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Zero - recensione

Zero non è uguale a nulla, Zero può essere un valore.

Siamo sempre più multietnici, specie nelle grandi città e in certi quartieri. Quindi pare sacrosanta l'iniziativa di scrivere una serie TV che abbia i protagonisti in proporzioni inverse rispetto al solito: non tutti bianchi con qualche amico o amore di colore, ma il contrario.

La storia di Zero è scritta da Antonio Dikele Distefano, autore del libro Non ho mai avuto la mia età, mentre per la sceneggiatura sono stati chiamati Massimo Vavassori e Menotti (Lo chiamavo Jeeg Robot). Siamo a Milano, in un quartiere periferico chiamato Barrio (che in realtà è un centro sociale molto attivo per quanto riguarda l'aggregazione giovanile, all'interno della Barona, quartiere a sud/ovest di Milano portato alla notorietà dal rapper Marracash).

Il protagonista è un ragazzo bello e per bene, italiano, anzi milanese di prima generazione (afroitaliano si dice), così come lo saranno tutti gli altri personaggi, ragazzi nati e vissuti qui. Omar per campare consegna pizze per un negozietto del quartiere e per passione disegna fumetti. Si sente uno zero, perché nessuno sembra vederlo veramente, etichettato immediatamente in base a stereotipi banali.

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Una sera durante una consegna conosce Anna, ricca (qui siamo nella ormai abusata Milano dei grattacieli di Porta Nuova, zona Garibaldi) ma ragazza sensibile, aspirante architetta un po' in crisi anche lei, ovviamente diversissima da lui, di cui si innamora al volo e pure lei mostra interesse.

Nel suo quartiere faremo la conoscenza di un gruppetto di ragazzi che sembrano ostili e che invece diventeranno i migliori amici e salvatori della comunità. Sono ragazzi che solo i soliti pregiudizi potrebbero indurre a scambiare per teppisti, in realtà sono creativi ancora non scoperti e quello che ancora è in cerca della sua strada sembra il più cattivo ma in fondo è un bonaccione.

Nel frattempo nella zona avvengono attentati intimidatori, vengono bruciati motorini e negozi, un barbone viene pestato, per dare l'impressione che il posto sia degradato. Mentre è abitato da giovani sfaccendati sì ma ricchi di iniziative e sani sogni (non si vede mai uno spacciatore) e da adulti laboriosi e integerrimi (un po' favolistica come immagine).

Zero/ Giuseppe Dave Seke è un giovane attore che rivedremo.

Del resto di favola stiamo parlando, perché qual è la caratteristica di Omar aka Zero (che è il nome del protagonista delle sue storie)? Messo sotto forte stress emotivo, diventa invisibile. Inizialmente senza poter governare la sua particolarità, poi come per tutti i super eroi, imparando a usarla, anche virtuosamente. Perché come era facile intuire e si vede nei trailer (quindi no spoiler), una feroce immobiliare sta procedendo in quella che oggi si chiama gentrificazione della zona.

E come si fa a cacciare i vecchi abitanti per svuotare il quartiere e fare largo alla speculazione edilizia? Aumentano gli affitti in modo spropositato, seminando paura fra i residenti, con un via vai della Polizia (bianca) che come da tradizione non indaga, limitandosi ottusamente a infastidire i ragazzi del quartiere.

Eppure basterebbe scavare appena per capire che il male arriva da fuori, da soggetti prezzolati e di un'altra etnia ancora. Va segnalata la ben scelta selezione di pezzi musicali, con nomi come Mahmood e Marracash.

Il gruppetto degli amici al completo.

Abbiamo visto solo i quattro primi episodi, da circa 25 minuti ciascuno, e per ora possiamo dire che le intenzioni sono nobili, i temi attuali ma nel complesso un abisso divide Zero da altri prodotti simili provenienti da altre nazioni. Non solo per il taglio semplicistico della storia, ma soprattutto per la recitazione del cast.

I ragazzi accuratamente scelti in base all'aspetto esteriore, baciati dalla fortuna di essere entrati in un progetto internazionale sotto l'egida Netflix, si impegnano ovviamente ma sono poco convincenti, falsi diremmo (senza voler essere offensivi), tutti troppo glamour e con dizioni troppo perfette (specie il protagonista), che inficiano la credibilità dei personaggi, tutti buonissimi in un mondo che invece usa disegnarli male.

E non basta tutta una ridda di "bro", "fra", "raga" per rendere accettabile il loro lessico di maniera, le loro interazioni scontate. Il personaggio più autentico è l'antipatico padre di Omar, con cui il ragazzo ha un rapporto conflittuale per dissapori che risalgono al trauma primario del ragazzo, quello che ha innescato il suo potere, ma senza sfociare in una vera rottura perché in fondo è un bravissimo figlio.

Il Pizza Boy e la ricca borghese.

Riassunto fra storia di formazione e denuncia sociale, spolverata dell'attuale correttezza politica, Zero è una serie che mira ad essere leggera ma non superficiale, dove l'invisibilità del protagonista diventa facile metafora; non una condanna ma un destino che molti, sbagliando, scelgono invece di lottare per mostrare ciò che sono veramente.

Vedremo come proseguiranno le loro avventure e sospettiamo un lieto fine, dato il taglio dato fin dall'inizio, ma al momento questa Barona un po' Bronx (ma quello di Baz Luhrmann in Get Down è lontanissimo), convince poco, sembrando un prodotto borghese privo di appeal per un vero ragazzo di periferia, e altrettanto per genitori appena un po' immersi nella realtà.

Non si tratta di voler imporre la scopiazzatura di modelli americani, che sarebbe sbagliato. Ma come in altri generi (poliziesco, politico, horror ecc) siamo ancora lontani da una genuina ma efficace strada all'italiana.