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The Lego Movie 2: una nuova avventura - recensione

Costruite, demolite: qualcosa resterà.

Nuove emozionanti avventure attendono Emmet, il mite omino qualunque, il cittadino modello convinto che, adeguandosi passo passo alle direttive del Sistema, conseguirà la sua felicità ricambiato con una benevolenza direttamente proporzionale al suo impegno.

Ma il suo prossimo reagisce con altrettanto entusiasmo sincero? O non sarà che a essere troppo buoni ci si rimette e si passa per essere un po' tonti?

Lo ritroviamo con precisione alla fine del film del 2014, quando nella cantina in cui si era consumato il confronto generazionale fra un padre e un figlio, faceva il suo ingresso la sorellina minore, con tutto il suo mondo alieno. Che era così tenero e pacioccoso da risultare subito inquietante per il manipolo di duri avventurieri, che avevano lottato contro il rischio di perdere la libertà di assemblarsi come e quando volevano, bloccati dalla mortifera colla acrilica.

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Emmet è sempre il più disponibile, quello privo di preconcetti, in buona fede sempre, e che pertanto crede in quella dei suoi avversari. Per questo però i suoi seguaci lo sbeffeggiano e non lo giudicano un buon leader. Questa volta il rischio è di farsi fagocitare da un mondo cui i suoi amici non si sentono di appartenere, tutto troppo sorridente, facile, colorato, musicale... Da qualche parte ci dev'essere il trucco!

La prima ambientazione è in stile Mad Max e già questo trasmette la genialità dei creatori. Un mondo post-apocalittico color sabbia, con costruzioni semi-distrutte e mezzi meccanici con fantasiosissime strutture, duro e ostile nel quale si sono dovuti ambientare tutti i personaggi dell'episodio precedente. Che sono ancora l'amata ragazza molto dark Lucy, il solito cupissimo Batman, granitico eroe, solitario perché totalmente ego-riferito, e poi Benny l'omino astronauta anni '60, il Pirata Metal Beard e il gattino Unikitty.

Ma non mancano tanti altri personaggi mutuati da altre saghe (ci sono anche i velociraptor e i Vampiri "ammaliatori"). I nostri sono sotto costante minaccia dei distruttivi Lego Duplo, invasori da un altro spazio che compiono raid devastanti e che hanno tolto di mezzo anche i veri eroi quali Superman, Wonder Woman, Aquaman (e pure il più sfigato di tutti, Lanterna verde, mai abbastanza sbeffeggiato).

Eroi variamente assortiti...

Un misterioso militare alieno, il Generale Sconquasso, rapisce pure gli amici di Emmet per consegnarli alla Regina Wello Ke-Voglio, capo assoluto del Sistema Sorellare, che li condizionerà mentalmente. Si rischia l'Ar-mamma-geddon (sì, avete letto bene). Emmet parte in loro soccorso e trova insperato sostegno in un misterioso personaggio, Rex Rischianto, macho e decisionista quanto Emmet è incerto e dubbioso.

Rex sa sempre quale sia la decisione giusta da prendere, senza tentennamenti; Emmet dubita, non è vile, è solo troppo conscio dei propri limiti. Insieme sembrerebbero fare la coppia perfetta. Ma come in Toy Story siamo nella cameretta dei bambini, anche qui ci ritroviamo pur sempre nella cantina della famigliola umana, che con i suoi difficili equilibri interferisce, come un dio capriccioso, con i destini dei nostri minuscoli eroi. E nello spazio sotto l'asciugatrice si può essere inghiottiti dal Nulla più terribile.

Al lavoro troviamo il gran cast di voci originali: Chris Pratt presta la sua voce a Emmet e a Rex, Elizabeth Banks fa Lucy, e perfino in ruoli marginali ci sono attori come Ralph Fiennes e Bruce Willis, anche se per poche battute. Nella versione doppiata però ci sono al lavoro seri professionisti e il risultato è positivo. Claudio Santamaria poi è sempre riconoscibile e auto-ironico nel suo Batman (in originale è doppiato da Will Arnett).

Il glitter fa sempre chic e non impegna!

The Lego Movie 2, diretto da Mike Mitchell (uno Shrek, un Alvin Superstar, Trolls), se ha un difetto è di essere un poco troppo lungo, con una quantità di scontri e battaglie che fanno risaltare la bravura degli addetti agli effetti speciali e la genialità di chi ha ridotto ogni elemento della storia, oltre ai personaggi, in mattoncino.

In compenso mette in scena tanti personaggi, tante gag, tante citazioni, con il ritmo che era lecito aspettarsi da Phil Lord e Chris Miller, sceneggiatori e produttori, già autori di prodotti originali come Piovono polpette e 22 Jump Street, oltre che di Lego Movie 1 e dello splendido Spider-Man: un nuovo universo. Gente capace già cinque anni fa di costruire un personaggio profetico come Mister Business, un despota con un'improbabile capigliatura rossiccia e una sospetta passione per i muri.

Come nell'episodio precedente si inneggiava a una sorta di rinnovata "immaginazione al potere", dove la colla che bloccava i mattoncini era sinonimo di irrigidimento e morte, qui il discorso si fa ancora un po' più profondo. Cresciamo e aggiungiamo costantemente mattoncini alla nostra personalità ("another brick in the wall...") e creiamo edifici che potrebbero essere bellissimi, aerei e lucenti.

Un'eroica Lucy/Furiosa.

Ma nel corso della costruzione impercettibilmente ma costantemente mutiamo, per piacere di più, per adattarci alle aspettative degli altri, e permettiamo alla parte peggiore di noi di prendere il sopravvento. E così cominciamo a costruire buie stamberghe invece che eleganti palazzi. E diventiamo miopi e sordi e non vediamo bene il mondo intorno a noi, fraintendiamo, distorciamo i messaggi che ci arrivano e vediamo minacce dove ci sono promesse sorridenti, e nemici dove potremmo trovare amici (ogni tanto ci chiediamo in effetti se davvero il mondo sia così orribile come sembra dai social).

Tutto questo discorso d'indubbio spessore emerge nel finale di un film giocattoloso, colorato, buffo e tenero, coloratissimo e assolutamente spettacolare dal lato visivo, con un eccezionale mix di CG che sembra stop motion (tecnicamente il film è di assoluta perfezione, grazie all'accuratezza con cui si rispetta la costituzione "a mattoncini" di personaggi, oggetti e scenari, anche fumo, acqua, erba, sabbia, terra).

Va dato atto all'azienda che dalla fine degli anni '40 produce i mattoncini a incastro ideati dal danese Ole Kirk Christiansen, di essersi rinnovata totalmente, dagli anni '70 in poi, facendo sì che piccoli pezzetti di plastica, in origine solo a forma di blocchetti sovrapponibili, riescano oggi una volta assemblati a riprodurre ogni forma possibile (come molte esposizioni ci hanno mostrato), anche arrotondata, diventando non solo costruzioni dalle geometrie squadrate, ma oggetti di ogni genere, prodotti della fantasia, personaggi umani e animali.

Oltre ai più piccini, sicuro mercato per il film e le confezioni regalo, la storia si rivolge al cuore dei genitori progressisti degli anni '60/70 e a più di un paio di generazioni successive di bimbetti (oggi cresciuti), invitando a non chiudere mai nelle cantine la fantasia, ma a rinnovarsi, a smontare, a ricreare, a sperimentare, senza arrendersi mai, senza mai dimenticare quanto bello possa essere il mondo, specie se nuovo, se diverso.

Avremmo mai pensato che su un pezzetto di plastica si sarebbero costruite simili architetture?