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Ticket to Paradise, la recensione

Due divi molto amati bastano alla riuscita di un film?

Si dice che il cinema sia in crisi. Niente di meglio quindi per indurre gli spettatori a recarsi nelle sale cinematografiche di una bella commedia classica, con due divi amatissimi come protagonisti, messi a litigare in una location esotica.

Questo devono avere pensato i produttori del film Ticket to Paradise, che vede il ritorno su grande schermo di due divi che più divi non si può, in splendida forma anche se in età ormai matura, cioè Julia Roberts e George Clooney.

La storia ce li fa conoscere mostrandoceli impegnati nelle rispettive professioni di successo a Chicago e Los Angeles, architetto lui, curatrice di mostre d’arte lei. Si sono conosciuti al liceo, si sono innamorati e sposati, hanno fatto una bambina e poi si sono lasciati, continuando ovviamente a frequentarsi ma in continua polemica, in perenne battibecco. L’amore, anche quando sembra finito, non è bello se non è litigarello.

Dell’inizio e della fine del loro rapporto hanno percezioni diverse e diversamente ne raccontano. Ma che importa, tanto vivono lontani da quasi vent’anni. Il problema però si fa esplosivo quando i due si devono riunire per andare a Bali, per un evento che ha avuto su entrambi un effetto deflagrante: l’amata figlia, appena laureata e prossima ad entrare in uno studio legale, ha deciso di sposare un bel ragazzo conosciuto durante quella che doveva essere solo una breve vacanza sulle spiagge tropicali. Scegliendo così di fare la coltivatrice di alghe invece che l’avvocato di grido.

Julia ha giustamente un fidanzato giovane, bello e adorante

Il ragazzo, oltre che molto carino, è pure un serio imprenditore, la sua è una bella famiglia molto unita, quindi i due genitori hanno le armi spuntate nel loro tentativo di scongiurare una svolta esistenziale così importante. Ugualmente sono costretti a stringere un momentaneo patto di non belligeranza per cercare di far saltare le nozze. E non si fermeranno di fronte a nessun bassezza pur di conseguire il loro scopo.

La conclusione è largamente prevedibile per una commedia che anche solo a scriverne sembra più brillante di quanto non sia venuta fuori. Va detto che i trailer la fanno sembrare ancora peggiore e quindi, in nome del famoso “mi aspettavo peggio”, se ne esce vivi. Ma che gran spreco di cast!

Tutto il film si appoggia sulle spalle della divina coppia, dove entrambi fanno del loro professionale meglio per cavare sangue dalla rapa che è la storia scritta dal regista Ol Parker (specialista in commedie un po’ geriatriche come Marigold Hotel e Mamma mia! Ci risiamo), che segue pedissequamente le loro avventure, immersi in panorami tropicali che spesso sanno di CG. Daniel Pipski, produttore di cose migliori, scrive la sceneggiatura ma non ci sentiamo di dargli addosso più di tanto: l’errore sta a monte.

George fa le sue famose faccette da commedia leggera, Julia sorride tanto per scatenare l’effetto nostalgia negli spettatori più adulti. Perché alla fine Ticket to Paradise è amabilmente un film per vecchi, nel senso che trama e attori sono fuori da ogni tentazione per un pubblico che abbia meno di 40 anni. Consigliamo più che mai la versione in originale, per godersi almeno le voci note dei due attori (e ci sono alcune scene nei titoli di coda, sappiatelo).

Per essere felici bisogna cambiare usanze... e spiaggia.

Non è così che si esce dalla crisi del cinema e chissà se un modo ci sarà. Abbiamo visto che per fare i grandi numeri l’effetto nostalgia funziona (pensiamo agli incassi di Maverick), ma qui la riproposizione del cliché della coppia che litiga per fare pace (quanti anni sono passati dai tempi di Spencer Tracy/Katharine Hepburn), è affossata da uno sviluppo che non è altro che stanca ripetizione di gag scontate. Only for fan di George e Julia, insomma.