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King of Stonks, la Recensione

Come rubare e non vivere felici.

Da quando Netflix è entrata nelle nostre vite, abbiamo avuto occasione di vedere e apprezzare anche serie di tv di nazionalità diverse da quelle canoniche americane/inglesi.

Abbiamo così visto una maggiore quantità di serie tv francesi e anche italiane e poi serie spagnole, sudamericane, coreane, dell’Est Europa, dei Paesi bassi e del Nord Europa, perfino sudafricane. Poche le produzioni tedesche, anche se fra quelle più recenti vanno annoverati due prodotti di successo come Unorthodox e Dark.

Da oggi è visibile King of Stonks, produzione germanica, ispirata a fatti veri nel mondo della finanza, uno dei luoghi dove abbondano narcisisti e megalomani dalla doppia morale. Il capitalismo è così, fotti per non essere fottuto, ma basta un attimo per schiantarsi. E più in alto eri, più ti farai male. Così esordisce la serie tv, storia vera di un famoso scandalo tedesco costato miliardi di euro a privati e Stato.

La ciurma che aspetta il trionfo del capitano

Nella Cablecash, azienda tecno finanziaria che possiede una tecnologia “rivoluzionaria” che riguarda i pagamenti online, tutti vogliono arrivare al top. Il giovane Felix Armand, vice presidente per la tecnologia, vero genio informatico e abilissimo nella comunicazione, vorrebbe diventare CEO alla pari del suo socio dei primi tempi, Magnus Kramer, che gli deve tutto, incapace tecnicamente ma bravo a vendersi al pubblico.

La società sta per essere quotata in borsa, fra ostilità varie di diversi concorrenti invidiosi. Ma alcuni ostacoli si presentano subito: il pericoloso egocentrismo di Magnus, un megalomane con fisse esoteriche, che mira a diventare un nuovo Elon, e la presenza fra i loro clienti di personaggi discutibili (casino online, una famiglia mafiosa di origine italiana e due fratelli re del porno), che usano il sistema per riciclare soldi sporchi. E si sa che già gli antichi romani dicevano che pecunia non olet.

Stretto fra la crescente follia del suo capo, i guai con la Legge, le minacce dei poco raccomandabili clienti, Felix, vera mente pensante dietro tutta l’operazione, si arrampicherà su tutti gli specchi possibili e anche impossibili per sostenere l’operazione, per rimediare agli errori, per ammortizzare le conseguenze delle gaffes terribili (anche al forum di Ginevra) del suo boss, in un incalzare tragicomico.

L’esaltazione collettiva sui fasulli successi

Raccontato con ritmo e humor, King of Stonks ricorda alcune altre serie tv che abbiamo visto negli ultimi tempi, più noti gli scandali e più famosi gli attori chiamati a interpretare i protagonisti. Ciò non deve togliere a King of Stonks un suo motivo di interesse, perché mette in scena una volta di più e spiritosamente, la follia che si impadronisce degli esseri umani, a qualunque livello, quando arrivano i soldi, tanti, tantissimi, che portano a eccessi che a vederli dal di fuori sono ridicoli, paradossali. Ma davvero ci si può ammazzare di lavoro, sottoponendosi a carichi di stress da avvelenamento del sangue per simili pacchiane esibizioni di potere, per le ridicole sfide testosteroniche fra colleghi (in generale l’atmosfera di questi luoghi di lavoro è molto sessista)?

A vedere film come The Wolf of Wall Street sì, film cui King of Stonk allude in alcune scene, così come altre ricordano WeCrashed (il risveglio dopo il party selvaggio in piscina, l’atmosfera da festa perenne nell’ufficio). Anche la megalomania del CEO Magnus Kramer rimanda a WeCrashed ma pure a The Dropout. E ci sono echi dei tanti osannati tycoon veri e delle loro trionfali presentazioni a platee di fan ululanti il loro amore verso il genio che si pavoneggia sul palcoscenico, sparando dati a caso, perché spesso le truffe sono congegnate come strutture su cui è davvero difficile indagare. Quanto al titolo della serie, stonks è la distorsione della parola inglese stocks, che vuol dire “azioni”, ed è un meme che rappresenta un manichino con un’espressione felice o arrabbiata a seconda dell’andamento di un grafico dietro di lui.

Ottimi i due protagonisti, Thomas Schubert, ragazzone leggermente sovrappeso, biondo con gli occhioni azzurri, è il genio che aveva inventato il software sfruttato per scalare il successo dal suo capo. Che è Magnus Kramer, uno che scambia il successo aziendale con il numero di followers su twitter, di cui Matthias Brandt dà un quadro grottesco, un cafone sfrenato che ride grufolando come un maiale, che prenderà in giro Felix per anni, sfruttandolo e umiliandolo, senza mai dargli la carica che meritava, rendendolo solo complice nella truffaldina scalata al successo della società. Lui stesso di rivalsa aveva tanta voglia, per anni tenuto ai margini dagli altezzosi esponenti della sacra elite storica del paese, che di scheletri negli armadi ne avevano pure loro, e tanti.

Il Grande Capo e il suo assistente/succube

Del resto Felix aveva problemi di approvazione da parte della figura paterna e viveva l’azienda come una vera famiglia. Come sempre è dove c’è del sentimento che si aprono le prime crepe e là farà leva anche la poco simpatica Ariane (l’attrice Larissa Sirah Herden), speculatrice specializzata in vendite allo scoperto, quelle dove vince chi ha scommesso su chi perde, che sfrutterà qualche imperdonabile ingenuità del ragazzo.

Valgono sempre i versi della canzoncina degli anni ’60: “Soldi, soldi, soldi, tanti soldi, beati siano soldi perché chi ha tanti soldi vive come un pascià e a piedi caldi se ne sta”.