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Onechanbara: Bikini Samurai Squad

Tette, culi e zombie. Gioco dell'anno?

Ludicamente Bikini Samurai Squad si presenta come il più classico dei beat'em up a scorrimento: nemici su nemici, ampi livelli completamente vuoti, oggetti da recuperare per sbloccare zone precedentemente inaccessibili e gli imprescindibili scontri con i boss di fine livello. Elementi dosati però in maniera tipicamente old school, in modo da rendere Onechanbara una sorta di vero erede di certi picchiaduro a 16-bit.

Aspettate a sbavare, non intendo dire che tra le bocce di Aya si nasconda l'erede illegittimo del mai troppo lodato Streets of Rage. Per carità, non sono improvvisamente ammattito: è soltanto che per la sua concezione ingenua ed arretrata, per l'interattività ridotta allo zero e per l'irrisoria profondità d'azione Onechanbara può probabilmente ricordare il progenitore (deforme, of course!) di Splatterhouse et similia.

Tutto quello che vi ritroverete a fare sarà di fatto premere convulsamente il tasto di attacco X (volendo saranno anche disponibili Y e B, rispettivamente calcio e attacco secondario) riducendo a brandelli sanguinanti centinaia e centinaia di cadaveri animati (male). Non aspettatevi elaborate combo o spettacolari pattern di offesa: Bikini Samurai Squad è la compiaciuta fiera dello smanettamento libero, senza move list, senza tasto della parata e senza reali reazioni da parte della IA nemica.

Questione di massacro nudo (è il caso di dirlo!) e crudo insomma, dove la gioia vagamente infantile di maciullare in serie gli avversari è la chiave del gameplay stesso. Finirete così assuefatti dalle teatrali fontane di sangue, inondati da una ripetitiva dose di violenza che se presa a piccole dosi può pure risultare appagante. Un'affettata qui, una mossettina là, e la vostra mezz'ora settimanale di cacca-games potrà pure dirsi degnamente spesa.

La combattiva (e minorenne?) Saki in tutta la sua adolescenziale bellezza.

All'interno di questa disarmante semplicità (ma forse sarebbe più opportuno parlare di "pochezza") ludica, tre elementi originali trovano una loro ragion d'essere: una coppia di mosse speciali per personaggio, il gore meter e la splatter gauge. Le prime altro non sono che attacchi potenziati performabili premendo combinazioni di tasti una volta riempita un'apposita barra (che si alimenta al crescere delle combo mandate a segno). Il gore meter è invece un indicatore che mostra la percentuale di sangue depositato sulla lama della vostra arma: uno smembramento dopo l'altro l'affilatezza della katana andrà infatti a perdersi, e dovrete provvedere a ripristinare la sua originaria pericolosità premendo LB. Last but not least, la splatter gauge andrà a rappresentare il livello di "furia" delle sexy samurai: accumulando omicidi in serie le due donzelle finiranno infatti per ricoprirsi letteralmente di emoglobina virtuale, trasformandosi in vere e proprie berserker.

Non c'è molto altro da aggiungere, what you see is what you get. Ma non mi dite che vi aspettavate chissà quale profondità nascosta da un titolo con una tettona desnuda in copertina. Segnalo comunque giusto per la cronaca un pallosissimo Dress Up Mode, pensato per (s)vestire le protagoniste con custumi alternativi sbloccabili nel corso dell'avventura, ed un multiplayer in split screen assai poco convincente a causa di gravi problemi tecnici.

Fenomenale l'idea degli sviluppatori di non inserire la parata, senza però rinunciare al tempo stesso alle esplicite mosse sexy per provocare i nemici.

Inutile elencare infatti i numerosi difetti che affliggono questo terzo capitolo della bizzarra saga Tamsoft: tra animazioni disturbanti, texture al limite dell'orrido, una telecamera inconcludente ed una soundtrack in bilico tra il non pervenuto e l'abominevole i contro si sprecano. Ma ribadisco che cercare il pelo nell'uovo in un videogame che vi permetterà di prendere a spadate una fottuta orca zombie comandando un duo di donzelle prese di peso da un B-movie hard in costume potrebbe essere una mossa tanto ingiusta quanto ingenerosa.

In conclusione, Onechanbara: Bikini Samurai Squad è un prodotto genuinamente pessimo. Attenzione però, di quelli marci al punto tale da risultare vere e proprie perle da custodire gelosamente. Non avrà certo la classe innata di Earth Defence Force 2017 (gioco che ritengo senza scherzare migliore di Lost Planet), ma in compenso il barometro del trash tocca nello specifico vette pressoché inenerrabili. Praticamente l'equivalente videoludico del fantastico film Troppo Belli: imperdibile. E infatti non a caso ringrazierò per sempre la mia ragazza, che mi ha portato questo gradito souvenir da una gita in quel di Londra.

2 / 10