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The Last Oricru, la recensione

Un soulslike con una narrativa in stile BioWare?

Su queste pagine capita spesso di toccare con mano diverse opere prime, lavori di team alle prime armi che sognano di sbarcare il lunario, muovendo i primi passi in un mercato che a volte sa essere davvero crudele. Qualche volta ci si trova davanti a un titolo semplice ma con buone idee, altre con qualcosa in grado di dire la sua dando lezioni a team più blasonati, altre volte con titoli dall'aspetto ambizioso e nulla più.

The Last Oricru rientra in quest'ultima branca, un titolo che cerca di unire meccaniche soulslike con una struttura narrativa stile BioWare, con diverse ramificazioni dettate dalle scelte del giocatore. Sulla carta, funziona, anche grazie a un comparto artistico che cerca di mettere assieme fantasy e sci-fi, creando un contrasto in certe situazioni quasi interessante.Tuttavia, l'ambizione può trasformarsi molto rapidamente in presunzione e a tratti, The Last Oricru, lo mostra pienamente.

Ambientato nel mondo di Wardenia, impersoniamo Silver, un umano dotato di una capacità particolare: non può morire. Schiantatosi su questo pianeta alieno con il resto dell'equipaggio, il protagonista sarà chiamato a risolvere lotte intestine per il controllo di Wardenia, cercando in tutti i modi di ritornare alla sua nave e tornare a casa.

Scontro impari, non per colpa nostra.

In questo incipit possiamo già trovare qualcosa di interessante, con l'essere umano visto come alieno ma anche come messia o prescelto in base alle leggende e ai miti che hanno plasmato i due popoli protagonisti, Naboru e Ratkin, con i primi dominatori e tradizionalisti, e gli altri assoggettati e in cerca della libertà. In un sistema che non prevede scelte a là Mass Effect come Eroe e Rinnegato, tutto si basa su una scala di grigi che dovrebbe portare il giocatore a ragionare e comprendere bene i desideri e le paure dei nostri interlocutori, con alle spalle una terza fazione che muove silenziosamente i fili delle vicende.

Partiamo da uno dei pochi punti positivi, se non l'unico: le scelte effettivamente influenzano il mondo di gioco, al punto di cambiare i connotati di una partita. Schierarsi con i Naboru o con i Ratkin, infatti, cambia decisamente l'approccio alle partite, con alcune boss fight sostituite o assenti o zone inaccessibili che si trasformano in punti strategici. Da questo punto di vista, dunque, rigiocare The Last Oricru (purtroppo non è presente new game +) porta qualcosa di nuovo, esplorando magari equipaggiamento diverso e relazioni con i diversi personaggi.

Tuttavia lo stile di narrazione adottato e qualche strafalcione di troppo minano pesantemente l'esperienza, a cominciare appunto dalla caratterizzazione di Silver. Il protagonista infatti è irriverente, sarcastico e non particolarmente coinvolto nello scontro sanguinario tra le diverse fazioni. Attraverso una sovralettura, sembra quasi che Silver sappia di essere all'interno di un videogioco e che nulla di quello che sta vivendo sia reale. Ma è una sovrelettura appunto, con il suo modo di essere probabilmente dato dalla consapevolezza dell'impossibilità di morire.

Qualche volta riesce a strappare anche una risata, prendendo quasi in giro tutti gli stereotipi utilizzati in opere simili ma purtroppo manca un contraltare, una parte di lui in grado di contrastare un mood che mal si sposa con alcune tragedie che avvengono all'interno dell'avventura, come se ci trovassimo in qualche film del Marvel Cinematic Universe in cui un momento di forte impatto emotivo viene seguito a ruota da una battutina puerile e fine a sé stessa.

La Regina Naboru, importante per la narrazione, sulla carta...

The Last Oricru può essere riassunto un po' così ed è davvero un'occasione persa: pensando a Rick Sanchez di Rick and Morty, se solo si fosse spinto di più verso quella direzione probabilmente le valutazioni sulla narrativa presentata da GoldKnights sarebbero state meno caustiche, trovandoci purtroppo in qualcosa che non è né carne, né pesce. In poche parole, se al protagonista non importa nulla di ciò che accade, perché dovremmo preoccuparcene noi!?

Tutto passa facilmente in secondo piano, nonostante siano presenti correnti di pensiero diverse all'interno delle fazioni stesse, cosa che dovrebbe portarci a dubitare costantemente delle nostre azioni ma, come detto, il mood scelto rende difficile empatizzare con chiunque, anche per via di alcuni dialoghi scritti in modo frettoloso e molto spesso sconclusionati. E non abbiamo parlato della parte peggiore.

Per qualche strana ragione, sembra che il gioco stesso non tenga conto delle scelte già effettuate, portando situazioni al limite dell'ilarità, con personaggi capaci di richiedere azioni che però abbiamo già intrapreso da un pezzo, rimanendo in un limbo dalla quale è impossibile uscire. Questo si sposa anche con i finali, che spesso avvengono per caso, totalmente slegati da quanto abbiamo realmente fatto.

Ma almeno si gioca bene? Come detto, si è cercato di mettere assieme una narrativa a là BioWare con dinamiche da soulslike e ovviamente, anche qui abbiamo diversi problemi. Primo fra tutti, l'input lag, qualcosa che difficilmente è possibile riscontrare in altri titoli, almeno in questa forma. Capita infatti, che semplicemente il comando selezionato non entri e questo lo si nota soprattutto con lo scudo.

L'arma a due mani mitiga i problemi del combat system.

Gli attacchi nemici avvengono attraverso combo abbastanza leggibili ma alcune di queste possono avvenire in rapida successione, come un contrattacco che parte improvvisamente, mozzando l'animazione. Sembra esserci una barra invisibile che, una volta riempita, porta il nemico a eseguire un colpo diretto ma di difficile lettura ma che, se si è abbastanza rapidi, è possibile parare. Questo nel mondo ideale ma in The Last Oricru, molto spesso non accade nulla, nonostante abbiate intuito questo attacco, e tutti gli altri.

Capita infatti di essere colpiti senza che sia colpa nostra, semplicemente perché il comando non viene letto, cosa che avviene anche con la schivata e, ovviamente, anche con la mano che impugna l'arma. Fortunatamente non ci troviamo di fronte a Bayonetta ma nonostante la lentezza generale del gameplay e le animazioni ingessate, la corrispondenza tra azione rilevata, input di risposta e risultato su schermo si discosta molto dai risultati sperati. Certo, possiamo cambiare approccio e utilizzare un'arma a due mani ma il risultato finale non cambia: causa feedback audio non eccelsi, un tracking eccessivo di molti dei colpi nemici e un moveset non particolarmente profondo, essere appagati dagli scontri offerti da The Last Oricru è davvero difficile.

Il peggio avviene quando ci si ritrova ad affrontare più nemici contemporaneamente, cosa a cui il gioco non è minimamente pronto. Le diverse armi e armature presenti (un discreto numero), permettono per lo meno di configurare un Silver in base al proprio stile, tra attacchi all'arma bianca o attacchi dalla distanza a suon di magie, con mana incapace di ricaricarsi e che andrà estratto dai nemici attraverso un particolare aggeggio. In tutto quanto vige una cappa di mediocrità, dovuta certamente al fatto che la complessità presente in questo tipo di titoli non è affrontabile da un team alle prime armi e con risorse limitate.

L'ambizione sembra aver offuscato la percezione delle reali possibilità della software house ceca, portando a conti fatti un prodotto con grossi problemi in ogni sua parte. La struttura comunque è la medesima di ogni RPG, con punti esperienza accumulabili e distribuiti in forza, destrezza, vigore e così via, con armi e armature utilizzabili solo con certe caratteristiche. Qui entrano in scena gli Anelli, in grado di spostare letteralmente punti da una caratteristica a un'altra, cambiando build in tempo reale in base alle esigenze.

Ci prova a fare qualcosa di interessante, The Last Oricru...

Alcuni di questi offrono alcuni vantaggi, come ad esempio velocizzare l'attacco del 5%, che a un certo punto rompe il gioco. Per qualche strano motivo, infatti, gli attacchi verranno accelerati al punto da non permettere ai nemici di colpire, storditi continuamente dai nostri colpi. Insomma, sembra sia mancato un reale controllo qualità prima della release finale.

Arriviamo infatti anche al comparto tecnico, difficilmente valutabile nel 2022. Ricordando che The Last Oricru è disponibile anche su PlayStation 5 e Xbox Series X|S, ci si ritrova davanti a un revival dei fasti di PlayStation 3 e Xbox 360, con ambienti davvero poveri di dettagli e che non colpiscono nemmeno da un punto di vista artistico. Nemmeno l'idea di unire fantasy e sci-fi funziona pienamente, con la “tecnologia” che fatica a uscir fuori da ambienti decisamente classici e senza guizzi particolari.

Manca quello scontro e discrasia visiva che avrebbe reso questo titolo interessante almeno dal punto di vista visivo, finendo anche in questo caso, nella mediocrità. Nonostante la povertà tecnica di The Last Oricru, vanno segnalati anche diversi problemi nel frame rate, stuttering, caricamento biblico delle texture e diversi glitch grafici e all'intelligenza artificiale in grado di compromettere la partita.

C'è però una cosa che rende The Last Oricru in parte speciale: la co-op. È possibile, infatti, affrontare l'intero gioco assieme un altro giocatore che però non potrà interagire con gli NPC e portare avanti la storia, ma potrà ottenere gli stessi punti esperienza del giocatore principale, ridistribuendoli a piacimento. La co-op è disponibile anche offline in split-screen e questa forse è l'unica chicca presente nel titolo. Purtroppo, tutti i problemi citati finora rimangono inalterati ma è interessante l'approccio in questo caso, con ad esempio alcuni incantesimi funzionanti solo con un altro giocatore. Nonostante le buone idee in quest'ambito però, è un po' poco per risollevare la situazione.

Questo frame rispecchia la velocità degli scontri.

The Last Oricru è a conti fatti un titolo a cui si fa davvero fatica a dare la sufficienza, un lavoro a tratti scarso risollevato da piccoli barlumi di speranza dovuti allo stile adottato, sia nella narrativa, sia nel comparto artistico. Tutto è pervaso dalla mediocrità ed è davvero un peccato: se solo si fosse scelto un approccio più cauto, con un titolo meno complesso e più armonioso, staremmo parlando sicuramente d'altro.

Icaro ci ha lasciato le penne, quella volta; GoldKnights ha altre chance per risollevarsi, sperando che queste critiche servano da lezione.