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Voice of Cards The Isle Dragon Roars Recensione: Yoko Taro si prende una pausa

Un peculiare RPG “fatto” di carte.

Carte da gioco, l'essenza più pura del divertimento. Si dice siano nate attorno al decimo secolo, in Cina. Nintendo ha iniziato la sua storia producendo carte Hanafuda e i nostri nonni hanno forgiato i loro polmoni imprecando in fumose taverne mentre spaccavano tavoli dei bar con Kamehameha a forma di asso di denari.

Forse è proprio a questi romantici esempi che Yoko Taro stava pensando quando ha avuto l'idea di Voice of Cards: The Isle Dragon Roars, un titolo diverso dai suoi soliti, un ritorno alle radici del divertimento. Un gioco di ruolo in cui tutto è fatto di carte: personaggi: ambientazioni, magie, pozioni, negozi, foreste, dungeon... letteralmente TUTTO!

Per chi è cresciuto anche grazie alle risme di carta disegnate durante le avventure di D&D, ai Librogame di Lupo Solitario e alle partite a rubamazzo/scopa/briscola, Voice of Cards può rappresentare un nostalgico tuffo nel passato. La voce narrante che accoglie il giocatore non è un vero e proprio Dungeon Master ma ci va vicino. Il suo compito è raccontare una storia (molto molto MOLTO semplice se paragonata agli standard di Yoko Taro) trasformandola in una sorta di favola interattiva accompagnata da un eccellente contrappunto musicale.

Cover image for YouTube videoVoice of Cards: The Isle Dragon Roars | Launch Trailer

La colonna sonora è stata scritta da quel Keiichi Okabe che tra mille impegni scanditi dalle sette note affianca l'eccentrico game designer fin dai tempi di Drakengard 3 e Nier. Alternando pezzi trasognanti a melodie di stampo gitano/folcloristico, la soundtrack di The Isle Dragon Roars vi accompagnerà assestandosi tra le migliori (seppur ridotte) produzioni di Okabe.

Il character design (ovviamente bidimensionale) è invece opera di un'altra vecchia conoscenza, Kimihiko Fujisaka, che nei suoi credits personali può vantare titoli come il recente remake di Nier Replicant, l'intera serie Drakengard e il mai dimenticato The Last Story.

Le meccaniche di base sono quelle di un classicissimo RPG con missioni legate alla storia, side quest, negozi in cui rifornirsi di equipaggiamento e oggetti, passaggi di livello con conseguente aumento delle statistiche e combattimenti a turni duri e puri... insomma l'ABC del genere, solo che (lo ripetiamo ancora una volta) tutto viene portato avanti attraverso delle carte.

La narrazione in stile LibroGame (o GDR da tavolo se preferite) potrebbe far scendere la classica lacrimuccia a chi abbia superato gli “anta”.

Essendoci di mezzo Yoko Taro ovviamente ci si aspetta che da un momento all'altro salti fuori il guizzo, la sorpresa capace di portare il gameplay su terreni meno battuti. Stavolta invece questo non accade, non nel modo che speravamo almeno.

L'avventura infatti procede su binari piuttosto lineari nelle prime ore. Il protagonista è uno spaccone in cerca di denaro che viaggia per il mondo accompagnato da una strana bestia. Al loro fianco si unisce ben presto una tipetta scaltra dalla lingua lunga e i modi spicci, che fin da subito mette le cose in chiaro: "resto con voi finché mi conviene". I tre sono a caccia di draghi, anzi di un drago specifico portatore di morte e distruzione.

Di tanto in tanto le loro strade si incrociano con un trio di veri eroi (che conoscerete brevemente nel breve tutorial iniziale) che però di eroico sembrano avere ben poco. Un inversione di ruoli interessante che sembra sottendere a sviluppi quasi parodistici e chissà quali sviluppi... che invece non arrivano. La storia di fondo in effetti è a dir poco banale e una volta arrivati alla fine le sue tracce nella memoria diventano quasi subito impercettibili.

Le magie non sono legate al consumo dei classici MP ma di un numero di gemme che ne limita uso e potenza.

Per compiere la propria missione dovranno esplorare piccole cittadine (sempre fatte di carte), esplorare i territori esterni cercando indizi e ovviamente avventurarsi in tetre e maleodoranti caverne piene di insidie che si palesano sotto forma di... riuscite a indovinarlo? A quel punto la schermata cambia e mette di fronte al giocatore un desk sul quale vengono distribuite le carte (non lo avreste mai detto, vero?) del vostro party, dei nemici di turno e un bussolotto con delle gemme.

Queste sostituiscono gli MP per il lancio delle magie e insieme ai dadi che di tanto in tanto vengono lanciati a mo' di moltiplicatore sono l'unico oggetto non cartaceo in campo. Alla fine dello scontro una breve schermata riepiloga i punti esperienza ottenuti ed eventuali passaggi di livello.

Ok ma arriva? Il guizzo di Yoko finalmente arriva? No, purtroppo non arriva. Voice of Cards: The Isle Dragon Roars pur essendo un'esperienza piacevole e stilisticamente quasi impeccabile, non spicca mai il tanto atteso salto verso l'alto, anzi rimane ben ancorata agli stilemi del suo genere di appartenenza, sfrondandoli di qualsiasi velleità strategica e semplificando al massimo anche i combattimenti e la progressione dei protagonisti.

Alcuni occasionali eventi secondari contribuiscono ad alleviare la monotonia di un gameplay abbastanza ripetitivo. Si sente la mancanza dei guizzi di Yoko Taro.

A tal proposito, senza voler spoilerare nulla, nel corso del gioco altri personaggi si aggiungeranno al vostro gruppo ma la loro introduzione (un po' come l'intero comparto narrativo) sarà fin troppo affrettata per permettervi di affezionarvici. Uno di loro, l'ultimo ovviamente, arriverà addirittura a poco più di due ore dalla fine.

Saremo sinceri con voi: le circa dodici ore necessarie per portare a termine il gioco non volano via totalmente lisce dall'inizio alla fine. Il nostalgico e avventuroso viaggio viene spesso interrotto da una dose più che eccessiva di scontri casuali, chiamati Imboscate, che ogni 4/5 passi sul tavolo di gioco piombano sul giocatore come una fastidiosa e insistente zanzara. Non c'è modo di evitarli e pur essendo tradizionalmente utili per livellare il party, alla lunga tendono a frammentare eccessivamente il già non velocissimo ritmo di gioco.

Delusione totale, quindi? Non esattamente. Molto dipende da cosa vi aspettate da un titolo del genere. Se vi avvicinate ad esso con la pretesa di incappare in chissà quali sorprese, l'amaro in bocca finale sarà inevitabile. Se invece cercate un RPG gradevole, vissuto in modo diverso dal solito, senza troppi fronzoli e con una durata abbordabile anche per chi ha una vita sociale, allora Voice of Cards si trasformerà in un piccolo (piccolo!) gioiellino.

7 / 10

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Voice of Cards: The Isle Dragon Roars

PS4, PC, Nintendo Switch

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Daniele Cucchiarelli

Contributor

Lavora nel giornalismo videoludico da oltre 20 anni. Anche se tutti quelli che lo conoscono gli hanno consigliato di "trovarsi un lavoro serio", resta sempre fedele al suo primo amore.

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