the Abyss di Dark Souls è il boss che all'epoca mi ha fatto soffrire più di tutti. Oggi, è quello con ricordo con più affetto.

Sconsolato da questa presa di coscienza guardo YouTube alla ricerca di deck nuovi per Hearthstone e Runeterra, poi passo su Twitch... e giustamente c'è Returnal. Mi metto a guardare un po' di canali e, quasi sbalordito, realizzo una cosa: che tutti quelli che ci stavano giocando, anche con 10mila spettatori in contemporanea, erano peggio di me. Possibile?

Ne guardo uno, ne guardo due, ne guardo tre... c'è solo un coreano bravo (e ti pareva) ma gli altri mi sembrano giocatori della domenica. Ed ecco l'impennata d'orgoglio: ma esiste che loro sì e io no? Ma come: quelli lì, giocando così, hanno l'equivalente di un palazzetto dello sport che li guarda e io, che sono meglio, mi devo arrendere? Ma non se ne parla!

Per cui alle 2 e mezza del mattino riaccendo la Play e mi rimetto su Returnal. E di colpo mi sento come Neo quando scopre la matrice: i nemici li vedo prima, i miei colpi partono prima... proseguo cautamente ma con sicurezza, imbrocco anche un paio di perk giusti e finalmente, alle quattro del mattino, raccolgo le tre chiavi e passo all'ultimo bioma.

Mi addormento felice e sollevato, rivedendo nella mia testa le giocate migliori quasi fosse la moviola della domenica; e quando mi sono svegliato stamattina, il primo pensiero che mi è passato per la testa è stato: "Returnal... ce l'ho fatta!".

Il dungeon di Pitioss di Final Fantasy XV fu un'esperienza così hardcore che sentii il bisogno di scriverne subito un articolo.

Recentemente ho letto un'intervista a Valentino Rossi in cui dice di non ritirarsi perché si diverte ancora un mondo a correre, e che sebbene i giovani siano forti lui non si sente da meno. E che pur conscio del passare del tempo, farà del suo meglio per rendergli la vita difficile. Ebbene, mi sento esattamente come lui e chi di voi ha un'anagrafe analoga alla mia, sono certo che capirà.

Volendo allora dare un senso al flusso di coscienza che è questo articolo, ecco la morale: non ponetevi mai dei limiti, non pensiate che qualcosa vi sia precluso. Mantenete intatto lo spirito da gamer che avete (diversamente non sareste su queste pagine), ci sarà sempre spazio per voi. Se serve, barate con voi stessi (quegli streamer erano davvero così scarsi? In quel momento per me era importante crederlo) e, se troverete le giuste motivazioni, ce la farete.

Ricorderò Returnal, così come ricordo il combattimento con Artorias o il dungeon di Pitioss di Final Fantasy XV, come quel gioco che mi ha messo a dura prova, che mi ha quasi sconfitto... ma poi alla fine ho vinto io.

Lo ricorderò anche per avermi fatto capire che la vita, a ben guardare, è il più duro dei rogue-like: c'è un solo tentativo e ciò che si perde è perduto per sempre. Alle volte si va avanti perché si è dei vincenti, altre semplicemente perché non si vuole perdere. Ma è meglio farlo con decisione piuttosto con mano tremante, non trovate?

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Stefano Silvestri

Editor in Chief, EG.it

Il suo passato è costellato di tutto ciò che è stato giocabile negli ultimi 40 anni. Dal ’95 a oggi riesce a fare della sua passione un mestiere, non senza una grande ostinazione e un pizzico di incoscienza.
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