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Spate - review

Sotto un mare di alcol e rimpianti.

Dopo l'exploit dei piccoli grandi indie, il trend dettato dall'auto-pubblicazione ha subito un prevedibile appiattimento ed è giunto a quella che possiamo definire una nuova fase. Se nella prima tappa di questo rinnovato percorso i titoli indipendenti erano identificabili con il rimescolamento di meccaniche e stili già navigati, nella seconda si sta cercando anche con discreto successo di applicare questi stessi principi a trame più complesse e ad elaborate narrazioni.

È questo il caso di Spate, un progetto nato dalla creatività dell'ex Disney Animation (stenterete a crederlo...) Eric Provan e dai circa $14.000 racimolati su Kickstarter nel maggio 2012. Sbucato fuori da un battage promozionale ridotto all'osso, al punto che io stesso non lo conoscevo affatto prima di poterci mettere effettivamente mano, Spate è a detta degli sviluppatori la conseguenza dell'incontro di tre componenti diverse: atmosfera, alcol e arte.

Con tematiche così serie e mature, il rischio del flop è sempre dietro l'angolo. Basta una virgola fuori posto e la magia si spezza, ed è per questo che comprenderete la scelta di racchiudere l'intera avventura in appena due ore scarse di gaming.

Spate va giocato e vissuto tutto d'un fiato, senza neppure avere il tempo di arrivare a pensare a questo o a quel difetto, lasciando nel cassetto la lente d'ingrandimento e indossando, almeno (e non più di) una volta, i panni dell'alcolizzato che perde una giovanissima figlia.

L'inizio, bagnato e post-industriale, sembra promettere un'esperienza steampunk coi fiocchi. Ma non tutto andrà come previsto...

Quello che Provan chiede, in sostanza, è un coinvolgimento emotivo che superi il bug, peraltro game breaking, del protagonista che si incastra nei fondali. È un approccio intelligente e sensato ad un'opera che è costata un decimo, se non di meno, dei videogiochi medi per i quali sbaviamo tutti i giorni. Fatta questa precisazione, e osservato a quei $14.000 il dovuto rispetto, è possibile godere di Spate come di un titolo sopra le righe in ogni suo aspetto narrativo e artistico.

"Spate è a detta degli sviluppatori la conseguenza dell'incontro di tre componenti diverse: atmosfera, alcol e arte"

La promessa delle tre "a" è stata mantenuta in scioltezza. Atmosfera ce n'è da vendere: fin dai primi passi, Spate sembra ambientato in una sorta di Twin Peaks steampunk, dove nulla ha senso, o forse ne ha troppo per essere compreso appieno.

L'aria della XZone (ex Pearl Islands) è pesante, il bianco e nero asfissiante, i personaggi deliranti più del protagonista, il detective Bluth rimasto senza famiglia e chiamato a risolvere il caso della sparizione di un milionario.

Ed è così che, scorrendo nei fondali perlopiù bidimensionali (i dev parlano di un 2.5D ma le incursioni nella tridimensionalità sono abbastanza rare), si incontrano robot cresciuti molto meno di quanto non sembri o enormi, ed enormemente simbolici, simulacri sputati fuori da un'immaginazione perversa alimentata da...

Non è stato certo il vento a spazzare via queste pittoresche abitazioni...

...alcol. La seconda "a" è probabilmente la più importante del lotto, la colonna portante su cui si poggia l'intera esperienza di Spate. Il nostro detective è un alcolizzato e non disdegna un goccetto appena possibile. Perciò la terra non è mai ben salda sotto i suoi piedi e le piattaforme si deformano quasi fino a scomodare il post-impressionismo di Van Gogh.

"Sorprendenti pennellate di colore squarciano la monocromia in cui si viene gettati per oltre un'ora"

A dirla tutta, uscendo dagli schemi letterari, il goccetto è possibile farselo ogni qual volta lo si desideri, impattando notevolmente sulle meccaniche alla base del gioco: il protagonista, metà sub e metà Sherlock Holmes "doppiato" magistralmente da Jack Bair, corre più rapidamente e salta più in alto sotto l'influsso dell'assenzio (un'altra "a"!). Questo è, insomma, di grande aiuto nelle fasi platform più articolate, in particolare quando c'è da compiere un balzo di precisione.

Il tocco dell'arte è allo stesso modo forte, palese soprattutto nelle fasi conclusive, che prendono voli pindarici forse inattesi ma necessari per portare a compimento la storia scritta da Provan.

Sorprendenti pennellate di colore squarciano la monocromia in cui si viene gettati per oltre un'ora, ad evidenziare che, sì, un percorso di incomprensione e dolore sta davvero volgendo al termine. E spetterà al giocatore decidere in quale modo lo farà: sono infatti due i finali alternativi, carichi di significati e conseguenze.

Un amaro accostamento, quello tra l'alcol e la necessità di consumarlo per ottenere prestazioni all'apparenza migliori, tristemente naturale agli occhi di chi si attacca alla bottiglia per risolvere i propri dilemmi esistenziali.

"L'assenzio finisce per essere l'unica variante degna di nota in una formula assai semplice, vista l'assenza di nemici"

Complice l'assenza di nemici e di un sistema di combattimento pur abbozzato, il poc'anzi accennato ricorso all'assenzio finisce per essere l'unica variante degna di nota in una formula assai semplice: nei momenti in cui non correrete, sarete impegnati ad azionare cannoni con i mini-giochi più comuni e a guidare barche nel tentativo di non finire schiacciati dagli ingranaggi creati dalla mente del detective.

Nulla di imprescindibile, anzi un (raro) tentativo di estendere più del dovuto la durata dell'avventura, congrua all'esborso di appena €9,99 richiesto e alla quale riconduco il mezzo punto in più della valutazione finale bruciato dalle norme di Eurogamer.

Giunti a questo punto potrebbe infatti sembrare pretenzioso chiedere a Spate la stessa solidità, tra l'altro unica persino nel mondo delle triple-A, di un The Last of Us, straordinario esempio di equilibrio tra narrazione e gameplay. Nel nostro caso, l'ago della bilancia pende visibilmente, e dichiaratamente, da un lato a scapito dell'altro.

Il mondo di Spate non presenta alcun pericoloso nemico. L'unico ostacolo tangibile è rappresentato da affilati ingranaggi che potranno causare la morte di Bluth.

Per la sua stessa natura, quindi, l'opera prima di Eric Provan potrà essere parimenti odiata o amata. A prescindere dal vostro orientamento videoludico, suggerisco di provarla, darle fiducia e scavare fino in fondo, cioè arrivare ad almeno uno dei due finali, prima di esprimere un qualunque tipo di giudizio.

Fermarsi allo sbadiglio dovuto ad una fase centrale (a primo impatto) immotivatamente dilatata, piuttosto che rendere merito all'ispiratissima colonna sonora originale, sarà allora una macchia che non vorrete apporre sul vostro palmàres di rispettabili videogiocatori.

8 / 10

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Paolo Sirio

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Boxaro ma non troppo, sonaro a tratti con un occhio di riguardo per Nintendo, comprende ben presto che il mestiere del giornalista, filtrato per la passione dei videogiochi, ha tutto un altro sapore.

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