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The Flame in the Flood - recensione

Non è facile tenere accesa la fiamma nel bel mezzo del diluvio.

Quando sei veterani temprati dal lavoro all'interno d'importanti studi come Irrational Games, Harmonix e Bungie si uniscono per dar vita ad un progetto inedito, in automatico la nostra attenzione si rivolge a loro. Se tra questi c'è anche Scott Sinclair, ovvero la mente dietro la direzione artistica di capolavori dell'arte narrativa, oltre che videoludica, come BioShock e il sequel Infinite, le aspettative non possono che schizzare alle stelle.

A pensarlo devono essere stati anche gli oltre settemila finanziatori che hanno donato più di $250.000 attraverso la campagna Kickstarter lanciata meno di un anno e mezzo fa. Il neonato studio The Molasses Flood sarà riuscito a mantenere le altissime aspettative, dopo l'uscita dal programma in accesso anticipato su Steam?

Il ruolo che ci troviamo ad interpretare nel misterioso mondo di The Flame in the Flood è quello di una giovane esploratrice accompagnata dal suo fido cane Aesop, di cui conosciamo il nome solo grazie allo spazio a lui riservato all'interno del nostro inventario.

La società americana, come la ricordiamo noi, è ormai collassata da tempo sotto il peso della pioggia torrenziale, che scende senza sosta dal cielo a causa di un misterioso sconvolgimento climatico. L'apocalittico diluvio ha dato vita a corsi d'acqua impetuosi che hanno travolto tutto. Proprio le acque di uno di questi lunghi ed inarrestabili fiumi distruttori costituiscono lo sfondo delle nostre avventure di sopravvivenza.

In un mondo spietato, in cui l'acqua e il freddo la fanno da padroni, il fuoco è il nostro migliore amico.

The Flame in the Flood è infatti, a tutti gli effetti, un gioco di sopravvivenza con alcuni elementi da roguelike, come la generazione procedurale dei livelli e la morte permanente nella modalità Endless. Come si può intuire facilmente dal nome, quest'ultima ci permette di proseguire l'avventura fin a quando la natura selvaggia non avrà preso il sopravvento sulle nostre vite.

Paragonare però l'opera prima di The Molasses Flood ad altri esponenti del genere roguelike-survival, come l'ottimo Don't Starve, sarebbe a dir poco superficiale e non consentirebbe di guardare sotto la giusta luce lo spirito che anima The Flame in the Flood e su cui gli sviluppatori hanno voluto puntare. D'altronde non è un caso che tra le fonti d'ispirazione ci sia il famosissimo Oregon Trail, gioco degli inizi degli anni '70 che metteva nelle nostre mani le vite di una famiglia del selvaggio west in viaggio sulla Pista dell'Oregon.

La definizione migliore per descrivere il gioco con protagonista la giovane esploratrice è road game, facendo ovviamente riferimento al genere cinematografico dei road movie, in cui lo sviluppo della storia avviene nel corso di un viaggio sulla strada. La sopravvivenza diventa quindi quasi un elemento di sfondo essenziale per raccontare il più importante cammino: un percorso di crescita e speranza alla ricerca della vera salvezza in un mondo ormai completamente alla sbando.

Il fiume è la nostra impervia strada, la via sulla quale per continuare a muoversi e sopravvivere è necessario lottare. Navigare sull'inarrestabile corso d'acqua significa ritrovarsi in balia di ostacoli in grado di distruggere la nostra imbarcazione, della pioggia, del freddo, senza aver la possibilità di nutrirci o riposare, ma è il solo modo per raggiungere le aree circoscritte di terraferma.

Qui abbiamo fatto un bel volo in acqua mentre cercavamo di scattare un'immagine del fiume impetuoso.

Nel corso del viaggio saremo chiamati a prendere rapidamente delle decisioni sul percorso da imboccare, scegliendo la via migliore tra frequenti bivi. La propria storia di sopravvivenza viene scritta così: in base alle nostre scelte potremo infatti imbatterci in luoghi d'approdo differenti, di dimensioni piuttosto contenute e da esplorare a piedi, in cui trovare oggetti specifici per l'area. In questi ambienti ci rendiamo effettivamente conto che la natura ha preso ormai completamente il sopravvento sulla civiltà, mostrando un quadro generale indubbiamente d'impatto.

In fondo The Flame in the Flood punta più ad essere opera d'arte in movimento piuttosto che titolo dal gameplay solido. Le meccaniche survival si rivelano essere, fin dalle prime ore di gioco, eccessivamente semplici, andando quasi a banalizzare l'apparente crudo realismo che permea la filosofia alla base.

È infatti difficile non notare immediatamente il numero relativamente ridotto di oggetti craftabili o l'assenza di un feedback estetico quando s'indossano nuovi indumenti, che rivestono un ruolo importante nell'economia di gioco. Per non parlare di grosse mancanze di cui si sente forte la necessità, come l'impossibilità di uccidere i serpenti e gli uccelli o di pescare, anche se ci vengono forniti amo, filo e vermi.

Se tutto ciò non bastasse, facciamo notare che il cane Aesop, che dovrebbe rappresentare un protagonista importante delle vicende, si riduce ad essere nient'altro che uno spazio nell'inventario per conservare i nostri oggetti anche in caso di morte. È paradossale che l'animale che viaggia al nostro fianco rivesta un ruolo di second'ordine rispetto alla nostra imbarcazione, che potremo invece migliorare nel corso del viaggio.

Queste cassette delle lettere ci forniranno nel corso dell'avventura missioni secondarie di produzione e i corrispettivi premi.

The Flame in the Flood si salva comunque dall'insufficienza grazie ad un impianto artistico degno del nome di Scott Sinclair. Lo stile grafico utilizzato lascia senza dubbio sbalorditi e rappresenta perfettamente l'ambiguità della natura: da una parte la sua benevolenza dai colori accessi e vivaci e dall'altra la sua malignità dai tratti spigolosi e taglienti.

Ad accentuare la dimensione artistica ci pensa la coinvolgente colonna sonora composta dal musicista country rock Chuck Ragan, accompagnato da altre band minori della scena indie californiana. Il genere musicale scelto dagli sviluppatori non è un caso, andandosi ad incastrare perfettamente nella costruzione di un mondo da road movie americano.

Tutto questo palcoscenico artistico, magistralmente orchestrato, ha l'effetto di spingerci a progredire nel gioco quasi solo per soddisfare la curiosità di scoprire le nuove idee scenografiche. Un traguardo senz'ombra di dubbio ragguardevole per gli sviluppatori, che in fin dei conti avrebbero potuto osare di più anche sotto questo aspetto, inserendo una maggior varietà di ambientazioni.

Allo stesso modo lascia qualche perplessità la componente narrativa che avrebbe dovuto in qualche modo animare la campagna. In realtà tutto si riduce a raggiungere determinati obiettivi inevitabili e disseminati in sequenza lungo il cammino per andare incontro alla ricerca della vera salvezza. D'altra parte rappresentano una nota intonata i personaggi che s'incontrano nel corso del viaggio, in grado d'incarnare perfettamente la follia che può solo scaturire dalla solitudine post-apocalittica.

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Inevitabile è di conseguenza il confronto con il capolavoro cinematografico Apocalypse Now o, se vogliamo, con la fonte d'ispirazione originale Cuore di tenebra di Conrad, che hanno in comune con The Flame in the Flood proprio l'uso allegorico del viaggio sul fiume come immersione catartica nella follia illuminante. Peccato che, a differenza di queste grandi opere, il titolo di The Molasses Flood non riesca a strappare il sipario per accompagnare lo spettatore attraverso una narrazione potenzialmente profonda e significativa, ma si limiti solamente a sfiorarne la superficie.

Per rispondere alla domanda di apertura, le altissime aspettative che avevamo riposto in The Flame in the Flood e nel lavoro di The Molasses Flood non sono state pienamente rispettate. A conti fatti il titolo è un calderone di occasioni sprecate e non riesce a ritagliarsi la propria identità né come survival ricco di contenuti e sfide, né come memorabile opera d'autore. Un vero peccato se si tiene conto dell'incantevole impalcatura che sostiene il gioco.

6 / 10

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The Flame in the Flood

PS4, Xbox One, PC, Mac, Nintendo Switch

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Pier Giorgio Liprino

Contributor

Per far felice Pier Giorgio basta parlargli di politica, scienza e videogiochi. A questi ultimi s'è avvicinato da bambino giocando ad Age of Empires 2 e da allora è rimasto un appassionato PC gamer, con uno sguardo attento alle console.
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