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Onechanbara: Bikini Samurai Squad

Tette, culi e zombie. Gioco dell'anno?

Adoro l'eterogeneità del medium videogioco. Un aspetto del nostro hobby spesso ottusamente trascurato dai non appassionati, che tendono a bollare il videogame tipo come un inutile passatempo per alienati rincoglioniti dalla violenza di certe situazioni in game. Eppure noi ovviamente sappiamo che le cose non stanno così, e trovo quantomai stuzzicante l'idea di poter adattare il mio video-giocare ai miei stati d'animo. Facendomi ora incantare dalla teatrale epicità di Mass Effect, lasciandomi cullare dalle ninne nanne fluorescenti dell'abissale Electroplankton in altre situazioni, oppure divertendomi con la mia ragazza mentre gioco con lei al dottore (parlo di Trauma Center, che avevate capito?!?).

Certe volte però nascono in noi desideri incomprensibili e marci dentro, di quelli che non possono essere soddisfatti dalla chirurgica eleganza un po' ignorante di un Ninja Gaiden a caso. Inspiegabili pulsioni autodistruttive che ti spingono ad acquistare consapevolmente vere e proprie schifezze inenarrabili, per il perverso gusto di trovare del bello dove di bello non c'è veramente la benché minima traccia.

So che è capitato anche a voi almeno una volta, fate outing e non vi vergognate: dopotutto il trash, quello vero, ha una sua ontologica ragion d'essere ed un suo irresistibile fascino. Perché alla fine cedere ogni tanto al lato putrescente di un Bulletwitch qualsiasi può pure portare a sane dosi di inatteso divertimento, provare per credere.

Tagliamo allora subito la testa al toro, ed esplicitiamo senza troppi fronzoli quel che è palesemente ovvio: Onechanbara Bikini Samurai Squad è cacca fumante [sono stato minacciato da Marco: qualora avessi cambiato questa frase, mi avrebbe rigato la macchina NdEldacar]. Un videogame intrinsecamente brutto, vecchio come concezione e come realizzazione (anche se ad onor del vero va detto che la release giapponese risale ad addirittura tre anni fa!), ripetitivo e privo di qualsiasi motivo di interesse. Tutte constatazioni drammaticamente oggettive e facilmente riscontrabili, ok.

Scordatevi il Kevlar, il materiale perfetto per proteggersi dagli attacchi degli zombie sono chiaramente le piume di struzzo, tzé!

Ma facciamo un passettino indietro, e proviamo a guardare le cose da un altro punto di vista. A cominciare dal titolo. Questo popò di gioco si chiama Bikini Samurai Squad, diamine. Bikini-Samurai-Squad, non credo ci sia altro da aggiungere. Anzi sì, vi posso descrivere la significativa intro del gioco: il titolo in questione si apre con una CG decisamente datata che mostra una procace fanciulla tatuata sotto la doccia. Non mancano ovviamente movenze lascive e giri di telecamera furbetti, per poi staccare sull'acerba sorellina intenta a guardare la TV sgranocchiando qualche snack (non senza smutandamenti vari ed eventuali). All'improvviso, il disastro: i programmi si interrompono per trasmettere un reportage live da una zona di Tokyo completamente invasa dagli zombie. Basta un gridolino per far comparire Aya (la pettoruta fanatica dell'igiene personale) bella e nuda direttamente in salotto, ed una rapida occhiata alla piccola per capire che è ora di prepararsi per la battaglia. Granate? Missili? Fucili a pompa? Spesse armature protettive? Macché, bastano un katana, un boa di piume ed un cappellaccio da cowboy per fare a fette intere legioni di non morti.

In accordo con la sua compiaciuta anima trash, il gioco sarà intriso di litri e litri di emoglobina virtuale.

Nulla da aggiungere ad una presentazione del genere, perfettamente eloquente nell'illustrare quello che è il grandguignolesco spirito di Onechanbara: Bikini Samurai Squad. Un videogame praticamente fondato su una trinità costituita da tette ballonzolanti (con la fisica di una gelatina su Giove però!), costumini provocanti e veri e propri bagni di sangue. E francamente in un contesto simile, dinnanzi ad un approccio così gioiosamente becero, tante innegabili valutazioni oggettive lasciano un po' il tempo che trovano.

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Marco Mottura

Contributor

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