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The Midnight Sky - recensione

Il presente fallimentare, il futuro incerto.

Al Circolo polare artico si trova l'osservatorio Barbeau, una struttura spaziosa e bene organizzata, capace di contenere decine e decine di ricercatori e tutto il personale con rispettive famiglie. Invece c'è rimasto un uomo solo, un vecchio scienziato malato terminale che si aggira negli spazi deserti.

Siamo nel 2049, tre settimane dopo "l'evento", quando la base è stata evacuata per far tornare nei luoghi d'origine tutti i dipendenti, anche se il luogo che stanno abbandonando sembra essere più sicuro di quelli dove si stanno recando. La Terra infatti sta diventando un posto mortale, perché l'aria ormai irrespirabile si sta espandendo in ogni dove, seminando morte dovunque arrivi. Il vecchio ricercatore, mentre cerca di proseguire con le sue pur inutili cure, cerca ostinatamente di mettersi in contatto con una delle basi sparse nel lontano spazio, per avvisare, per sconsigliare il ritorno.

Le astronavi sono lontane da anni, tutte a cercare vanamente un luogo alternativo dove l'umanità autolesionista avrebbe potuto trasferirsi, dopo aver devastato il suo meraviglioso pianeta. L'unica base che l'uomo finisce per trovare si chiama Aether e il suo equipaggio un pianeta bellissimo l'ha trovato, una luna di Giove chiamata K 23, a suo tempo scoperta proprio da lui, e sta tornando sulla Terra dopo due anni. Ignari della sciagura apocalittica che si è verificata nel frattempo, pur resi sospettosi dalla scomparsa di ogni comunicazione, continuano la vita di tutti i giorni mentre procede la gravidanza di una di loro, Sully (Felicity Jones), compagna del Comandante Gordon (David Oyelowo).

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Intanto il vecchio malato ha scoperto di non essere solo nella desolata base, che una silenziosa bambina è stata dimenticata nella fuga e adesso si trova a dover gestire una situazione per lui insolita, che però poco alla volta si rivelerà decisiva per le sorti di tutti. Sia il singolo individuo che l'umanità nel suo insieme cercano in extremis di porre rimedio a quanto sbagliato in precedenza, peccato che ormai sembri essere troppo tardi.

George Clooney dirige un film il cui argomento rientra fra quelli da lui prediletti, tratto dal romanzo La distanza tra le stelle di Lily Brooks-Dalton, su sceneggiatura di Mark L. Smith Revenant, e anche lo interpreta, esibendo nel ruolo del protagonista un viso segnato, ingrigito e piegato dalla malattia e si impegna nel rendere la sofferenza del suo personaggio (che un po' deve essere stata la sua, visto che il suo dimagrimento troppo affrettato di 12 chili forse gli ha provocato danni al pancreas).

Il suo personaggio è un uomo che è riuscito a trovare un nuovo pianeta per l'umanità, dove trasferirsi dopo avere devastato quello bellissimo che aveva avuto in dono, senza però essere capace nel contempo di avere cura del proprio piccolo mondo, quello dei sentimenti, degli affetti, con lo sguardo volto sempre oltre. Accorgendosi così del danno quando era troppo tardi (esattamente come il resto dell'umanità) e rimediare era impossibile. Una storia di malinconiche solitudini, quindi, di occasioni mancate, di possibilità sprecate, in cui si esalta il valore della Famiglia su tutto, come risaltava anche nel film Ad Astra.

La generazione vecchia e quella nuova.

Rubricato giustamente come film di fantascienza, The Midnight Sky è un mix di molti temi trattati negli anni da letteratura e film precedenti, dal romanzo La nube purpurea M. P. Shiel (scritto nel 1901), passando inevitabilmente per Gravity. Interstellar, The Martian, High Life, senza dimenticare il sempre delizioso Wall-E. Indirizzato al pubblico più trasversale possibile, The Midnight Sky rientra nella categoria "film di Neflix", che potrebbe diventare un genere cinematografico ufficiale, per dire di un prodotto con ottimo cast, visibile cura formale, versione più nobile del direct to video di un tempo che però mai assurge a vette elevate.

Nel cast, oltre al divo George, ci sono Felicity Jones, sempre delicata eppure volitiva, il sobrio Daniel Oyelowo (Selma, la serie I Miserabili), Kyle Chandler e Demián Bichir, facce note da tanti film e belle serie tv (il primo Bloodline, The Bridge il secondo). La piccina, silenziosa eppure espressiva, è l'esordiente assoluta Caoilinn Springall. Le belle musiche sono del blasonato Alexandre Desplat (fra le canzoni aggiunte echeggia nello spazio anche Sweet Caroline di Neil Diamond).

The Midnight Sky non punta a spettacolarizzare quello che è un tema intimo, l'astronave rotea elegante nello spazio, c'è un po' di tensione nelle scene della lotta del fragile umano contro la forza della natura ostile, con lo scienziato sul pack che cede mentre imperversa la bufera o quando una pioggia di meteoriti investe gli astronauti. Ma non è questo il fulcro della storia.

Eva e Adamo per un nuovo pianeta.

Peccato che si faccia sentire un'eccessiva lunghezza (124 minuti), con un intreccio dei tre filoni narrativi (lo scienziato e la sua lotta fra le nevi, le memorie della giovinezza e la situazione degli astronauti) un po' squilibrato, con l'alternanza dei tre segmenti non abbastanza stringente. Anche se il colpo di scena, la rivelazione che costituisce il nucleo della storia, è prevedibile con largo anticipo, non spiace però il tono dolente della storia e il suo messaggio di non sprecare il presente nell'illusione di una futura soluzione, di un ripiego che compensi gli errori commessi.

In un momento come questo attuale, in cui che si sia ottimisti o pessimisti, resta che una soluzione immediata dei nostri problemi non è all'orizzonte, The Midnight Sky induce a qualche riflessione. Siamo troppi, sporchi, spreconi, maleducati, malati, avidi, incuranti del prossimo e del domani. E intanto non ci siamo nemmeno procurati un K 23 di riserva. Meditate, gente, meditate.

Il film esce su Netflix il 23 dicembre: buon Natale a tutti.