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Vent'anni di Persona 2: Innocent Sin - articolo

Un JRPG dalla mitologia ricca, controversa e… strisciante.

Persona 5 è stato un successo, la prova che un sistema di combattimento a turni può reggere il passare degli anni. Serve giusto un pizzico di ritmo e stile (e quanto stile!). Oggi festeggiamo uno dei primi passi di questo fortunato spin-off, tra i JRPG tolto il sostrato tecnico fatto di grinding, il dungeon-crawler in prima persona, la crudeltà del sistema di debolezze elementali e qualche capitolo particolarmente complicato, resta infatti una serie con un'identità fortissima, capace di spostarsi con una certa naturalezza tra Urban Fantasy in ambiente liceale, tecnologie moderne e horror folkloristico.

La possibilità di incontrare la Notte stessa, le forze primigenie e altre divinità onnipotenti nella vita di tutti i giorni, sono parte dell'appeal che tiene incollati a questa fetta di JRPG vecchio stile, di certo meno (molto meno) alla portata di tutti di un più amichevole Final Fantasy. Aggiungiamo poi, al fascino complessivo: la simbologia dei tarocchi, i protagonisti armati di katana e potenti magie d'ascendenza biblica (Megido ricorderà qualcosa a chi ha recentemente visto Good Omens), l'atmosfera di suspense che permea tutta l'avventura. E non è tutto....

Fiore all'occhiello è la possibilità di collezionare e combattere al fianco di creature antidiluviane, quando non proprio 'demoni interiori' - identificati col nome jungiano, appunto, di Persona. Il sistema di reclutamento si basa sulla negoziazione con gli spiriti, meccanica "core" del ceppo principale della saga, che i Persona dell'era Playstation 2 avevano sostituito con un semplice drop-rate, più veloce, meno snervante ma anche meno profondo. Certo è che gli appassionati hanno il proprio mostro preferito, alcuni dei quali ritornano episodio dopo episodio anche nella stessa veste estetica: è il caso del Cerbero, di Jack Frost e di Pixie.

Il cast di Innocent Sin ed Eternal Punishment.

Le Bizzarre Avventure di Jojo che incontra American Gods; Alice nel Paese delle Meraviglie che incontra Lovecraft e Dante. Una metamorfosi continua. La confezione, intorno alla struttura dell'opera di Kouji Okada, ispirata ai romanzi di Aya Nishitani, è vincente tanto per i nippofili che per chi ama scavare il fantasy mitologico. D'altro canto, in questi giochi è possibile incontrare l'invisibile A Bao A Qu descritto da Borges, o combattere (come in Shin Megami Tensei) un Thor armato di missili nucleari, scambiando intanto due chiacchiere col fantasma di qualche vecchio samurai...

Il ventaglio di possibilità è vario: mitologia greca, cinese, azteca, personaggi storici e letterari, in un mix di esoterismo ribollente. Una danza di nomi, di Avatar divini in guerra, di momenti kitsch o semplicemente orrorifici, con qualche grottesco innuendo sessuale, in una stroboscopia di pura follia. Dai cliché anime al thriller psicologico, dai templi buddhisti alle discoteche cittadine, in un labile confine tra ciò che è quotidiano e ciò che è terribile e segreto. Un continuo scambio di ruoli insomma: non a caso accennavamo a Persona 5, il cui protagonista è identificato come Joker. Persona 2, per contrasto, ha in Joker un temibile Trickster (un Loki delle arti oscure), e il primo degli antagonisti che incontreremo lungo la strada.

Un titolo ostico - se non proprio ostile - per gli standard odierni, anche se i giocatori retrò hanno sicuramente visto di peggio, almeno per quanto riguarda il tasso di incontri casuali, ridondanza, vicoli ciechi e farming. Tristemente note le trappole succhia-SP. Soffermarci su questi aspetti, sulle legnosità, non farebbe onore al titolo, oltre ad essere una discussione poco pratica: in occidente abbiamo avuto una versione più ricca e agevole, uscita per PSP nel 2011 (ora nello Store).

Ogni Persona ha punti di forza e debolezze. Impostazione rimasta quasi invariata fino ai titoli più recenti.

Grazie a Playstation Classic possiamo giocare soltanto la versione originale del seguito, Persona 2: Eternal Punishment. In sintesi, mettere le mani all'originale Innocent Sin, così come era, richiede un certo sforzo tanto economico che di traduzione. Meglio così in fondo: Revelations, cioè il primo Persona, era stato modificato con eccessiva dovizia pur di piacere al pubblico americano. I suoi protagonisti sono diventati quasi irriconoscibili, persino graficamente. Un dolore non solo per i puristi, ma per chiunque abbia un minimo di buon senso.

Persona 2 non è poi molto diverso dai "colleghi" dell'epoca. Dalle mappe tridimensionali in pixel art e ruotabili (come in Grandia o in Xenogears), al combattimento in fondo molto classico (attacchi e magie). La difficoltà rende più evidenti le pecche nella costruzione dei dungeon, questo è vero. Elemento caratterizzante dell'IP quindi? Arcana e mostri che modificano abilità e statistiche, dungeon labirintici e occultismo. Le - vere - marcie in più erano quindi trama e atmosfera.

Si comincia nella città maledetta di Sumaru, dove ogni rumor diventa realtà e viene, di conseguenza, sfruttata dai suoi cittadini. Tatsuya Suou e Lisa Silverman si trovano coinvolti nella lotta tra la loro scuola e l'istituto rivale, gremito dei teppisti guidati da Eikichi Mishina. A queste scaramucce sopra le righe (da film di Takashi Miike) si intreccia l'incontro con Joker, entità in qualche modo connessa ai protagonisti, e la storia s'infittisce con l'introduzione del culto del Circolo Mascherato (Masked Circle), che diffonde voci con l'intento di evocare esseri ben specifici.

Il Battle System nel complesso è molto classico.

Nessun calendario o Social Link, come nei sequel: il sistema di gioco non spinge sull'aspetto Social-Sim, ma forse proprio per questo la longevità risulta meno artefatta che in Persona 3 e 4, dove la routine giornaliera fatta di passeggiate, ramen sotto la pioggia e lavoretti pomeridiani, poteva creare un po' di ottundimento; una dilatazione del gameplay in forte contrasto con la delicatezza degli scontri con i Boss. Un errore banale poteva causare la morte di un party non ben equipaggiato, o di due/tre livelli più bassi del dovuto, colpevole magari di un'interazione sociale di troppo (o in meno) in fase preparatoria.

Feature sottovalutata, invece, la possibilità di controllare la turnazione dei personaggi (5 in party): un meccanismo simile a quanto visto in molti JRPG tattici oppure, per esempio, in Final Fantasy X. Qualcosa che si è perso nei sequel per favorire un più oculato approccio alle statistiche. Da citare anche la colonna sonora, un miscuglio di tracce pop e d'impronta sacrale, con l'immancabile tema della Velvet Room, la stanza in bilico con il subconscio. Presente inoltre un pezzo per pianoforte particolarmente amato dal pubblico giapponese: Gymnopédie n° 1 di Erik Satie.

Il finale è noto ai videogiocatori perché ha regalato un momento non solo di forte impatto, ma anche di una certa esagerazione: l'incontro con il boss finale, all'interno della nave aliena di Xibalba, giustifica nella sua follia una narrazione altrimenti molto schizofrenica, fondata sulla diffusione di leggende metropolitane e personaggi fin troppo avvezzi alle stranezze della propria città. Gli ingredienti con cui gioca la serie sono molteplici, e i pantheon da sfruttare a pieno sono ancora tanti.

Dal contrasto ai pattern cromatici, ogni scenario d'oltremondo è mistico al punto giusto.

Dopo quest'excursus l'invito è il solito: ripescare un Megami Tensei, nell'attesa di P5R e altre novità da parte di Atlus. Quale Persona ricordate con più piacere? Preferite l'impostazione più moderna o siete più legati alla controparte Shin Megami Tensei? Certo è che, smarrirsi nel Valhalla o nel Tartarus, è sempre un'esperienza magica. Mappa alla mano, carte disegnate accanto, fino al prossimo dungeon e alla prossima entità millenaria a sbarrarci il cammino.

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A proposito dell'autore
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Antonino Fiore

Contributor

Classe 1993, in squadra dal 2018. Ha scoperto i videogiochi con i floppy dell’Amiga e da allora vive, sbalzato temporalmente, una generazione indietro. Dalle avventure grafiche agli horror, è un accanito retrogamer e un vorace escapista. Con gli anni ha realizzato d’essere, più che altro, un semplice Homo Ludens. Megaman e Suikoden sono i suoi punti deboli.
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