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Too Old To Die Young - recensione

Abbiamo visto tutta la serie di Amazon, ecco cosa ne pensiamo.

Con Too Old To Die Young Nicolas Winding Refn realizza una contaminazione fra serie tv e film con esiti su cui discutere.

Si dice Nicolas Winding Refn, e si pensa a The Pusher, Bleeder, Bronson, al culmine di Valhalla Rising, e più di recente a Drive, e poi Solo dio perdona e The Neon Demon.

Gli appassionati di film e serie tv dai palati forti hanno gusti diversi, chi predilige tradizionali storie di poliziotti corrotti al soldo di spietati criminali, mentre la Legge lotta vanamente contro di loro. Altri amano racconti sui feroci Narcos latini, categoria di leggendaria ferocia, o sui killer che scorrazzano indisturbati per le strade del Grande Paese facendo a pezzi innocenti a caso. Poi a mischiare le categorie sono arrivati prodotti anomali come True Detective, azione che attraversa diversi anni, atmosfere rarefatte e inquietanti intrecciate da considerazioni metafisiche su vita, morte, bene e male, con sprazzi di puro orrore. Oggi Refn, quarantottenne regista danese, forse per togliersi lo sfizio di tornare a fare qualcosa interamente a modo suo, ha ideato, insieme a Ed Brubaker (uno dell'Universo Marvel), una serie tv come Too Old To Die Young (distribuita coraggiosamente da Amazon), per permettersi di tornare in libertà a quella che è la sua "visione", del mondo, dell'arte, della vita forse, per mischiare, enfatizzare, personalizzare il genere.

Refn porta sul palcoscenico i suoi personaggi poco alla volta, per mostrare come sono, come si sono formati: un giovane poliziotto di pattuglia, che nasconde un cuore di tenebra e fa velocemente carriera nella Omicidi, nonostante sia coinvolto con un delinquente locale che gli commissiona degli assassini; la sua fidanzata minorenne di ottima famiglia, con padre miliardario (William Baldwin) di inquietante ambiguità; un giovane erede di famiglia narcotrafficante che deve trovare una sua strada, dopo la morte della madre, incestuosamente amata; un ex agente FBI terminale divenuto un Giustiziere (John Hawkes); una giovane collaboratrice del Procuratore, mistica a tempo perso (un'angelicata Jena Malone); una misteriosa ragazza messicana, strega e puttana, che ha l'Appeso dei tarocchi inciso sul calcio della sua pistola. Ma "le persone non sono come appaiono".

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Il fili narrativi di ciascuno vengono stesi, dipanati in direzioni diverse, e alla fine ricomposti, nello svolgimento dei 10 capitoli, ciascuno nominato come una figura dei tarocchi. I personaggi si muovono in un universo alieno, lungo strade desolate, nel vuoto di ogni regola sociale, sono solitudini incapsulate nel sangue da una violenza totale, pervasiva, che ci si trovi nelle ville dalle immense vetrate su cui si rispecchiano le mille luci della città lontana, nelle lussuose magioni dei trafficanti, posate come astronavi negli squallidi deserti circostanti o nei luoghi bui e nascosti dove si consumano atti innominabili. Pittorica la raffigurazione di una L. A. Noir che gioca con tutto un immaginario costruito attraverso infiniti film e altre serie tv, e le lande di un Messico molto western.

Miles Teller è stato scelto come protagonista, mai così in modalità Robert Mitchum, di stolida, voluta inespressività, ma al suo pari quanto a presenza sullo schermo è Augusto Aguilera, personaggio dalla forte evoluzione, che è Jesus, il rampollo dei Narcos, deviato dalla figura più sacra, una madre che non compare mai ma fa pensare a quella corrotta di Solo dio perdona. La sua enigmatica compagna è Cristina Rodlo. Dalla strana coppia Hawkes/Malone scaturisce il momento più puro, romantico e quasi commovente della barbarica avventura. Viscido e disgustoso William Baldwin, un happy few ossessionato dalla giovinezza.

Non è Philip Marlowe.

Ci sono molti modi di fare film e altrettanti di realizzare serie tv. Refn gira dieci film da più di un'ora ciascuno (quttro durano un'ora e mezza e l'ultimo trenta minuti) e chiama questo lavoro serie tv (arduo il famigerato binge watching con materiale di questo genere). Perché Too Old To Die Young non è mai abbastanza ansiogena e tesa da inchiodare allo schermo e le efferatezze più "gustose" (virgolettiamo apposta) e le scene di sesso più oséè arrivano a partire dall'ottavo capitolo. Dopo i primi episodi, che metteranno a dura prova lo spettatore più tradizionale (o meno accorto), sono più "facili" il quarto e il quinto (sulla caccia a una coppia di deviati fratelli pornografi), non per nulla scelti per essere mostrati in anteprima a Cannes durante il Festival del cinema. Sarebbe un peccato arrendersi prima della fine però, perché gli ultimi episodi sono i più gustosi, almeno se ci si aspetta sesso malato e violenza esagerata in chiave Refn, che finalmente arrivano. Ma un finale apertissimo (e frustrante) tronca bruscamente la narrazione, in attesa di una seconda stagione che però molto probabilmente non ci sarà.

Ad appassionare questo autore che in pochissimo tempo è passato dalla nicchia alla celebrità planetaria è sempre il tema della violenza, che Refn afferma essere ispiratrice per l'arte, mentre nella realtà è solo distruttrice. Mai infatti cercare una plausibilità sul versante crime, a Refn non interessa minimamente di indagini e Polizia vera (che tratta con feroce sarcasmo, dipingendo la Sezione Omicidi come un covo di fascisti imbecilli, razzisti, sessuomani e pure blasfemi). Qui si dispiega il manierismo stilistico del regista, che enfatizza, dilata, incrementa ogni sua "stilosità" precedente nel nome del dispiegamento totale del suo senso estetico, specie quello di Solo dio perdona e The Neon Demon: le lentissime carrellate in avanti o indietro, i dialoghi scarni, recitati con tono monocorde e a grande lentezza, con lunghe pause fra botta e risposta, un'incursione nell'esoterico. E la spettacolare cura nelle rese cromatiche, nelle tonalità acide dei colori, nei chiaroscuri da decifrare, tagliati da lame oblique di luce, nei fascinosi riflessi in cui perdersi, nelle inquadrature che spesso sembrano quadri di Hopper contaminati con l'iperrealismo (la fotografia è opera del grande Darius Khondji, spesso a fianco di Woody Allen, e di Diego Garcia).

La notte e la città.

Sovrasta una lentezza narrativa già definita "lynchana", anche se la lunghezza di certi primi piani quasi ricorda Sergio Leone, sorrette dalle musiche, splendide, di Cliff Martinez, a fianco di Refn dai tempi di Drive. Perché è chiaro che della trama, che in fondo ha pochi guizzi di originalità, a Refn importa poco (ha già avuto modo di dire che lo spettatore deve "farsi guidare dall'emozione più che dalla comprensione, e determinare quanto investire in base a cosa sta facendo della sua vita, da cosa è attratto, da come vuole passare il suo tempo"). Importa il mood, importa il come, importa la suggestione comunicare visivamente certe sensazioni invece che provocarle con la messa in scena fisica dell'azione (anche se talvolta l'eccesso melodrammatico o surreale può sfiorare il grottesco e, rischiosamente, il ridicolo). Conta insomma il viaggio più della meta. Senza queste particolarità autorali, Too Old sarebbe stata solo un'altra serie crime, molto noir certo, ma non memorabile. Ferocemente anti-Sistema, questo sì, e a sorpresa quasi "femminista".

Se già il suo cinema nella fase indipendente godeva nella messa in scena di storie minimali dilatate a raggiungere la durata canonica, dopo alcuni esperimenti più mainstream in cui non ha avuto evidentemente la stessa libertà d'azione, Refn ha scoperto la serialità televisiva, che concede maggiore libertà, dove finalmente espandere la sua visione estetica. E' stato un bene o gli ha nuociuto questa espansione senza freni? Come sempre è bello parlarne, rigorosamente dopo aver guardato e maturato un giudizio personale. Too Old To Die Young è un prodotto per appassionati alla poetica di questo regista, che lascerà sorpresa, perplessa o irritata quella parte del pubblico che non è avvezza allo stile di NWR, come con civettuolo narcisismo ama firmarsi Refn, giovin signore di borghese aspetto con il quale però, alla pari con Takashi Miike, non condivideremmo un letto, non si sa mai che idee gli potrebbero passare per la testa in una notte insonne.

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A proposito dell'autore

Giuliana Molteni

Contributor

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