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The Outsider - recensione

Ragione e irrazionalità.

Si dice il Male e si pensa a Stephen King, autore che dai suoi esordi nel 1974 con Carrie, non ha mai smesso di interrogarsi su cosa sia, dove nasca, come infetti qualcuno lasciando invece intatto qualcun altro, come e perché ogni tanto esploda in tanti tragici eventi. Evidentemente incredulo delle vette di malvagità che l'essere umano può a sorpresa raggiungere, delle efferatezze che può compiere, dei segreti orrendi che può nascondere, e poi tutti a stupirsi e a dire che il vicino di casa era tanto una brava persona, che mai si sarebbe detto. Perché It si aggira sempre fra di noi e si annida là dove sa che può attecchire. Molto più pratici, i cattolici hanno inventato Satana, che se ne va in giro a tentare le sue vittime ma dal quale ci si può salvare se muniti di adeguata fede.

Nel 2018 King ha scritto The Outsider, romanzo di 530 pagine, che è ora diventato una serie tv grazie a HBO, 10 episodi di un'ora circa ciascuno. Il romanzo è stato trasposto in immagini da Richard Price, un autore che negli anni '80/90 ha scritto alcuni thriller/noir di buon successo per poi dedicarsi alle serie tv, come co-autore nel caso di The Wire o The Deuce, o come creatore per NYC 22. Lo ricordiamo soprattutto per la splendida The Night of, scritta insieme a Steven Zaillian. I primi due episodi di The Outsider sono diretti da oltre che interpretati da Jason Bateman, mentre nel resto del cast troviamo Ben Mendelsohn, Cynthia Erivo, Bill Camp, Paddy Considine, Mare Winnigham, Julianne Nicholson, Yul Vazquez, tutte facce assai note e apprezzate.

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Siamo in Oklahoma, nella cittadina inventata di Flint, nome forse dato non a caso, perché nella reale Flint del Michigan le acque venivano avvelenate dal piombo a causa di banale disonestà, come narrava Michael Moore, prova anche questa della malvagità dell'essere umano e della possibilità di "infezione". Siamo nel solito tranquillo sobborgo, villette e vialetti che si dipanano intorno alla Main con botteghe e bar, scuole e campi sportivi, dove tutti conoscono tutti. Nei boschi al margine del paese viene ritrovato il corpo devastato di un piccino di sei anni, Ralph. L'inorridito capo della Polizia locale (Ben Mendelshon) si ritrova subito fra le mani un'incredibile quantità di prove di ogni genere, dalle testimonianze dirette a quelle del DNA, oltre ad una quantità impressionante di video di sorveglianza, come se il colpevole non si fosse minimamente preoccupato di coprire le proprie tracce, anzi. Ralph, già ferito dalla morte del proprio figlioletto avvenuta anni prima, si avventa su quello che sembra il colpevole e lo arresta platealmente. In un lampo l'esistenza di un'altra famiglia, dopo quella del piccino ammazzato, viene devastata.

Perché l'arrestato è una bravissima persona, ottimo marito, padre impeccabile, rispettato insegnante di lettere e stimato allenatore della squadra locale. E dopo il primo interrogatorio saltano fuori prove, altrettanto documentate, dell'impossibilità che l'arrestato sia il colpevole. Ma intanto il danno è stato fatto e innescherà una catena di eventi sempre più tragici. A quel punto Ralph e l'avvocato dell'imputato (Bill Camp) troveranno il modo di allearsi per indagare insieme. A far parte del gruppo di ricerca che si forma, entra così in campo un nuovo personaggio, la bizzarra investigatrice Holly Gibney (Cynthia Erivo), per la quale "l'Universo non ha confini", già incontrata nei romanzi della trilogia di Bill Hodges, Mr. Mercedes, Chi perde paga e Fine turno, in cui però era di pelle bianca (nella serie tv tratta dal primo romanzo era interpretata da Justin Lupe). La donna scopre connessioni inspiegabili con altri casi mai messi prima in relazione fra loro.

Emergerà così un disegno vasto, che si ramifica all'indietro e dilaga nel futuro fino a dimensioni impensabili. E sempre più inquietanti. Intanto la figlia più piccola dell'imputato ha minacciose visioni e nel paesino si aggira un uomo, con il volto coperto da un cappuccio, che rende indistinti i suoi lineamenti. In qualche modo, in qualche forma, non sarà che "l'uomo nero" esiste davvero? E cosa succede se non riusciamo a distinguere un demone da un umano, quali danni provocheremo? Fra dettagli da puro thriller e le solite amate digressioni nel sovrannaturale, la storia aggancia, coinvolge, incuriosisce, inquieta, complici le atmosfere di rara cupezza, incrementate da una colonna sonora splendida, che dei rumori fa musica e dalla musica trae puro angosciante suono, scritta da Danny Bensi (American Gods, Fear the Walking Dead) e Saunder Jurriaans, suo ex partner nel gruppo Priestbird, che già aveva composto insieme a lui la colonna sonora di Enemy, l'anomalo thriller di Denis Villenueve. Grandissima la prestazione del cast, che raggiunge i soliti inarrivabili livelli delle serie di qualità anglosassoni, che ormai sappiamo bene poter essere paragonate a veri e propri film, solo di maggiore durata.

Mentre cerchiamo di capire, di trovare ragionevoli moventi e concrete prove, meno crediamo nel Male e più possiamo esserne vittime. L'illusione che scienza e ragione possano se non sconfiggere, arrivare a individuare, spiegare e così poi evitare, è vana. E risibile è la fede totale nei confronti dei metodi della polizia scientifica, enfatizzati da tante narrazioni dei nostri giorni. The Outsider potrebbe soddisfare chi cercasse la soluzione da poliziesco tradizionale e chi invece fosse disposto ad abbandonarsi alle note suggestioni, usuali nelle opere di King. Ma entrambe le categorie di spettatori dovranno concordare sull'ottima narrazione fatta da questa serie tv, che rimarrà nel ricordo come uno splendido thriller venato di sovrannaturale, a ricordarci quello che diceva Amleto: "ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante tu ne possa sognare nella tua filosofia".