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Vent'anni di Mega Drive

Lode a te, vecchia roccia.

Il Mega Drive ha compiuto 20 anni. La mitica console Sega debuttava infatti il 29 ottobre 1988 in Giappone, e qui su Eurogamer festeggeremo come si deve la gloriosa piattaforma con una serie di speciali previsti per la prossima settimana. Ed è proprio il caso di lanciarsi in un bel party commemorativo, visto che al lancio del MD nessuno si è lanciato in chissà quali celebrazioni.

Sapete com'è, nell'88 non è che ci fosse chissà poi quale spazio sul mercato per un nuovo hardware.

Il vecchio Master System non se l'era cavata poi tanto male in alcuni territori, sfortunatamente però non nelle zone "giuste": sia il Giappone che gli States erano infatti troppo innamorati del NES per considerare un'altra console. Sega si era così lanciata in una fiacca alleanza con Tonka per spingere il suo 8-bit verso un culto di nicchia, impilando nel frattempo console su console all'interno di depositi appositamente predisposti, senza peraltro nessuna idea di cosa farsene di preciso.

Fa parte di una tradizione anche sorprendentemente radicata il fatto che hardware tecnicamente superiori non riescano ad imporsi, e così il Master System è finito a far compagnia al Betamax e allo Stereo8. La memoria extra, i giochi in doppio formato, gli occhialini 3D -nulla di tutto questo poté qualcosa contro lo strapotere della Nintendo culture di quegli anni, radicata come non mai nel cuore dell'industria. Ma non è stata solo questione di sfortuna o di scelte di marketing errate: la realtà è che mentre Sega si disturbava a lanciare nel Vecchio Continente il Master System, una console assai più interessante era già più che in sviluppo -il MK1601. O Mega Drive, come forse la ricorderete meglio.

Il modello originale di Mega Drive, col suo chassis bombato, incarnava tutta la potenza dei 16-bit.

Una console ben conosciuta come un 16-bit, anche se la cosa equivale grossomodo a dire "una macchina con quattro ruote motrici", e di fatto non rivela nulla delle feature che distinguevano davvero l'hardware. E il Mega Drive era in effetti un 16-bit -basato sulla CPU Motorola 68000- anche se il suo performante cervello era sostenuto da un corpo ugualmente vigoroso. Il sound processing era gestito separatamente, riducendo così il carico sul processore in modo da permettergli di dedicarsi esclusivamente alla creazione di giochi di qualità paragonabile ai coin-op. La palette di 512 colori assicurava che i suoi titoli bucassero lo schermo come pochi altri, mentre un processore video dedicato visualizzava a schermo sprite enormi visti sino ad allora soltanto nelle sale-giochi.

Per quanto queste cifre fossero impressionanti sulla carta, Sega aveva già imparato a sue spese che le specifiche tecniche non potevano essere indicate sull'etichetta del prezzo o nella pubblicità. E così decise semplicemente di lasciar parlare una lunga serie di conversioni di giochi da sala lanciati sotto la bandiera del nuovo marchio. Le sale giochi stavano infatti vivendo un periodo di rinnovata popolarità, e benché Sega si stesse concentrando sul mercato delle home console, si era ritagliata una posizione di predominanza assoluta nelle arcades grazie ad alcuni incredibili prodotti. E la stragrande maggioranza di quei titoli erano basati sull'architettura del System 16, una piattaforma non a caso pressoché identica al Mega Drive.

Benché non fosse un titolo esattamente impeccabile, Altered Beast ebbe il merito di mostrare le capacità 'da sala' del Mega Drive.

E dunque Sega rimase senza dubbio sorpresa nel vedere l'accoglienza riservata dal mercato giapponese a questa incredibile rivoluzione nel mondo del gaming casalingo: il silenzio più assoluto. Il target di riferimento di Sega era infatti ancora alle prese con l'inarrestabile NES, e più che il Mega Drive nei sogni proibiti di quegli utenti c'era il PC Engine di NEC.

Con neanche mezzo milione di pezzi venduti durante il primo anno di vita, sembrava lecito pensare (come del resto avevano fatto i competitors..) che Sega avesse lanciato semplicemente un Master System potenziato, ugualmente destinato a finire nel dimenticatoio nel giro di qualche tempo. Ma a Sega restava ancora il mercato americano, settore che decise di gestire in maniera completamente diversa da quanto fatto col Master System. Niente più accordi con un costruttore di giocattoli stavolta, per vendere il suo 16-bit negli States Sega pensò di affidarsi ad Atari. E la relazione tra i due colossi sarebbe potuta essere anche davvero proficua per entrambe le compagnie, se soltanto Sega of America non avesse litigato con Jack Tramiel.

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Marco Mottura

Contributor

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