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Solatorobo: Red the Hunter

Pilotare robot è un lavoro da cani.

Nonostante alcune pubblicità si siano scordate di segnalare che con il DS si può anche giocare, il portatile di Nintendo dà asilo a un discreto numero di titoli dedicati ai giocatori "duri e puri".

Mi riferisco a Dragon Quest, Kingdom Hearts, Final Fantasy, Children of Mana, Disgaea, Chrono Trigger, e molti altri giochi che possono offrirvi ore e ore di divertimento, senza chiedervi di calcolare l'età del vostro cervello o di disegnare un'immagine del vostro gatto che dorme.

Alle spalle di questi "pesi massimi" ci sono altrettanti titoli che difficilmente conquistano la ribalta delle prime pagine o di una pubblicità in televisione, piccole perle che per carenza di mercato, per scelte di marketing bizzarre, o per scarsa fama sul suolo europeo, rimangono ben chiuse nella loro ostrica, titoli che probabilmente non giochereste mai se qualcuno non ve li facesse conoscere, come ad esempio Solatorobo.

Questo action RPG, seguito spirituale di Tail Concerto, mescola tutti gli elementi tipici delle produzioni nipponiche: un mondo fantastico, creature a metà fra l'umano e l'animale, grandi cospirazioni, mech e nomi assurdi. Vestiremo infatti i panni di un cane antropomorfo, Red Savarin, che vive sull'isola galleggiante di Sheperd Republic, ch ha una sorella che si chiama Chocolat e che guida un robot di nome Dahak, che sembra un grande volatile meccanico. Più tipico di così si muore!

Le cutscene sono bellissime. Provare per credere!
Per battere i vostri nemici dovrete sempre arrivare al corpo a corpo.

Red sbarca il lunario svolgendo compiti più o meno leciti di ogni tipo e il gioco inizia proprio mentre stiamo impegnati in una delle tante missioni di routine (se possiamo definire routine l'infiltrarsi in un nave volante per recuperare dei documenti), quando tutto viene mandato all'aria dall'arrivo di un’enorme creatura, che inizia a trattare la nave come fosse un aeroplano giocattolo.

Da questo punto in poi la storia comincia a dipanarsi senza fretta, lasciandovi tutto il tempo di fare quest secondarie per accumulare l’esperienza e i soldi necessari a potenziare voi e il Dahak.

Pur non senza grandi slanci d’innovazione, la trama di Solatorobo è estremamente piacevole da seguire, e, caratteristica fondamentale per ogni storia che si rispetti, avrete sempre voglia di sapere cosa succederà dopo. Questo anche perché i personaggi sono estremamente ben caratterizzati, soprattutto Red, simpatico e spaccone, e sua sorella Chocolate, il suo contraltare “serio”, sempre impegnata a evitare che si ficchi nei guai. L’unico lato negativo della narrazione è che ci sono veramente tanti, tanti dialoghi a frammentare l’azione, che sicuramente non spaventeranno gli esperti di jRPG ma che potrebbero stressare i meno pazienti.

Pur essendo classificabile come un gioco di ruolo, Solatorobo non segue i canoni classici del genere, soprattutto nel particolare sistema combattimento, che potrebbe non piacere ai puristi.

Piuttosto che lunghissimi e epici scontri a turni, le battaglie in Solatorobo infatti non durano più di qualche secondo. L’idea è quella che dovete fare di tutto per avvicinarvi al vostro avversario e premere furiosamente A per sollevarlo, così da poterlo poi lanciare via come una palla di stracci e causargli dei danni. Con i nemici più avanzati ovviamente non sarà così semplice: dovrete trovare il tempo e la posizione giusta per farlo, oppure lanciargli indietro i missili che vi scagliano contro.

Personalmente ho apprezzato molto quest’ibridazione con i picchiaduro a scorrimento. Non annoia mai, varia il ritmo rispetto alle fasi esplorative ed evita di bloccarsi troppo a lungo in determinate battaglie. Ciò non vuol dire che sia una soluzione migliore del sistema di combattimento che abbiamo imparato ad apprezzare in questi anni, ma in un genere tradizionalista come gli RPG un tocco di novità è sempre ben accetto.

Il trailer del gioco.

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Lorenzo Fantoni

Contributor

Dentro un rugbista di 110kg dedito agli stravizi, batte il cuore di nerd vecchio stampo con lo sguardo perennemente abbronzato da uno schermo, anche d'estate.
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