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Dream: disagio giovanile in salsa onirica - recensione

Un incubo lungo una vita.

Siamo in un'epoca in cui i videogiochi vengono realizzati quasi esclusivamente da due categorie di sviluppatori: team enormi, spesso composti da centinaia di persone, o piccoli gruppi di talentuosi appassionati che nel salotto di casa o in uffici di pochi metri quadrati danno vita ai loro sogni gettando anima e cuore nel progetto.

Come il titolo stesso suggerisce, Dream è nato dalla fantasia e l'abilità di sole tre persone, tre volenterosi sviluppatori inglesi che hanno ora avuto l'onore di veder pubblicata la loro fatica su Steam e Good Old Games. Trattasi di un'avventura in prima persona, una di quelle esplorative e psicologiche che rientrano più o meno nella stessa categoria dell'immortale Myst o del più recente Ether One.

Come spesso accade in questo genere di giochi, si inizia in un luogo praticamente sconosciuto, in questo caso un appartamento grande e totalmente deserto. Nessun indizio su cosa si debba fare, solo una parvenza di mal di testa per qualcosa che è accaduto poche ore prima. Già in queste prime fasi il gioco mostra un discreto livello di dettaglio e una pulizia grafica degna di nota, ma al tempo stesso anche le prime incertezze del motore grafico.

I movimenti del protagonista nel mondo onirico sono leggermente più veloci rispetto a quando si trova nel mondo reale.

Con "tutti" gli effetti attivati e una risoluzione non certo mostruosa, 1366x768, il gioco scatta in maniera fin troppo evidente. Il problema è risolvibile eliminando dal paccheto il motion blur, ma la situazione non è incoraggiante contando che ho effettuato la prova su un Lenovo i7@2 GHZ con 8GB di RAM e scheda video da 2GB... non certo lo stato dell'arte ma neanche una carriola.

Altra cosa che mi ha infastidito fin dall'inizio è la mancanza di un puntatore fisso al centro dello schermo, che consenta in qualsiasi momento di capire con esattezza dove sta "puntando" lo sguardo. In altri giochi tale mancanza può anche passare inosservata, ma in un titolo che fa dell'esplorazione la sua bandiera non è cosa da poco.

Detto questo, quando la situazione si è stabilizzata e ho iniziato a fare l'abitudine alle mancanze di cui sopra, devo ammettere che l'atmosfera di Dream mi ha catturato e non poco. La premessa è a dir poco affascinante: fare un bel giro all'interno della mente di tale Howard Phillips, uno studente a cui la morte dello zio deve aver provocato un bello shock a giudicare da quello che vi troverete di fronte esplorando il suo inconscio.

La sua vita è ora vuota, come la grande casa in cui si trova all'inizio del gioco. Il silenzio è il suo unico compagno e anche la soffitta è deserta, fatta eccezione per un paio di scatoloni che contengono vecchie decorazioni di Halloween e Natale.

Terminata la premessa iniziale ci si ritrova in un trip a dir poco surreale, fatto di sogni interconnessi tra loro e pieni di sorprese. Le fasi di veglia vengono intervallate da quelle dedicate al sonno... e ai sogni. Sono proprio queste fasi a rappresentare il pregio più grande del gioco, che incita costantemente il giocatore a esplorare la mente del giovane ospite.

La colonna sonora di Dream è avara di pezzi, ma quelli inseriti nel gameplay sono assolutamente efficaci nel sottolinearne le atmosfere.

Uno scenario asettico e vagamente inquietante funge da hub centrale per il mondo onirico, che si divide in semplici sogni e, ovviamente, incubi. Molto poco viene detto o fatto vedere, mentre molto altro si nasconde dietro ciò che è palese allo sguardo.

In un certo senso, prendete con le pinze quello che sto per scrivere, alcuni passaggi di Dream mi hanno fatto pensare a P.T.. Intendiamoci, dietro non c'è il senso di angoscia e le malate invenzioni del duo Kojima/Del Toro, ma la sensazione di trovarsi in luoghi assolutamente "strani" e pieni di "qualcosa" che non si riesce a percepire subito, fa sì che il cuore del giocatore sia sempre sospeso tra la tachicardia e la sospensione dei battiti.

Man mano che si gioca, tutto sembra essere stato messo insieme senza alcuna logica, quasi unicamente per mettere il giocatore di fronte a scenari che sembrano partoriti da una notte pesantemente alcolica. Così non è, semplicemente la struttura del gioco consente al giocatore una discreta libertà di scelta e la sequenza con cui vengono vissuti i sogni influisce sia sullo svolgimento dell'avventura che sul suo finale.

Ogni sogno offre un'ambientazione differente, alcuni sembrano usciti da un quadro di Escher mentre altri hanno un aspetto più bucolico ma non per questo meno angosciante. Sensazioni oniriche a parte, il titolo di HyperSloth si gioca in tutto e per tutto come una classica avventura in soggettiva, con una forte propensione verso enigmi e puzzle.

Nel gioco vi sono oggetti da cercare e altri con cui interagire, il tutto senza il minimo aiuto da parte di una qualsiasi voce fuori campo o sistema di suggerimenti che spesso fanno capolino in questi titoli in caso di necessità. Se questa scelta da una parte farà felici gli amanti delle avventure dure e pure, dall'altra potrebbe allontanare quei giocatori non dotati di particolare pazienza.

La modellazione poligonale del protagonista e di alcune ambientazioni non sono all'altezza di altri prodotti del genere.

Va detto che gli enigmi proposti non sono mai così ostici da rasentare la perfidia e che alcuni di essi meritano indubbiamente qualche applauso per l'originalità e la perfetta integrazione nelle atmosfere del gioco. Quasi mai si viene a contatto con qualcosa o con eventi che possano distogliere dall'apparenza onirica del gioco, e questo è un risultato non da poco vista la discreta originalità del tema trattato.

Se solo il team di sviluppo avesse prestato un po' più di cura alla realizzazione tecnica e avesse smussato alcuni aspetti un po' troppo grezzi del gioco, leggi "sistema di controllo a volte impreciso", a questo punto avremmo di fronte un gioco in grado di rivaleggiare con i migliori esponenti del genere.

Luci ed ombre quindi, alcune delle quali posso essere facilmente aggiustate con una patch, che ci auguriamo arrivi presto. Nonostante tutto però, Dream è un viaggio che merita di essere intrapreso, un trip non lineare che vi rimarrà impresso per un bel po' e che vi regalerà momenti di rara potenza narrativa.

7 / 10