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Diablo III: le Auction House

Analizziamo il primo mercato basato su soldi veri in un gioco.

C’è solo una cosa che fa innervosire le software house più della pirateria, ed è chiedere alla gente altri soldi oltre a quelli spesi per comprare il proprio gioco.

Questo perché nessuno vuole passare per il cattivone di turno che mette le mani nelle tasche dei poveri appassionati dopo averli già “costretti” a comprare il proprio titolo; i giocatori stessi, d’altro canto, vedono sempre meno di buon occhio il dover mettere mano alla carta di credito dopo averlo già fatto per l’acquisto iniziale.

Per questo quando Rob Pardo, vice presidente di Blizzard ha annunciato che in Diablo III si potranno usare soldi veri nell’auction house, non ho potuto fare a meno di applaudire per l’audacia della mossa, anche se sono quasi sicuro che qualcuno ci si rovinerà la vita.

L’uso di soldi veri per comprare oggetti in-game è una pratica vecchia quasi quanto il gioco online, che però da sempre deve convivere con una cattiva reputazione.

Se non volete usare lo Smart Search, potete filtrare i risultati in base a determinate statistiche.

Truffe, spam, raggiri, l’assurda idea che qualcuno spenda soldi per un oggetto che non esiste, e il fatto che dietro il mercato nero dei farmer cinesi si nascondano condizioni di lavoro degne di una galera romana, hanno da sempre caratterizzato il dibatto intorno all’argomento. Le cose però pare stiano per cambiare una volta per tutte, grazie alla grande voglia di Blizzard di fare sempre più soldi.

Diablo III sarà infatti il primo mercato di scambio basato su soldi reali e gestito da una grande compagnia di videogiochi. E questo è un evento storico ma anche molto controverso.

La reazione da parte del pubblico è stata abbastanza negativa. Come previsto i giocatori hanno accusato Blizzard di volerli spremere fino all’ultimo centesimo, introducendo in Diablo la cultura del “paga per vincere” e legittimando i farmer. Argomentazioni valide, senza dubbio, e Blizzard non ha fatto alcuna mossa per confutarle o respingerle al mittente. Piuttosto si è limitata a dire che l’auction house è coerente col game design di Diablo e col modo in cui venivano giocati i titoli precedenti.

Ma come sono arrivati a questa decisione? Come funziona? E, giusto per ipotesi, potrebbe rivelarsi una buona idea anche per tutti noi?

Dove nasce l’idea

Il sistema di gioco di Diablo è da sempre fortemente basato sul loot. Gli oggetti lasciati dai mostri sono tantissimi, generati casualmente, fortemente specializzati o legati a una determinata classe, e raramente sono usati come ricompensa per una quest specifica.

Inoltre, non si legano al personaggio una volta raccolti o equipaggiati, come accade in WoW. Ogni oggetto di Diablo può essere scambiato un numero infinito di volte.

Questo vuol dire che, ai livelli più alti, il miglioramento e la personalizzazione dell’equip sono pressoché illimitati, com’è illimitato il tempo che può essere dedicato alla ricerca dell’oggetto perfetto, senza che vi sia la certezza di trovarlo.

Queste condizioni costituiscono un ecosistema perfetto per la proliferazione di scambi tra le persone, ed è la naturale conseguenza di un gioco in cui non sei mai sicuro di avere l’oggetto migliore per la tua classe.

Tuttavia, fino a oggi non esisteva una funzione che gestisse questo scambio: i giocatori si dovevano incontrare in un punto qualunque della mappa, possibilmente una zona tranquilla, e lasciare gli oggetti per terra come due spacciatori in un vicolo.

Chiunque abbia usato questo sistema sa che truffe, imbrogli, fughe improvvise e altre “lamerate” erano all’ordine del giorno. Oltretutto l’economia del gioco era totalmente fuori controllo, e la gente era costretta a utilizzare metodi più o meno leciti per inviare il denaro, che sfociavano spesso in carte di credito clonate, furti d’identità, o di account, e altre amenità del genere, con i più furbi che sfruttavano il sistema come squali in un banco di tonni.

La situazione insomma non era assolutamente piacevole per i giocatori “onesti”, e per il reparto assistenza clienti della compagnia era come l’inferno sulla Terra.

Questo, secondo Pardo, ha fatto capire a Blizzard che Diablo III aveva bisogno di un sistema integrato di scambi, che prevedesse l’utilizzo di soldi veri. “Sono i giocatori a volerlo. È qualcosa che secondo noi la gente farà comunque. Quindi o gli forniamo uno strumento divertente, sicuro e spettacolare per farlo, o troveranno il modo di farlo altrove”.