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The Old Man S1, la recensione

Per il Re e per la Patria, purché senza cuore e senza coscienza.

Ci sono storie lette, viste mille volte, in cui la tipologia del protagonista e le sue avventure sono solo variazioni su temi già ampiamente sfruttati. Cosa fa allora la differenza, cosa può costituire motivo di interesse e far sì che si prosegua nella visione? L’attore chiamato a interpretare quel personaggio.

Diciamo questo perché altrimenti, leggendo le righe in cui racconteremo di cosa tratta la serie tv The Old Man, dal 28 settembre su Disney+, qualcuno penserà certamente che non si tratti di una storia originale, pur tratta da un romanzo di successo, scritto da Thomas Perry nel 2017. Ma a interpretare il protagonista c’è Jeff Bridges e non esiste attore come lui capace di far sorridere d’amore e affetto anche chi sia solo minimamente un amante del cinema. O, in questo caso, delle serie tv.

Dan Chase è stato sempre un cane sciolto, anche se ordiva trame (sempre sporche) per conto della CIA in Afghanistan negli anni ’80, ai tempi dell’occupazione russa. Aveva appoggiato un capo tribù locale scaricato dal Governo americano, a suo giudizio però meritevole di ben altra sorte. Troppo coinvolto nella faccenda, per motivi che scopriremo nel corso della narrazione, aveva forzato il corso degli eventi, costretto poi a sparire per decenni, insieme all’amatissima moglie.

Un tranquillo pensionato da paura…

Più di trent’anni dopo, il destino arriverà a chiudere i conti lasciati in sospeso. Braccato da CIA e FBI, deve rispolverare le sue capacità professionali e risalire la catena del comando che gli dà la caccia, per arrivare al vertice. Dove si trova, suo malgrado, un altro che di segreti ne nasconde molti, il suo ex grande amico e compagno di avventure Harold, diventato un pezzo grosso dell’FBI. Ma la fonte di tutto si trova ancora sopra di loro. Nel solito gioco di flashback scopriremo le origini del male, dove tutto aveva avuto inizio.

Dan e Harold, uniti anche quando sono lontani, consci l’uno dell’altro anche se non si frequentano da decenni, sono due anziani, due uomini diventati vecchi cercando di dimenticare parti della loro vita, sorpassati rispetto a un ambiente che se aveva poche regole, adesso ne ha ancora meno e in più ha mezzi tecnologici sterminati. Dan, ma in fondo anche Harold, è un expendable che ricorda in versione più elegante ma non meno letale i tanti Stallone, Neeson, Eastwood e Washington, vecchi arnesi considerati obsoleti ma che, costretti a rimettersi in gioco, sconvolgeranno ogni aspettativa.

Se da un punto di vista action la serie riserva poche sorprese, con Dan/Jeff imprendibile nonostante l’età ormai avanzata grazie a un misto di astuzia, lungimiranza e doti di combattimento (ci sono di mezzo anche due splendidi rottweiler), a contare è la messa in scena di una serie di rapporti interpersonali fra persone chiamate a destini non comuni, che nelle loro relazioni problematiche hanno mantenuto sempre vivo una specie di filo, la cui natura non possiamo spoilerare.

Un funzionario ancora capace di stupire.

La parte più debole della storia, dal punto di vista narrativo, sta nell’incontro che Dan fa con Zoe, donna assai problematica e ferita dalla vita, che decide di tenere al suo fianco, in modo molto illogico essendo il personaggio che è. Colpa forse della sceneggiatura o dell’interpretazione di Amy Brenneman, affezionata a personaggi che, dai tempi di Heat, proprio non sanno scegliersi il partner.

La parte migliore è invece l’antico legame con Harold (il sempre ottimo John Lithgow), che discende da quel drammatico periodo in cui si sono disposte le pedine di un gioco di cui loro stessi ignoravano la fine, e che solo adesso dopo troppi anni sta arrivando a compimento. E nel giro delle loro vite restano coinvolti gli altri personaggi, nessuno al corrente della situazione nel suo insieme, perché anche Dan e Harold si muovono su territori parzialmente sconosciuti.

Per interpretare Dan da giovane è stato ben scelto Bill Heck, già visto nella serie Locke & Kay, che in Ray Donovan era il giovane Jon Voight, mentre Harold da giovane è Christopher Redman, visto in molte serie tv, mai molto notato. La donna del passato di Dan è da giovane Leem Lubany (la serie Baghdad Central), da adulta la famosa attrice palestinese Hiam Abbas, che abbiamo apprezzato in molti bei film (La sposa siriana, L’ospite inatteso, Il giardino dei limoni) e in qualche serie tv, fra cui Ramy e Succession.

No, non è Lawrence d’Arabia…

I primi sette episodi ci lasciano in sospeso con un “gancio” prevedibile ma promettente, giocato nella direzione del melodramma, in attesa di una seconda stagione. Ovviamente la serie si regge sul carisma di Jeff Bridges, tornato al lavoro dopo un cancro e il Covid, splendido 73enne dallo sguardo sempre incisivo, che canta anche la canzone sui titoli coda del primo episodio. Le musiche sono di T Bome Burnett e di Patrick Warren e, in alcuni momenti, rimandano ad atmosfere in stile Dexter.

Come tante altre storie di spie non troppo iperboliche, The Old Man ci offre il ritratto di assassini addestrati in nome del bene della patria, concetto abusato, stiracchiato, deviato, distorto, che li ha portati ben lontano da dove erano partiti, magari convinti di poter fare del bene.

Invece sono diventati solo dei killer di professione e basta, concentrati a restare in vita e a regolare i loro conti, a qualunque costo. Perché, come viene detto, “alla fine, quello che conta è la fine”.

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A proposito dell'autore

Giuliana Molteni

Contributor

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