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Shadows of the Damned

Tamarri tatuati alla conquista dell’Inferno.

Probabilmente è inevitabile che un action horror in cui è coinvolto Shinji Mikami abbia qualche elemento che ricordi Resident Evil 4, tipo la visuale molto ravvicinata quando si punta un'arma.

Ed è anche inevitabile che un gioco in cui collabora il suo collega, Goichi Suda, trabocchi di grezzo umorismo da caserma.

Dunque, facendo due più due, è abbastanza facile intuire cosa vi aspetterà quando proverete Shadow of the Damned.

Tuttavia, è comunque divertente rilevare i piccoli dettagli che questi due acclamati game designer hanno imparato e portato con sé dai loro precedenti e discordanti prodotti.

Di solito i loro titoli hanno la particolare abitudine di chiedervi non solo di vivere l'assurdità del loro universo (tipo il dover controllare l'inventario durante un'apocalisse zombie per potersi curare o il falciare l'erba per mantenersi e combattere i nemici con una spada laser), ma di apprezzarla in quanto particolarità del gioco.

Garcia non poteva che brandire un'arma così... raffinata!

Il modo in cui Shadows of the Damned cerca di emergere dalla massa, e differenziarsi dal passato, è portare questa tendenza alle estreme conseguenze: quasi niente di ciò che succede all'interno del gioco sembra avere senso ma ciò non interessa a nessuno, perché il titolo ha una sua coerenza interna e tutti sembrano perfettamente a loro agio con ciò che sta succedendo.

Ciò che sta succedendo è che voi vestite i panni di un tizio tutto tatuaggi, alcolici e giubbotti in pelle di nome Garcia Hotspur, e la vostra missione sarà salvare la bella di turno, tale Paula, dalle grinfie di Fleming, re dei demoni, che l'ha rinchiusa all'inferno perché... beh perché è il re del demoni e fa quello che gli pare, ok?

Nella vostra discesa negli inferi sarete accompagnati dall'immancabile spalla comica, un demone, tale Johnson, che parla attraverso un teschio senza corpo e che può trasformarsi in un arma upgradabile, detta con estrema finezza "Boner" (per i meno avvezzi all'Inglese, uno sinonimo di "erezione").

L'impronta action sarà uno dei marchi di fabbrica del gioco di Suda 51 e Mikami.

Più o meno come Alan Wake, Shadows of the Damned è un gioco costruito intorno alla manipolazione di luce e oscurità ma, a differenza del titolo Remedy, l'oscurità è un'ombra violacea che si muove lentamente, rendendo i nemici più forti e chiudendo porte e passaggi. Per combatterla c'è un solo modo, addentrarsi al suo interno e colpire le Mani dell'Oscurità. E non è figura retorica, ci sono proprio delle enormi mani da cui fuoriesce materia oscura!

Alcune porte saranno coperte da... pubi demoniaci (non chiedete oltre, è tutta colpa di Suda) che bloccheranno ulteriormente il passaggio, e che si toglieranno solo se sparate a determinati bersagli nascosti dalle tenebre viola.

Oltre ai morbosi riferimenti sessuali, un'altra caratteristica molto nipponica di Shadows of the Damned sono le interminabili scene d'intermezzo, che indugiano fin troppo sull'immagine dei personaggi e sui loro oscuri e pomposi dialoghi.

Ad esempio, passando sotto un'enorme insegna al neon con scritto "Benvenuti all'Inferno", verrete assaliti dall'enfatica retorica di una donna inguainata in una tutina sadomaso che vi guarda da un balcone. La tizia piroetterà e ululerà più del necessario prima del arrivare al punto e, infine, sarà Johnson a spiegarvi chi è e perché dovrebbe spaventarvi.

Il trailer della GDC.

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Shadows of the Damned

PS3, Xbox 360

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Lorenzo Fantoni

Contributor

Dentro un rugbista di 110kg dedito agli stravizi, batte il cuore di nerd vecchio stampo con lo sguardo perennemente abbronzato da uno schermo, anche d'estate.
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