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Sarà una generazione “paymium”? - articolo

Il modello economico dell'industry non regge più.

Il modello "paymium" è un tema che va affrontato. Si tratta di un argomento molto delicato, che solleva reazioni disparate e non sempre "pacifiche", ma con il sopraggiungere delle console next-gen non possiamo più girarci intorno ed è dunque giunta l'ora di prenderlo di petto. Quasi tutti i titoli di punta per Xbox One integrano un qualche tipo di sistema paymium, suggerendo che Microsoft abbia adottato una policy che rende standard le transazioni in-game sulla sua nuova console. Sony è meno focalizzata sul tema ma ciò non significa che non intenda sperimentare: Gran Turismo 6 su PS3 include infatti la possibilità di effettuare acquisti in-game.

Descrivere questa mossa come "indesiderata" da parte del pubblico degli early adopter, che sono quelli che si precipitano a comprare i nuovi hardware non appena vengono lanciati nei negozi, sarebbe usare un eufemismo. La reazione dei giocatori è stata infatti non solo di indifferenza a questo approccio, ma di aperta ostilità, accompagnata da una valanga di critiche. La questione ha due facce, entrambe legittime e per questo da esaminare. Da un lato c'è chi ritiene che inserire il modello delle micro-transazioni (originario dei titoli free to play) in un gioco che poi viene venduto a prezzo pieno, sia un abuso. La tesi è che i cambiamenti di design effettuati per invogliare i giocatori a spendere denaro per acquistare valuta in-game e oggetti di vario genere, portino a deteriorare l'esperienza di gioco complessiva.

Dall'altra parte della barricata ci sono i publisher e i developer, che nel corso degli ultimi anni hanno assistito alla rapida impennata dei costi di creazione di un videogioco, non controbilanciata però da maggiori vendite ed incassi. Inoltre, con un'industria sempre più guidata dai titoli "blockbuster" (una manciata di giochi che generano profitti enormi e lasciano solo le briciole a tutti gli altri), i rischi associati al finanziamento di un videogame sono ancora più alti che in passato.

Sony al momento non sta attuando politiche aggressive col paymium ma Gran Turismo 6 dimostra che sta sondando il terreno.

La situazione è chiaramente sbilanciata. Tutte le discussioni sul modello paymium (che, in sostanza, inquadra i giochi venduti a prezzo pieno ma basati anche su un modello di acquisti successivi tramite micro-transazioni) devono partire dalla comprensione dell'intera situazione che ci ha portato a questo punto, incluso il fatto che l'odierno modello economico dell'industria non regge più. Si tratta di una cosa triste, senz'altro, ma a meno che il mercato dei giochi "hardcore" non ricominci a crescere rapidamente (cosa possibile ma che al momento non avviene), semplicemente non è più possibile per un produttore che voglia creare un titolo moderno, ricco, complesso ed esteso (in poche parole un cosiddetto "tripla-A") adottare il modello di vendita tradizionale dei 60 euro e via.

"La discussioni sul paymium deve partire dalla comprensione che l'odierno modello economico dell'industria non regge più"

I giochi per cui quel modello ancora funziona sono davvero pochi: i campioni di vendite che vediamo ogni anno (la maggior parte dei quali proviene da serie già note) o, beh... i giochi di Nintendo. Più o meno tutti gli altri finiscono per perdere soldi da quel tipo di approccio, forse non a livello di singoli titoli ma senz'altro per quanto riguarda il bilancio complessivo del produttore, che per ogni colpo azzeccato ne mancherà sicuramente qualcun altro.

In altre parole, se non troviamo un modo per far funzionare meglio il business model (che questo sia vendere più giochi, oppure fare più soldi dai titoli che vendiamo), l'industria dei videogame, almeno di quelli tripla-A, rischia di trovarsi in guai seri. Certo, i videogiochi continueranno ad esistere: l'incredibile e fiorente settore dei titoli indie sarà con ogni probabilità immune all'esplodere di questa bolla e ci consentirà di continuare a sperimentare videogame creativi ed emozionanti, mentre un manipolo di aziende resistenti (Nintendo, Blizzard, ecc.) e di serie note continueranno a fare il loro lavoro.

I risultati di vendita di quest'anno di Assassin's Creed, FIFA e Call of Duty dimostrano che i tripla A cominciano a essere a rischio.

Ma dopo aver assistito alla scomparsa dei titoli da "mezza classifica" e budget moderato, quei giochi che hanno costituito il cuore del catalogo di console come la prima PlayStation e la PS2, adesso la prossima categoria ad essere mangiata dall'inefficienza del modello di vendita dei videogiochi potrebbe essere proprio quella dei tripla-A. Lo sviluppo di giochi di prima fascia diventerà sempre più rischioso, i guadagni non saliranno e quello che sopravviverà saranno solo le arcinote serie a basso tasso di rischi, come quelle action e sportive.

"Se il mondo dello sviluppo "core" capitolasse, tutti ne risentiremmo in negativo"

Ora, so che in parecchi leggerete queste parole, stringerete le spalle e direte: "e anche fosse?" E in effetti è possibile che questo sia semplicemente un passaggio della selezione naturale, dell'evoluzione per la nostra industria. Ho già parlato del fiorire del settore indie e di come questo potrebbe essere pronto ad esplodere ancora più nettamente in caso l'attuale crisi finisse per mangiarsi l'industria dei videogiochi così come la conosciamo adesso. Questo, però, non significa che la crisi sia un bene e che dovremmo in qualche modo invocarla. Gli studios che hanno subito l'impatto della scomparsa dei titoli di fascia media, con il rischio che ora il contagio si estenda anche ai tripla-A, danno lavoro ad una gran parte dei professionisti di maggior talento e creatività di questa industria.

Arricchiscono il medium di molte delle sue esperienze di maggior profilo e più immersive, e anche se non sempre spingono l'interattività e la narrativa verso nuovi livelli o verso direzioni radicalmente differenti (come fanno invece i developer indie), raccolgono la sfida dal punto di vista tecnico, grafico e di produzione, dando al medium la possibilità di dialogare e lavorare con alcune delle personalità più importanti appartenenti all'intera industria creativa, e rappresentando una sorta di "nucleo" operativo dell'industria. Il mondo indie è grandioso, quello mobile è favoloso, i settori casual e social sono splendidi, ma se il mondo dello sviluppo "core" capitolasse, tutti ne risentiremmo in negativo.

La filosofia pro-paymium adottata da Microsofy rischia di gettarla il colosso americano in una cattiva luce agli occhi dei gamer.

Alla base dell'intero discorso dobbiamo accettare questo, e non credo che sia una cosa irragionevole. In fondo, se la presenza di modelli paymium all'interno dei nostri giochi preferiti ci infastidisce così tanto... beh, non penso che saremmo più contenti nel vederli semplicemente scomparire, quei giochi. Non mi fraintendete: sto solo dicendo che bisogna comprendere il perché dell'esistenza dei modelli paymium, non che questi ultimi vadano accettati in modo supino e senza la possibilità di criticarli. Non sto dicendo "o paymium o morte": altre vie e altri modelli esistono. La discussione che dobbiamo fare è più ampia e porta a chiederci: "come possiamo fare in modo che lo sviluppo dei videogiochi hardcore sia ripagato?"

"Pagare 60 euro per poi trovarsi di fronte ad un muro che possiamo superare solo spendendo altri soldi, creerebbe rabbia e frustrazione"

A questo punto, devo scoprire le mie carte. Io non credo che il modello paymium sia intrinsecamente sbagliato o "maligno". Credo fortemente che i giochi free to play possano essere fantastici, quando realizzati nel giusto modo e basati su un modello di monetizzazione "etico" (cosa che non sempre avviene, a onor del vero), e credo che la stessa cosa sia vera anche per i titoli paymium. Come è possibile creare per i vari giochi dei DLC che siano ben accolti dai giocatori, in quanto arricchiscono realmente l'esperienza, allo stesso modo è possibile, almeno in teoria, creare un sistema paymium che aggiunga qualcosa per chi sceglie di effettuare acquisti, senza nulla togliere a chi vuole semplicemente giocare il suo videogame senza aprire più il portafogli dopo aver fatto l'acquisto iniziale. La possibilità, a livello teorico, c'è.

Solo che finora non si è concretizzata. Ed è qui che nasce la questione, il pericolo per tutti i publisher che attualmente stanno imboccando questa via, con in testa l'Xbox One, la cui filosofia pro-paymium a mio modo di vedere rischia di gettarla in una cattiva luce agli occhi dei gamer, che potrebbero pensarla come una piattaforma dotata di giochi dal design incompleto, creati solo per succhiare denaro piuttosto che per offrire intrattenimento.

Il 70% di chi finisce i livelli di Candy Crush non ha mai effettuato acquisti in-game. Un esempio di paymium ben calibrato?

Una delle prime critiche che sento muovere al modello paymium è che si tratta di un "free to play" a pagamento, e dunque per niente "free". Un gioco di parole facile ma azzeccato, in quanto inquadra il problema. I titoli F2P hanno una relazione molto particolare con i loro giocatori, dal momento che questi ultimi non sono necessariamente "clienti paganti".

"In un buon titolo free to play dovrebbe essere possibile giocare senza mai pagare un centesimo"

Il gioco è gratuito e in un buon titolo free to play dovrebbe essere possibile giocare senza mai pagare un centesimo (persino Candy Crush Saga, una delle bestie nere dei giocatori che disprezzano il F2P, non ci costringe attivamente a pagare nulla: il 70% di chi finisce tutti i livelli non ha mai effettuato acquisti in-game). In questa situazione, non è irragionevole il fatto che il gioco cerchi di farci comprare qualcosa tramite le micro-transazioni, introducendo elementi di design che ci spingano in quella direzione, come ad esempio ostacoli che sono più semplici da superare con un piccolo pagamento di qualche genere.

Il rapporto di un titolo paymium con i suoi giocatori è piuttosto diverso, in quanto ogni giocatore è già un "cliente", avendo pagato per l'acquisto del gioco. Pagare 60 euro per poi, dopo poche ore di gioco, trovarsi di fronte ad un muro che possiamo superare solo spendendo ancora altri soldi, è un'esperienza che giustamente creerebbe un'enorme rabbia e frustrazione. Ma anche se il gioco "rallentasse" artificialmente il mio progresso, solo per rendermi impaziente e spingermi a comprare qualche cosa che velocizzi di nuovo il tutto (un aspetto molto comune nel design dei titoli F2P), beh, quel gioco finirebbe presto sugli scaffali dell'usato per essere rivenduto, e guai a sentire una sola parola di protesta contro il mercato dell'usato, perché sarebbe un sacrosanto diritto del consumatore tentare di recuperare i soldi spesi in un prodotto così "truffaldino".

Siete bloccati da una sparatoria di Uncharted: Golden Abyss e non avete troppo tempo da dedicarci. Paghereste per potenziare il vostro personaggio e superarla?

In altre parole, chi crea un titolo paymium che adotta tecniche di monetizzazione da "free to play", pur non essendo il suo gioco affatto gratis, sta sbagliando su tutta la linea. Sta implementando dei sistemi che non devono trovare luogo in un videogame venduto a 60 euro, non sta capendo la psicologia delle meccaniche di gioco che impiega, e soprattutto sta mancando di rispetto ai suoi clienti, quelli che si sono recati in un negozio e hanno speso in anticipo più soldi di quanti la maggior parte degli utenti di un titolo F2P verserà mai in micro-transazioni. Ogni singolo giocatore che acquista un videogame del genere deve essere trattato, per usare un gergo fortunatamente sempre più in disuso nell'ambito dei F2P, come una "whale", una "balena", ossia qualcuno che spende grosse cifre di denaro e a cui quindi vanno destinate tutte le attenzioni e tutto il rispetto possibili.

"La salvezza dell'industria risiederà in una strategia che consenta ai giocatori intenzionati a farlo di spendere più soldi sul proprio gioco"

Questo non significa che il modello paymium o altre soluzioni simili, non possano funzionare. Onestamente io ne intravedo l'utilità in alcune situazioni. Non sono il giocatore più abile del mondo (stasera sono morto circa 15 volte di seguito in un singolo scontro a fuoco di Uncharted: Golden Abyss) e non ho troppo tempo libero, tra lavoro, studio e vita personale. Immagino che molte persone della mia età siano in una situazione simile, ossia appassionate di giochi ma impossibilitate a giocarne molti o molto a lungo, e quindi condannate a non poterne finire mai quanti vorrebbero. Per i giocatori come me, più preoccupati dal tempo a disposizione che non dai soldi, un gioco che offre una sorta di micro-transazioni "paymium" per potenziare il personaggio e velocizzare l'esperienza non sarebbe una cosa negativa. A patto che il gioco sia disegnato esattamente come un titolo normale, e non impieghi trucchetti vari per costringere un po' tutti ad effettuare questi acquisti, cosa che ovviamente sarebbe non etica e meriterebbe di essere severamente punita dai consumatori.

Ovviamente non sarà facile trovare il giusto equilibrio, però non ho dubbi sul fatto che ci saranno giochi che ci riusciranno, e anche loro riceveranno comunque una certa dose di critiche, da parte di chi odia il paymium e basta (in fondo, c'è ancora chi odia l'idea di DLC a prescindere dalla qualità del contenuto aggiunto). La salvezza dell'industria risiederà, per certi versi, in una strategia che consenta ai giocatori intenzionati a farlo di spendere più soldi sul proprio gioco (che si tratti di altri contenuti, merchandise, valuta in-game o una combinazione di tutte queste cose), fenomeno al quale una certa parte degli utenti guarderà sempre con sospetto e disprezzo. Al momento, però, questo sospetto è riservato alla quasi totalità dei titoli paymium: finché gli sviluppatori e i publisher non cominceranno a rispettare i loro clienti, adottando tattiche meno aggressive e bilanciando meglio l'intera questione, quei sospetti non scompariranno.

Traduzione a cura di Luca Signorini.